Marco Pastonesi, La Gazzetta dello Sport 15/5/2014, 15 maggio 2014
ULISSI: «E PENSARE CHE A VOLTE CI CREDO POCO»
Testa di c. Dove la c non è l’iniziale di campione, e non è neppure l’iniziale di capitano. È proprio l’iniziale di quella parola che state immaginando. Ma si trattava di un giudizio personale, di un momento di autocoscienza o di un atto di autocertificazione, pronunciata da lui – sorridendo - nel giorno di un trionfo. C’era affetto, comprensione e quel minimo di complicità che coinvolge vincitore e giornalisti durante la conferenza-stampa dopo la corsa.
Maradona Diego Ulissi non è una testa di c. Non è uno con la testa sulle nuvole, ma con la testa sul collo. Non ha grilli per la testa, ma deve sbattere la testa prima di capire. Non è una testa matta e neanche di rapa, ma ha la testa del corridore fin da quando era un bambino. Sfuggito al calcio (il padre gli ha imposto il nome Diego Armando: Diego per Maradona, Armando per il nonno e casualmente ancora per Maradona) e convertito al ciclismo (ma anche qui c’è in eredità la passione del padre), Ulissi ha sempre preso corse e corridori, allenamenti e gare, quasi con un senso di predestinazione. Come se conoscesse la sua natura, come se sentisse la sua vocazione, come se leggesse il futuro. Obiettivi, traguardi, mete. Giorno dopo giorno, anno dopo anno. Una volta Paolo Bettini – e non sarà un caso che tutti e due siano livornesi – disse di avere visto Ulissi, che allora era giovanissimo, forse ancora junior, fare dietro moto durante le vacanze di Natale. Poteva sembrare un’esagerazione, addirittura un’ossessione. Invece era metodo, disciplina. E a Viggiano si è visto.
Mappa «La sera della vigilia, quando ho spento la luce, ho cominciato a pensare alla corsa. Avevo studiato la mappa: mi piaceva la distanza, 200 chilometri e più, mi piaceva il profilo, su e giù, mi piaceva il finale, all’insù. Ci tenevo. La mattina ho letto i giornali e guardato i siti Internet: mi davano favorito. In gara non mi sono fatto prendere dall’emozione né dall’aspettativa. Ai -17, quando c’è stata una caduta e ho dovuto mettere i piedi a terra, non mi sono fatto prendere dalla rabbia, e i compagni sono stati pronti a riportarmi dentro. E all’ultimo chilometro non mi sono fatto prendere dalla frenesia, quando si è creato un buco. Il mio compagno Niemiec ha fatto un enorme lavoro per ricucire lo strappo, io ero alla ruota di Matthews, ai 150 metri sono uscito e credo di avere fatto una gran bella volata». Una volata per la figlioletta Lia («Una bellezza»), una volata per tutta la famiglia («Che mi sopporta»), una volata per i Galbusera patron della Lampre («Che credono in me fin da quando sono passato professionista»). Una volata anche per sé: «Perché il mio limite è non credere abbastanza in me stesso. Negli ultimi due anni sono migliorato, mi segue Michele Bartoli, che è preparatore e motivatore, bravissimo. Spesso parto e mi sento già battuto. Alle classiche del nord sono arrivato imballato dal lavoro, e questo mi ha tolto fiducia e sicurezza».
Obiettivi Ulissi, che ha cominciato su una biciclettina con le ruotine, e ci andava così tanto che le ha consumate, e forse è a quel punto che ha potuto farne a meno. Ulissi, che dai sei anni in su ha corso in tutte le categorie. Ulissi, che il primo anno da professionista stringeva i denti per arrivare al traguardo, e se pensa alla polvere delle Strade Bianche e alla pioggia del Giro di Svizzera si sente ancora male. Ulissi, che tre anni fa ha vinto una tappa al Giro battendo Visconti, anche se questa ha un altro profumo. «Riguardando la mia storia, pensavo di essere molto più indietro. Ho vinto 16 corse, fra cui due gare del World Tour, non ho neanche 25 anni, posso ancora migliorare. Le mie corse sono le classiche, davanti ho molti campioni ma non più giovani. Amstel, Freccia e Liegi sono i miei obiettivi, prima o poi ci riuscirò».
Ulissi, che testa di c. Dove c sta per coraggio, coscienza, convinzione.