Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

«AMERICA DETESTO LA TUA IPOCRISIA»

[Intervista a Jonathan Franzen] –
Jonathan Franzen ha scoperto la «rabbia come stile di vita» a ventidue anni, grazie alla lettura delle opere di Karl Kraus. Oggi, a più di trent’anni di distanza, dedica allo scrittore austriaco Il progetto Kraus (Einaudi, con traduzioni di Claudio Groff e Silvia Pareschi), nel quale analizza le intuizioni folgoranti e la personalità tormentata di colui che fu soprannominato “il grande odiatore”. Commentandone alcuni saggi, Franzen riflette con toni apocalittici sul parallelismo tra l’impero austro-ungarico e l’America di oggi.
Ma sin dalle prime pagine il progetto assume una valenza personale: le proprie scelte, passioni ed idiosincrasie sono messe in parallelo con quelle dello scrittore che «passava molto tempo a leggere roba che odiava, in modo da poterla odiare con cognizione di causa». La «diffidenza di Kraus verso la melodia della vita» viene attualizzata da Franzen parlando di Amazon, della miopia di fronte a cambiamenti epocali e dell’impoverimento della cultura contemporanea. «Kraus ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale nella mia formazione» mi spiega nel suo appartamento dell’Upper East Side, dove una chitarra e alcune sculture risaltano nell’arredamento scarno. «La sua influenza è evidente nel mio primo romanzo La ventisettesima città, ma per Kraus la letteratura era poesia ed epigramma. La rilettura mi ha consentito di ammirare alcuni elementi e distaccarmi da altri».
Kraus accusa la stampa di ipocrisia: «Il disonesto abbinamento degli ideali illuministi con l’incessante e ingegnosa ricerca di profitto e potere».
«Kraus era un giornalista, e conosceva quel mondo alla perfezione. Negli Usa c’è stata per quasi cento anni un’idea responsabile di giornalismo, nella quale non erano esenti tuttavia interessi e pressioni di ogni tipo. È stato il New York Times a cercare di affermare questa idea rispetto alle testate di Hearst, simili a quelle che Kraus combatteva in Austria. Non possiamo dimenticare che c’è chi è andato in prigione per difendere la libertà di stampa, ma oggi prevale chi urla più forte. Si tende a pubblicare prima le notizie e poi a verificarle».
Lei in passato ha tradotto Wedekind: com’è nata questa passione per la cultura mitteleuropea?
«Da ragazzo ho studiato il tedesco e poi ho imparato ad amare quella cultura di quella regione europea. Ora ho in progetto di tradurre un classico di Kafka, sapendo che ogni traduzione è un’interpretazione».
Non le sembra una forzatura il parallelo tra impero asburgico e Stati Uniti?
«Il potere degli Stati Uniti è superiore a quanto sia mai stato quello dell’impero austro-ungarico. A me sembra che il momento glorioso dell’America sia alle nostre spalle e stiamo retrocedendo sia sul piano militare che economico. Kraus, che nasce in una cultura umanista, è allarmato dall’abbraccio della tecnologia, della quale vede gli elementi antiumanistici: un argomento estremamente attuale».
Era un benestante e pieno di privilegi: da dove nasceva la sua rabbia?
«Nella società in cui viveva c’erano molti motivi per cui essere infuriati, ma nel fondo della sua anima era arrabbiato proprio perché era privilegiato. È un sentimento che mi appartiene molto».
Lei si scaglia contro la “tirannia della gentilezza”.
«Detesto l’ipocrisia della bontà esibita, e l’invito alla semplificazione morale. L’America è piena di persone perbene che hanno contribuito a rendere il paese uno dei più odiati del mondo. Per rimanere in campo letterario, è assurdo che non si possa dire che un libro è brutto per rispettare il lavoro dell’autore. Quando rifiutai di essere scelto da Oprah Winfrey mi reso conto che molti la pensavano come me ma nessuno lo aveva detto esplicitamente, con l’aggravante che facevo uno sgarbo a una persona che è donna ed anche di colore. C’è una grande differenza tra la bontà e la correttezza politica».
Lei cita Nietzsche quando afferma che c’è una «mentalità da schiavo alla base del giudizio morale».
«In questo caso c’è la differenza tra morale e moralismo, tipico di chi criminalizza le persone che giudica. Kraus scrisse a proposito di Hitler «non mi viene in mente nulla».
«Può apparire una battuta a effetto, ma è un giudizio tragico, avvalorato dalla chiarezza con cui predisse l’orrore del nazismo. Ebbe analoga lungimiranza con la prima guerra mondiale: fu l’unica voce autorevole ad opporsi, mentre tutti gli uomini di lettere si schieravano patriotticamente con l’impero».
Come mai detestava Freud?
«Nell’intimo c’era un dato personale: Freud era l’altra grande personalità viennese in grado di raccogliere accoliti che lo veneravano in modo quasi religioso. E diffidava sinceramente della psicoanalisi».
Ennio Flaiano la definiva «una pseudoscienza inventata da un ebreo per convincere i protestanti a comportarsi come cattolici».
«È una battuta divertente, che minimizza tuttavia il rapporto degli ebrei con il senso di colpa, aspetto che i cattolici vivono in maniera troppo intermittente. L’aspetto meno interessante di Freud è proprio il tentativo di essere scientifico, mentre quello più interessante è il modo in cui descrive cosa significa essere una persona divisa».
Lei si schiera con veemenza contro Twitter.
«La gente tende a non leggere i testi, ma solo quello che è stato scritto sui testi, e questo è un grave impoverimento. Il link di 140 caratteri priva di responsabilità sia l’autore che il lettore. Mi spiace che alcuni scrittori che ammiro come Rushdie invece cedano a questa debolezza».
Non crede che Twitter sia soltanto un mezzo e come tale un’opportunità?
«Negli anni Trenta sono state costruite centinaia di dighe che sembravano un mezzo sicuro per assicurare l’energia. Ora si è visto che non è così e abbattere quelle dighe costa decine di volte più della costruzione. Non voglio neanche fare l’esempio della corsa al nucleare: quanti Chernobyl e Fukushima dobbiamo aspettare? Non tutto quello che è possibile è anche giusto».
Non le sembra un atteggiamento conservatore?
«A me sembra di contrastare il trionfo del consumismo, in mano a chi ha interesse unicamente il profitto: rivendico il fatto di non essere affatto cool e di affermare che sono questi gli strumenti della vera conservazione».
Antonio Monda