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 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

DAGOREPORT

Dover cercare il quarto premier non eletto dal popolo in otto anni di regno sul Colle sarebbe una sconfitta insopportabile, per un principe delle regole e della Costituzione come Giorgio Napolitano. E’ un’ipotesi così infausta che Bella Napoli cerca di scacciarla continuamente dalla propria testa, ma i sondaggi che danno Beppe Grillo in continua ascesa, e gli scricchiolii che avverte dal Pd, lo preoccupano non poco.
Perché sa perfettamente che se tra due domeniche l’M5S prende più voti che alle Politiche, per Renzie sarà impossibile non solo portare a casa le riforme che sognava di fare con Berlusconi, ma anche conquistare un partito dove ancora non controlla i gruppi parlamentari.
Dal 2011 a oggi, Re Giorgio ha già dovuto estrarre dal cilindro Mario Monti, Enrico Letta e Renzi stesso - anche se sul sindaco di Firenze ha fornito più che altro il lasciapassare finale - ma ora non intende più rimediare ai pasticci che gli combinano i partiti. Anche se la sua principale preoccupazione sembra essere quella di tenere lontano da Palazzo Chigi il Movimento Cinque Stelle, Napolitano si è dato un termine massimo per la propria permanenza al Colle: il 29 giugno del prossimo anno, quando compierà 90 anni. E se le Camere, su input grillino e berlusconiano, dovessero azzardarsi a chiedere il suo impeachment, se ne tornerebbe nella sua bella casa del rione Monti in pochi minuti.
MERKEL NAPOLITANOMERKEL NAPOLITANO
Anche le rivelazioni di questi giorni sulla nascita del governo Monti aiutano a capire perché eventuali elezioni politiche prima del 2018 sarebbero una doppia sconfitta per Re Giorgio. Il due volte inquilino del Quirinale infatti non ha mai voluto il voto e la storia è questa.
Il libro di memorie di Tim Geitner, ex ministro del Tesoro americano, svela che per mandare a casa il governo Berlusconi ci fu un’operazione sulla Casa Bianca da parte di non meglio precisati "officers" europei. Secondo quanto risulta a Dagospia, il primo "officer" sarebbe il ministro tedesco delle Finanze Wolfgang Schaeuble, che avrebbe chiesto a Washington l’assenso per l’invio della Troika (Fmi-Bce-Ue) in Italia, al quale sarebbero seguite le scontate dimissioni di Berlusconi.
Schaeuble si mosse anche per conto di Sarkozy che, non a caso, durante quello stesso G20 di Cannes del novembre 2011, era in campagna elettorale e sperava di portare in tv lo scalpo del Banana e di poter dire: "Oggi abbiamo salvato l’Italia". Trattandola come la Grecia.
MERKEL BERLUSCONI NAPOLITANOMERKEL BERLUSCONI NAPOLITANO
La risposta degli uomini di Obama a un simile pressing fu questa: ok, voi dite che Berlusconi pensa solo alle "girls" ed è un pericolo per l’euro, ma noi per tutta una serie di motivi non possiamo tradire Berlusconi. Per la cronaca, l’ex Unto del Signore cadde una decina di giorni dopo, "incravattato" sui mercati dallo spread sui titoli di Stato.
Per ritrovare Re Giorgio, però, tocca fare ancora un passo indietro. Ad agosto di quel 2011, arriva una lettera durissima della Bce al governo, lettera che per altro viene presto divulgata. Nelle convinzioni di Berlusconi, e non solo, quella lettera, che era quasi un preavviso di sfratto, è stata firmata da Trichet ma preparata da Mario Draghi, informato Napolitano.
Quando arriva l’imperiosa missiva, l’ex Cavaliere dice ai suoi: "Con Trichet ci parlo io, che con il francese me la cavo benissimo". Parla con l’ex capo della Bce e alla fine questi gli dice, un po’ sibillino: "Guardi che lei i nemici ce li ha in casa".
Lì per lì, anche abilmente instradato da Gianni Letta, Berlusconi pensa subito a Tremonti, ovvero al suo ministro dell’Economia che mezzo Pdl si divertiva ad attaccare tutti i giorni perché sarebbe un "Signor No". Ma a distanza di due anni mezzo, con una condanna sul groppone e qualche fregatura di troppo incassata sull’asse Letta-Napolitano, il Berlusca si è convinto che i "mandanti" della caduta del suo governo siano stati Draghi e Napolitano.
MERKEL NAPOLITANO FOTO LAPRESSEMERKEL NAPOLITANO FOTO LAPRESSE
E veniamo alla crisi di governo dell’autunno 2011. Ci si è interrogati per mesi sui motivi per i quali Pierluigi Bersani abbia rinunciato a una facile vittoria. Si è detto mille volte che il Pd ha avuto paura, che non era pronto eccetera eccetera. Ma era la domanda sbagliata. La domanda giusta è un’altra: perché Berlusconi non ha voluto le elezioni anticipate come Zapatero? La risposta oggi è semplice: perché si è fatto fregare.
Napolitano chiamò Berlusconi e gli disse più o meno così: se accetti di dimetterti, in realtà esci dalla porta e rientri dalla finestra con un governo di larghe intese; se accetti l’operazione avrai ancora un ampio spazio politico. L’ex premier, parecchio spaventato, accetta. Convinto che comunque anche a lui sarebbe servito più tempo per prepararsi alle elezioni.
C’è un’altra questione che resta in sospeso, sulle mancate elezioni di fine 2011, e riguarda Bersani. Non è vero che Napolitano abbia "tradito" il suo partito, perché in realtà su Bersani ricevette il fermo stop della Germania. La cancelliera Merkel gli fece capire abbastanza chiaramente che l’Italia aveva bisogno di misure impopolari e Bersani era "troppo legato ai sindacati", i quali si sarebbero messi di traverso. I tedeschi avevano in mente un nome soltanto, per il dopo-Berlusconi: quello di Mario Monti.
La scelta del Quirinale cade dunque sul professore della Bocconi, preallertato addirittura nel febbraio del 2011. Napolitano gioca d’astuzia, e per "placare" la Germania con lo strappo meno evidente possibile, sonda Montimer per il ministero dell’Economia. Ma l’uomo ha un’alta opinione di sé e si trincera dietro una buona scusa: "Presidente, non ho un buon rapporto con Berlusconi". A quel punto Bella Napoli gli chiede se farebbe mai il premier, e quello concede: "Se lo Stato avesse bisogno di me, io ci sarei".
A novembre, quando Re Giorgio gli affida l’incarico, il Rigor Montis però fa uno scherzetto al suo mentore: si prepara a fare un governo del presidente. Ma non del presidente della Repubblica. Del presidente del Consiglio. Appena Napolitano fiuta l’equivoco, gli manda a Milano all’Hotel Senato un messaggero fidato, Enrico Letta. Al professore viene spiegato che c’è un patto politico con i partiti, e che anche a Berlusconi, per non andare a votare, è stato promesso un certo spazio.
Il resto è storia nota. Il "messaggero" dell’Hotel Senato, poi pescato a mandare pizzini affettuosi a Monti il giorno della sua prima fiducia, diventerà il secondo premier "inventato" da Napolitano. E Matteo Renzi è stato il terzo, anche se nel suo caso Re Giorgio si è più che altro limitato a rendere possibile l’operazione e a prendere atto di quello che stava accadendo nel Pd. Adesso che neppure Renzie rischia di essere capace di arginare Grillo, Napolitano teme veramente di dover capitolare su quel voto anticipato che, come si è visto, evitò già con successo a fine 2011.