Vittorio Zucconi, la Repubblica 14/5/2014, 14 maggio 2014
JACKIE E IL CONFESSORE. «DIO HA LASCIATO MORIRE IL MIO AMATO JFK»
Scrisse Jacqueline Kennedy al proprio confessore lontano: «Se c’è Dio mi dovrà spiegare perché ha permesso che Jack sia stato ucciso». C’era molto buio dietro la luce e il glamour della più famosa First Lady della storia e in quel buio oggi possiamo gettare uno sguardo. C’erano amarezza, paura, brevi momenti di gioia nell’oscurità di una donna che soltanto ora, vent’anni dopo la sua morte, riusciamo a intravedere nelle lettere che inviava segretamente a un prete irlandese della San Vincenzo.
Di queste lettere confessione trasmesse attraverso l’Atlantico, presto vendute all’asta in Irlanda, scoperte dall’ Irish Times di Dublino e riprese dal Washington Post, nulla si sapeva, come ben poco abbiamo sempre saputo dei pensieri privati di una donna che aveva rinchiuso i propri sentimenti personali dentro la corazza di una riservatezza assoluta. E se c’è qualche cosa di impudico, se non di osceno, nel leggerle ora, e nel sapere che finiranno in mani private per almeno un milione di euro, il risucchio di un mistero umano ancora intatto dopo tanti anni è irresistibile.
Era andata avanti quattordici anni la corrispondenza fra una giovane donna di Boston, Jacqueline Bouvier, poi divenuta Jacqueline Kennedy nel 1953, e padre Joseph Leonard, un sacerdote della San Vincenzo de Paoli che lei aveva conosciuto da studentessa visitando l’Irlanda. Era stato un epistolario cominciato per caso nel 1949, quasi per scherzo, fra la ragazza ricca, elegante, molto high society del Massachusetts e un anziano sacerdote di 73 anni che la prendeva garbatamente in giro chiamandola in francese la girouette, la banderuola, il segnavento che sui tetti gira secondo le brezze. «E’ così bello per me potermi confidare con qualcuno — scriveva Jackie — perché non posso mai farlo con nessuno e togliermi i pesi dal petto».
La solitudine, nel vortice della notorietà sempre più divorante, è il filo che lega questo epistolario che il prete aveva sempre conservato. Ci sono l’ansia di una ragazza, poi giovane donna, poi First Lady e infine Prima Vedova d’America che s’interroga sulla vita, sul matrimonio, su quello che l’attende, su quel Dio che lei venera fin da piccola e che sembra averla abbandonata di schianto un giorno del novembre 1963.
«Ho paura di diventare una piccola, triste casalinga» si sfoga. «Non voglio sposare un uomo come mio padre, che continuava a flirtare con tutte le donne per sentirsi ancora attraente e quasi uccise mia madre», trema Jackie, senza sapere che quello sarebbe stato esattamente il tipo di uomo che avrebbe sposato.
Ma all’inizio il matrimonio con John, “Jack” nel linguaggio privato, l’aveva resa felice: «Non credevo che sarei potuta essere così felice», scriveva entusiasta al confessore lontano seimila chilometri. Le lettere arrivavano scritte prima sulla carta intestata al suocero, poi su quella ufficiale della Casa Bianca, mentre il vento della storia e della tragedia faceva girare crudelmente la sua vita. «Tutti credono che questa sia un’esistenza di felicità e di successo, ma la gente non sa quanta fatica e quanto sforzo imponga vivere nella luce continua dei riflettori». «Ho conosciuto molti politicanti e sono sbigottita: sono proprio una specie a parte ». Anche di se stessa, circondata da «teste coronate e uomini del destino», scrive di essere stata sopraffatta dall’ambizione, «come Lady Macbeth», la tragica, suicida regina shakespeariana.
Jackie e il sacerdote si incontreranno ancora per una seconda volta durante un viaggio ufficiale del Presidente in Irlanda. Poco dopo, era il 1962 e Dallas sembrava ancora impensabile, lei riassunse in una parola che il prete poteva capire benissimo che cosa significasse essere la Prima Signora» dentro quella meravigliosa gabbia dipinta di bianco: «Un inferno». In quell’inferno lei ammise di sentirsi «sola».
È un percorso da brividi, quello che le confessioni di Jackie Bouvier poi Kennedy e poi Onassis disegna per la sola persona con la quale si confidi, ormai un ottuagenario prete che non dirà mai a nessuno, pur non essendo quelle lettere coperte dal segreto sacramentale, di essere il confessore a distanza della donna forse più celebre e celebrata del mondo nei primi anni ‘60. Le ansie e le speranze della studentessa di ottima famiglia diventano le paure di una giovane moglie, poi le inquietudini di una donna intrappolata in un una parte che la obbliga a essere sempre perfetta e infine nell’abisso di una vedovanza fulminante.
«Provo una grande amarezza verso Dio — scriverà nell’ultima lettera al prete Vincenziano — ma voglio ancora credere che un giorno rivedrò il mio Jack. Ma se lo rivedrò e dunque sarò in Paradiso, dovrò a chiedere a Dio perché abbia permesso che fosse ucciso ». Non conosciamo la risposta del religioso, che morirà poche settimane dopo l’assassinio di Jfk, perché la sua parte nella corrispondenza è andata distrutta, ma risulta, da uno scritto di Jackie che padre Joseph Leonard si pentì di come l’aveva chiamata. «Ora non sei più una girouette», una banderuola spinta dal vento, le scrisse. La corrispondenza tra i due, come la tempesta della storia su di lei, finì in quel 1963.