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 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

«NESSUN RITARDO MA RISPETTATE LE NOSTRE LEGGI»

[Intervista a Ahmad el Ayoubi] –
Io parlo a nome del ministro e le posso assicurare che non c’è nessuna volontà di ritardare », risponde secco Ahmad el Ayoubi, quando gli chiedo quali saranno i tempi del caso Dell’Utri. Presidente del Tribunale del distretto “Monte Libano”, Ayoubi, quarantenne abbronzato ed elegante nel suo completo blu primaverile, è il magistrato incaricato dal ministro della Giustizia Libanese, Ashraf Rifi, di risolvere le questioni tecniche e giuridiche legate alla complessa procedura d’estradizione innescata dalla fuga in Libano di quello che è stato definito “l’ambasciatore della mafia a Milano” e nell’impero Finivest.
Riassumendo, le cose stanno a questo punto: «Secondo la legge libanese — dice il magistrato nel suo lindo e disadorno ufficio al primo piano del Tribunale di Jdeideh, quartiere satellite della capitale — il Procuratore generale, dopo aver completato l’esame del caso, trasmette il dossier con il suo parere al ministero della Giustizia, il quale, a sua volta, lo trasmette al Consiglio dei Ministri per la decisione finale. Per quanto ne so, ieri il Signor Dell’Utri è stato interrogato».
Ayoubi è cauto. Soppesa le parole. Nel corso dell’intervista ripeterà più volte che non intende vanificare o anticipare l’operato della Procura con le sue dichiarazioni. E tuttavia se è possibile ricavare dalle sue affermazioni una tendenza della magistratura incaricata del caso, questa non va nella direzione dell’insabbiamento. Al contrario.
Si è parlato di possibili tempi lunghi. Lei che ne dice?
«L’articolo35 del Codice Penale libanese non pone un termine preciso entro cui definire il dossier, ma richiede che l’esame venga fatto entro un tempo ragionevole, sufficiente a maturare una decisione giuridica. Ecco perché non sarà un tempo troppo lungo».
Ma il nostro ministro della Giustizia, Orlando, ha sollevato proprio il problema della rapidità della decisone quasi nutrendo qualche dubbio.
«Mi permetto di ricordare che il Libano è un paese sovrano, dove la magistratura lavora secondo le regole dettate dalla legge libanese e non dal ministro Orlando».
Gli avvocati difensori di Dell’Utri hanno lanciato l’argomento di una possibile prescrizione.
«Sia la legge libanese sia la convenzione con l’Italia sull’estradizione prevedono in linea di principio la possibilità della prescrizione. Ma se la prescrizione si possa applicare o no dipende da quando i fatti a cui ci si riferisce sono accaduti e dalla procedura che è stata seguita. In ogni caso, come prescrive l’articolo 33 del nostro codice penale, il giudice può decidere sulla prescrizione, o secondo la legge libanese, o secondo la legge dello Stato richiedente l’estradizione, ovvero dello Stato in cui è stato commesso il reato».
Altra obiezioni dei legali di Dell’Utri: il reato di “associazione mafiosa”, come quello di “concorso esterno in associazione mafiosa”, non figurano nel Codice penale libanese. Quindi, deducono, non si può dare corso all’estradizione. È così?
«Non è necessario che il fatto incriminato in Italia sia qualificato nello stesso modo in Libano. È sufficiente che il fatto in questione costituisca un infrazione alla legge libanese, a prescindere da come il reato venga identificato in Italia. Nel nostro codice, come in Francia, esiste l’associazione di malfattori».
Dell’Utri si considera vittima di una sentenza politica. Lei cosa ne pensa?
«Il ruolo del ministero della Giustizia in questo caso non ha niente a che fare con la politica. Io svolgo un compito semplicemente tecnico e giuridico. Eventuali questioni politiche, se ci sono, potranno essere sollevate in Consiglio dei Ministri che prenderà la decisione finale».
In Italia è esploso il caso di un secondo latitante, il deputato Amedeo Matacena, che in fuga a Dubai avrebbe pensato di raggiungere il Libano. Non teme che il vostro Paese diventi rifugio di latitanti eccellenti?
«Non bisogna generalizzare. Il Signor Matacena non è mai arrivato in Libano. A memoria mia, quello di Dell’Utri è l’unico caso da molti anni a questa parte».
Quindi lei non ritiene che la convenzione sull’estradizione debba essere rivista?
«Secondo me le cose funzionano piuttosto bene così».