Emilio Randacio e Piero Colaprico, la Repubblica 14/5/2014, 14 maggio 2014
EXPO, COSÌ LA CUPOLA PORTAVA I PIZZINI AD ARCORE E A MARONI
ROMA.
Dai verbali dell’indagine della procura di Milano sull’Expo spuntano i pizzini a Berlusconi e Maroni: «Andavamo ad Arcore ogni lunedì». Gli inquirenti hanno individuato le date in cui Gianni Rodighiero, collaboratore di Gianstefano Frigerio, è andato nella villa dell’ex presidente del Consiglio. Renzi a Milano, intanto, rilancia l’opera: «Ce la faremo, si fermano i ladri non i lavori». La pensa diversamente Grillo, che tuona: «È una rapina, bloccate tutto». Primo Greganti, in carcere, commenta: «Ci sono abituato, è tutta una bolla di sapone». Nuovi indagati nell’inchiesta su Scajola. Per Dell’Utri primo sì all’estradizione.
MILANO.
I contatti del faccendiere Gianstefano Frigerio, più volte condannato, con Silvio Berlusconi e con la Regione trovano ancora più credito leggendo 104 pagine, quelle con cui la procura chiede l’arresto del manager Expo Angelo Paris. Come per il caso Ruby e per il Bunga Bunga, così per il caso Expo: ai pubblici ministeri basta incrociare i telefonini degli indagati con la cella telefonica di Arcore per avere i riscontri che servono. In cinque date, ecco che Gianni Rodighiero, collaboratore di Frigerio, si trova ad Arcore. E, una volta, ci vanno Rodighiero e Frigerio insieme.
«Tale dato — scrivono i pubblici ministeri — conferma la veridicità dei riferimenti effettuati da Frigerio ai suoi contatti con i massimi livelli politici del partito (...) per sponsorizzare ai massimi livelli la posizione di Angelo Paris». La ricostruzione dei fatti è limpida. Siamo a poche settimane fa. Il 28 marzo 2014 è un giorno importante per la «cupola». All’hotel Michelangelo, dove Berlusconi lancerà la campagna per le Europee, s’incontrano alle 11,35 Frigerio e Paris.
Nel frattempo (poco dopo le 11) Rodighiero è con Sergio Cattozzo, democristiano, ora Udc, beccato giovedì, al momento delle perquisizioni, con alcuni post-it, che aveva tentato di nascondere.
Non c’è riuscito, aveva segnato l’importo delle tangenti ricevute dall’imprenditore Enrico Maltauro: 590mila euro in due anni, 490 più 100), con accanto lettere dell’alfabeto, date, suddivisioni, le percentuali dello 0,3 e dello 0,5 a seconda dell’appalto. I due parlano. Cattozzo: «Tieni conto che Gianstefano (incomprensibile) aver parlato di Berlusconi e Berlusconi...».
Rodighiero: «Sì, e anzi gli ha parlato e in più gli ha anche scritto, perché l’ho visto io (inc.) andare ad Arcore. Sai che, non dico tutte le settimane, ma il lunedì e il venerdì (impreca), ci ho sempre la lettera da portare. Solo che adesso bisogna stare più abbottonati, c’è il cerchio magico di Berlusconi». I due passano dalla portineria dell’ufficio intitolato a Tommaso Moro e usato come base della cupola.
I verbali sono pertanto effettivamente emersi i seguenti dati: Rodighiero, dicono i detective, era ad Arcore il 22 novembre (venerdì), il 20 dicembre (venerdì), il 23 dicembre (lunedì), il giovedì 6 febbraio 2014 e il giovedì 27 febbraio 2014. Com’è noto, Paris il 3 febbraio 2014 aveva partecipato «a una cena ristretta presso Villa San Martino, evento collegabile a Frigerio».
Per quanto riguarda la Regione, si sa dalle intercettazioni e dalle carte giudiziarie che Frigerio incontra una volta per caso Roberto Maroni, che dice di mandargli messaggi per sollecitare «il lavoro delle vie d’Acqua», vantandosi subito dopo per gli interventi del governatore lombardo: «Lo vedi che ho scatenato Maroni sulle vie d’acqua». Ed ecco ancora una volta Rodighiero che compare in Regione per portare questi «pizzini». È lui che il 24 marzo 2014 manda un sms a Gianluigi Frigerio, il nipote prediletto di Gianstefano, dicendo: «Sono giù in Regione», e la cella telefonica si attiva due volte nella zona di Palazzo Lombardia. Con Mario Mantovani il rapporto è ancor più stretto, Frigerio senior e junior si sono impegnati «in coincidenza con la campagna elettorale regionale del 2013», scrivono i magistrati, e «fattivo» è stato il «contributo di Frigerio Gianluigi». Risulta a Repubblica che Gianlugi sia diventato un funzionario della Regione Lombardia. Sta nella
«sottounità operativa delle politiche urbane e interventi per l’attrattività e la promozione integrata del territorio». Più che di millanterie, Frigerio sembra insomma disporre di «maniglie» solide. Uno dei suoi quartieri generali è una saletta del bar del Westin Palace. È qui che Frigerio incontra il direttore generale degli acquisti di Expo, Angelo Paris. Serve «una soluzione d’emergenza destinata a ripartire solo tra i principali appaltatori già assegnatari dei lavori da svolgere». Quindi: «Prendete le più grosse — ordina Frigerio a Paris — gli date dieci per una. Semplifica. Se è l’unica via!». Il professore chiede di esercitare pressioni anche sul commissario straordinario: «Con Sala insisti!». I diktat vengono eseguiti: il 21 febbraio Paris mette ansia a Simona Trapletti, responsabile area patrimonio Infrastrutture lombarde. Le dice che entro fine luglio devono concludersi i lavori «underground dei lotti ». Il progetto dev’essere inviato categoricamente entro il 30 aprile: «Se entro quella data non mi mandi il progetto — minaccia — lo faccio io d’ufficio ». Esattamente come da istruzione del «professore».
Ma dentro la società Expo sale la tensione, e si scatena la battaglia tra “buoni” e “cattivi”. Il 25 febbraio il direttore generale della divisione partecipanti Expo, Stefano Gatti, contatta Paris per lamentarsi proprio della lettera inviata alla Trapletti. Da alcune parole di Gatti — scrivono i pm nell’integrazione d’arresto del manager Expo — «emerge la volontà di Paris di scavalcare in qualche modo Giuseppe Sala al fine di far prevalere le sue intenzioni sulla realizzazione dei padiglioni e sulla relativa tempistica». È categorico Gatti: «Mi arrivano in mano cose che sono totalmente diverse da quello che è stato deciso... io continuo a concordare delle cose con Peppe (Sala, ndr) e poi mi arrivano delle cose da te che sono completamente diverse ». Gatti avverte Paris: «Stai entrando in un circuito di una pericolosità pazzesca che finirà con incidenti pazzeschi con i Paesi (espositori, ndr ) ». Il manager si scaglia contro il collega, accusandolo di voler «far saltare in aria l’intero progetto». I rimproveri proseguono con quella che Gatti considera l’anomalia della gestione del padiglione cinese: «Paese a cui viene lasciato un eccessivo margine di autonomia». «Perché — prosegue Gatti — diamo il messaggio al cinese “tana libera tutti”, se a un certo punto passa il messaggio che il cinese fa come cazzo gli pare, tutti gli altri dicono scusa, ma perché a me hai rotto i coglioni?». Non è casuale che proprio la gestione degli spazi di Pechino sia particolarmente agevole. Per i pm, infatti «rappresenta uno degli affari di massimo interesse per Primo Greganti, circostanza ben nota al Paris».
Emilio Randacio e Piero Colaprico, la Repubblica 14/5/2014