Mattia Pasquini, l’Unità 14/5/2014, 14 maggio 2014
ALICE NELLE CITTÀ – [PITTRICE DI STRADA, DA NEW YORK A ROMA PER UNA LODE DELLA RESISTENZA]
«IO MI CHIAMO ALICE PASQUINI, DIPINGO PER STRADA E PENSO CHE NON STO FACENDO NIENTE DI MALE». Impossibile non essere d’accordo con la giovane artista dal cognome irresistibile (una fortuita coincidenza, ndr) una firma sempre più visibile sui muri di tutto il mondo, e di Roma, sua città natale, alla quale ha dedicato un murale sulla liberazione dal nazifascismo. Ma presentarla partendo dalla fine non renderebbe merito a una storia che, iniziata all’Accademia di Belle Arti e sulle pareti del Corte Ingles di Madrid, l’ha portata a regalare tre splendidi murales alla città di New York, dove l’abbiamo incontrata insieme alla sua amica, fotografa e compagna d’avventura Jessica Stewart. «Ho vissuto a Madrid per due mesi, a Lavapies – racconta –, lì mi sono resa conto quanto, qualcosa che pure molti non considerano arte, fosse più capace di entrare nella vita delle persone. E a Madrid ho fatto le mie prime esperienze di Street Art». «Sono cresciuta con il mito di Sprayliz, personaggio dei fumetti creato da Luca Enoch nel 1992, e facendo l’illustratrice, anche di una graphic novel con Melissa P; poi ho iniziato a fare le mie cose per strada». E per strada l’abbiamo scoperta, sui muri del quartiere romano di San Lorenzo. «Il muro a San Lorenzo è stato già dopo, nel 2010. Ma non ho mai avuto un muro autorizzato a Roma, almeno finché non sono stata fuori, in Francia, in Inghilterra e in Australia... Il primo muro a Roma me l’ha dato la settimana della cultura francese»; erano «Les jours de France», per il gemellaggio culturale tra il III municipio capitolino e il XIII Arrondissement parigino, ma quando i «giorni» sono finiti, sono stati i Cavalieri di Colombo stessi a chiederle di terminare il muro. «Un work in progress durante il quale ho conosciuto la gente che vive lì, dal barbone alla bambina del palazzo di fronte... A me oggi quel muro piace meno, però il fatto che non appartenga più a me, che sia stato adottato da chi lo vive fa capire che l’arte può essere utile, anche nella sua futilità». E anche fuori dalle gallerie d’arte. Lontani da «una fruizione dell’arte che non ti faccia sentire un cretino», come la definisce lei. E lontano continua ad andare, sempre nel tentativo «di continuare a fare dell’arte indipendente», fino a New York, dove ha lasciato il segno in ben tre dei cinque “boro” della città. «Non volevo andare nei soliti posti autorizzati», spiega presentando un trittico nato dalla volontà di recupero e rivalorizzazione dell’area di Rockaway Beach, devastata dall’uragano Sandy. In From Aways, il primo murales, una giovane lancia un aeroplanino di carta verso Jersey City, qui il secondo murales New Journey mostra una seconda ragazza osservare, insieme alla prima, il volo del messaggio che ci porta fino a Inwood, all’interno del cortile della Amistad and Muscota school, dove vediamo la nuova protagonista leggere il messaggio portato dal vento.
Un trittico reso possibile – oltre che, economicamente, da una edizione limitata realizzata a Roma su dei cartoni della pizza – da una rete di contatti e di appassionati che hanno permesso di superare ostacoli e di abbreviare i tempi. «Alla fine ti rendi conto, grazie alla disponibilità delle persone e al loro entusiasmo che effettivamente c’è qualcosa che va al di là del tuo ombelico, qualcosa di cui io sono tramite, ma che entusiasma la gente». Su quel lavoro newyorkese stanno cercando di realizzare un documentario, ma «l’Arte in Strada» (come preferisce chiamarla Alice, invece di Street Art, «un termine che non mi piace»), intesa come arte pubblica e contestuale è tornata a casa il 25 aprile scorso.
«Io avevo una idea, essendo italiana e essendo donna e lavorando in strada spiega – l’artista – e pensando a guanto sia tipico il panorama dei panni stesi in certi quartieri, come rappresentanza di un ceto sociale. E quanto rappresenti l’immaginario collettivo femminile, con il suo simbolico esporre in pubblico qualcosa di così intimo e permettere una comunicazione tra dirimpettai... Ho deciso che mi sarebbe piaciuto raccontare una storia dipingendo sulle lenzuola stese, come idea estetica e artistica, dopodiché: che storia raccontare?». Inizialmente quella delle donne partigiane, in occasione della Festa della Liberazione, «una parte di storia di cui non si parla molto»; ma il progetto si è ampliato, a coinvolgere attivamente il quartiere. «Al di là dell’idea delle lenzuola ho voluto vedere cosa già ci fosse a san Lorenzo per il 25 aprile – racconta – e ho trovato Rino, che completamente fuori dal tempo, ogni anno con la sua ape rossa, di propria spontanea volontà, va sotto le case dei partigiani a leggerne la storia e a lasciare una rosa». «Una forma di Resistenza moderna», ma «sul percorso ci vivono delle persone... C’è la palestra popolare che organizza un torneo di boxe in quel giorno, Lisa che ogni venerdì blocca il traffico e passa con i ragazzini di 4 o 5 anni in bicicletta per protestare contro la mancanza di una pista ciclabile, e che sta cercando di realizzare un giardino verticale sul palazzo bombardato davanti a casa sua, che sani quella che in qualche modo è una ferita ancora aperta. Come quella dell’anziana signora che aveva 10 anni in quel 9 luglio 1943, sfollata a via dei Corsi in edifici fatti con le macerie, dove non c’era niente e che han dovuto rendere abitabili gli stessi inquilini», i quali – dopo la prospettiva ventilata dall’Ater di dover acquistare le case a prezzo di mercato e un anno di trattative – ancora non hanno ben chiara la loro sorte.
Singole iniziative, storie minime, cui in pochi hanno prestato attenzione, che han fatto crescere in Alice «L’idea di poter raccontare sulle lenzuola la loro Resistenza» e che l’han convinta che «questa condivisione» andasse «al di là della mia idea di racconto della storia delle partigiane». «Qual è d’altronde l’eredità della Resistenza? Che vuol dire 25 aprile? Perché in questo quartiere c’è ancora tutto questo, perché resiste? Perché ha questa nomea al di là di quanto accaduto durante la guerra? – ci domanda, offrendoci una risposta: – mi sono resa conto che c’è una eredità della Resistenza, ma è nelle azioni di quella gente, che in quel quartiere è abituata a resistere». Sette disegni su sette lenzuoli appesi alle finestre di «sette donne del presente, che continuano a resistere e a lottare», ma senza dimenticare la Resistenza che fu. «Sono andata al Circolo Gianni Bosio, per parlare con loro, sono in contatto con Sandro Portelli che ha recuperato del materiale della casa della memoria; ma su San Lorenzo hanno pochissima roba, per cui l’idea è anche di donare le interviste che stiamo realizzando, seguendo la preparazione del progetto con una telecamera, per altro realizzate da professionisti del settore che vivono nel quartiere e che han deciso di prestare la propria opera per un progetto autoprodotto, senza budget, che potrebbe diventare realtà l’anno prossimo per il 70º anniversario…».