Nicole Kidman, Corriere della Sera 14/5/2014, 14 maggio 2014
«VI SVELO L’ENIGMA DI GRACE, SEMPRE FEDELE A SE STESSA»
Ho imparato ad apprezzare Grace Kelly grazie a film come La finestra sul cortile e Caccia al ladro, ma della principessa Grace conoscevo soltanto l’immagine pubblica, una fiaba che a noi tutti appariva lontana. Non sapevo nulla della sua infanzia, né della sua battaglia per diventare attrice e non avevo mai pensato a lei come auna giovane artista in cerca di se stessa e di un posto nel mondo.
Sapevo ancora meno del suo matrimonio con il principe Ranieri, e della loro vita famigliare. Nel prepararmi a interpretare il suo ruolo per il film Grace di Monaco , ho avvertito una spaccatura tra la Grace pubblica, l’attrice e la principessa, e quella privata, la madre, la moglie, la figlia. Il fulcro della mia ricerca era capire cosa ci fosse dietro la favola. Grace era una persona molto riservata che aveva sempre gelosamente protetto la sua privacy e io volevo rispettarla. Ma nel contempo desideravo rappresentare in modo autentico la sua vita e le straordinarie esperienze da lei vissute. Nel calarsi nel ruolo di un personaggio storico, soprattutto se celebre quanto la principessa Grace, l’artista o l’attore rischia sempre di ridursi a farne un’imitazione. Io desideravo davvero andare oltre. Così ho cominciato a leggere tutto ciò che era stato scritto sul suo conto. Ho studiato le sue interviste, guardato i suoi film.
Il mio obiettivo era cercare di carpire la sua essenza, in modo da restituire un ritratto della sua persona a tutto tondo e rendere la mia performance il più espressiva possibile. Sapevo per esperienza che addentrandomi nella sua vita, lasciandomi permeare da lei, il ritratto di Grace sarebbe emerso dalla mia interpretazione in modo quasi inconscio.
Mi ha sempre affascinata il confine labile tra arte e realtà, e il punto in cui i due ambiti arrivano a sovrapporsi. È là che un artista trova il modo di portare la vita vera nel mondo fittizio del cinema. Vi farò un esempio. C’è una scena del film in cui Grace si interroga su come affrontare la propria posizione di principessa. Il suo confessore, padre Tucker, le suggerisce di considerare le sue incombenze di sovrana come se fossero il ruolo più importante della sua carriera di attrice. È una scena cruciale perché è allora che Grace realizza qual è il suo posto a Monaco ed è proprio in quel momento che il suo enigma mi si è disvelato. Lo ricordo distintamente perché mi ha fatto capire quanto difficile e complesso fosse l’impegno che si era assunta. Un capo di stato deve recitare, esibirsi, eppure la sua non è una recita, un’interpretazione: è la vita vera. Nel mondo reale non ci sono set cinematografici e inquadrature che ti dicono come e chi essere. Grace uscì vittoriosa da una sfida in cui in palio c’era la propria identità, riuscendo a trovare il giusto equilibrio tra la sua vita di attrice, di madre, di moglie e di principessa. Un’impresa davvero notevole. Conoscendola meglio, sono rimasta anche molto colpita dalla sua profonda dedizione ai figli e al marito, dal suo impegno nei confronti della famiglia. A Philadelphia, Grace era cresciuta nell’agio di una famiglia ricca. Poi erano venuti i tempi difficili del suo debutto da attrice, seguiti dalla celebrità da star di Hollywood. Dopodiché aveva acquisito una fama ancora maggiore, circondata dal glamour di Monaco. Ma passando da una fase all’altra era rimasta sempre fedele a se stessa (...).
Per orientarsi nella vita, i suoi punti cardinali furono l’amore, la comprensione e la sensibilità verso le altre persone. Si sa quanto la fama e la ricchezza possano condurci fuori strada. Anche Grace lo sapeva, meglio di molti altri. Ma tenne sempre presente ciò che contava davvero, seguendo la sua personale bussola e consultandola spesso per trovare la giusta direzione. E la bussola le suggeriva sempre di dare ascolto al cuore. La sua fedeltà al proprio cuore è, credo, il motivo per cui così tante persone in tutto il mondo provano un legame d’affetto nei suoi confronti. E da nessun’altra parte quel legame è forte quanto a Monaco. Lei ci approdò nel 1956 come Grace Kelly, l’attrice, ma già nel 1962, quando Alfred Hitchcock le chiese di tornare sul set, offrendole il ruolo da protagonista in Marnie — momento centrale del mio film — non era più Grace Kelly. Era diventata la principessa Grace. Si trattò di una metamorfosi unica, senza precedenti. Ancora oggi la presenza di Grace è tangibile, a Monaco. Il regista del mio film, Olivier Dahan, lo ripeteva spesso: Grace diventò Monaco, e Monaco diventò Grace. Erano inseparabili allora come adesso.
Trovo straordinario che una persona, un momento storico e un luogo si siano allineati così perfettamente da combaciare e fondersi l’uno nell’altro. Ma, allo stesso tempo, provo un senso di vuoto. Nel periodo in cui ho letto i libri, gli articoli e guardato i film, avvertivo di aver familiarizzato con Grace, e quella familiarità me ne fece sentire la mancanza. Mi sono resa conto che alla sua morte, nel 1982, il mondo aveva perso una donna davvero speciale. Restano il film sulla sua vita, che per fini narrativi si è preso qualche delicata libertà rispetto alla realtà dei fatti, e questa biografia, che racconta la sua storia così com’è accaduta. Per parte mia, ho cercato di tenere in vita, tramite la mia interpretazione, la vera magia di Grace.