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 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

LA CORTE DI GIUSTIZIA IMPONE A GOOGLE DI RISPETTARE IL DIRITTO ALL’OBLIO

Qualcuno brinderà alla «privacy», qualcun altro denuncerà un presunto complotto per imbavagliare Internet. Ma sia come sia, da oggi le cose stanno così: se il piccolo Davide europeo non vuole lasciare le sue orme nella grande arena di Internet, il Golia (o i Golia) che la governa deve obbedirgli, e cancellare quelle orme, dovunque esse si siano disperse.
Volendo esagerare un po’ e tradurre tutto in termini di mito, è questo il senso della sentenza emessa ieri dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nei confronti di Google. I magistrati hanno dato ragione a un avvocato spagnolo che, appunto, chiedeva di «scomparire» dal web. E hanno sentenziato: sia Google, sia gli altri motori di ricerca sul web devono rispettare il «diritto all’oblio» di qualunque cittadino, che non voglia più trovare sul web questo o quel segno della sua biografia, della sua opera, dei suoi contatti sociali o delle sue attività economiche (e magari dei suoi reati), insomma di qualunque cosa anche risalente a molti anni prima, che possa parlare agli altri di lui. Se lo stesso cittadino lo richiederà espressamente, i motori di ricerca dovranno dunque intervenire per fare tabula rasa sulla propria rete o premere sulle altre dove quel pezzetto di privacy sia eventualmente approdato, anche solo per un casuale contatto e senza alcuna responsabilità del motore originario. La sentenza vale ovviamente solo per i cittadini Ue: ma siccome i «Davide» d’Europa a spasso sul web sono potenzialmente 500 milioni, se solo la metà di essi protestasse richiedendo l’attivazione delle costose procedure di ricerca e cancellazione dei dati, i bilanci di Google e colleghi ne avrebbero probabilmente a soffrire.
Ecco infatti le prime reazioni da un portavoce del colosso: «Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale. Siamo molto sorpresi che diverga così recisamente dall’opinione espressa dall’avvocato generale Ue. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni».
Per l’Ue è comunque una sentenza che farà storia. Tutto ha avuto inizio da quando l’avvocato spagnolo Mario Costeja, nel 2009, cercando sulla rete il suo nome, lo ha trovato sul sito di un giornale quotidiano della Catalogna, che lo associava a un elenco di debiti, nel frattempo cancellati. Nonostante le proteste dell’avvocato, sia Google sia il giornale rifiutarono di eliminare quei dati. Seguì una lunga battaglia giudiziaria. Conclusa con quella che oggi Viviane Reding, commissaria Ue alla giustizia, chiama una vittoria: «Ora le società non potranno più nascondersi dietro i loro server in California o altrove». E il diritto all’oblio non sarà più uno strano animale a rischio di estinzione sul web.