Antonella Baccaro e Flavio Haver, Corriere della Sera 14/5/2014, 14 maggio 2014
FUGA DI NOTIZIE ALL’ECONOMIA I FINANZIERI CERCANO LA «TALPA»
Tre funzionari inquisiti, diffusa a ottobre la bozza del Def ROMA – Due denunce in Procura, una perquisizione al ministero dell’Economia, tre funzionari sotto inchiesta. Rischia di diventare un caso l’iniziativa del dicastero di via XX Settembre per arginare la fuga di notizie sui documenti economici più importanti emanati dal governo.
Ieri mattina i finanzieri del Nucleo speciale frodi tecnologiche si sono presentati al ministero con tre decreti di perquisizione. Obiettivo: incastrare la «talpa» che nell’ottobre scorso aveva allungato a organi d’informazione la bozza riservata del Documento di economia e finanza (Def) firmata dall’allora ministro Fabrizio Saccomanni (governo Letta). Quelle indiscrezioni, diffuse da giornali e tv, avevano provocato la pubblica irritazione del responsabile del dicastero. Ma solo oggi si viene a sapere che Saccomanni decise di andare a fondo della questione, rivolgendosi alla Procura.
I tre provvedimenti riguardano altrettanti funzionari (non in posizioni apicali, è stato sottolineato dagli ambienti giudiziari) dalle cui postazioni sarebbero partite le informazioni arrivate ai mass media : sono tutti indagati per rivelazione e divulgazione di segreto d’ufficio. Ad accendere i riflettori su di loro, gli accertamenti diposti dal procuratore aggiunto Nello Rossi e dal pubblico ministero Nicola Maiorano dopo la segnalazione del capo di gabinetto di Saccomanni. Dalle verifiche preliminari della Guardia di finanza era emerso che quei documenti originali (seppure non definitivi) relativi al Def erano partiti dagli indirizzi di posta elettronica dei funzionari ora sotto inchiesta.
Due settimane fa, la seconda denuncia, questa volta del capo di gabinetto dell’attuale ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, contro la diffusione di bozze del Def e di provvedimenti in corso di elaborazione da parte del governo Renzi. Questo secondo troncone d’inchiesta è appena iniziato e le Fiamme gialle sono a lavoro per individuare gli autori della divulgazione che potrebbero essere soggetti diversi dai tre indagati e perquisiti ieri. Era da tempo che al ministero dell’Economia il problema della persistente fuga di notizie su documenti interni, ma anche sui movimenti del ministro, era finito all’attenzione dei vertici di via XX Settembre. In un primo momento, l’allora ministro Saccomanni aveva cercato di porvi rimedio richiamando i dirigenti, i funzionari e tutti i lavoratori del dicastero alla massima fedeltà, perché esiste un obbligo di questo tipo che riguarda tutti i dipendenti pubblici, ma anche perché c’è un codice etico del ministero dell’Economia che vincola chi vi lavora. Ma la moral suasion di Saccomanni non deve essere bastata, così come non è servita a dissuadere gli «informatori» una serie di accortezze utilizzate per limitare il passaggio dei documenti attraverso gli uffici o per rendere le copie riconoscibili attraverso codici. Gli episodi hanno continuato a ripetersi con una certa continuità, al punto che il ministero ha preso la decisione di passare all’azione sul piano giudiziario, inviando un esposto alla Procura di Roma. Un’iniziativa senza precedenti, dunque, dal momento che di bozze di provvedimenti economici ne sono circolate sempre tante, sotto tutti i governi che si sono finora succeduti. In via XX Settembre però difendono la linea dura: «C’è bisogno di tutelare prima di tutto la reputazione dell’istituzione — spiegano — affinché non appaia un “colabrodo”». Ma poi c’è anche una preoccupazione politica: proteggere il processo tecnico attraverso cui si prendono le decisioni, che è complesso perché coinvolge sempre molti soggetti, evitando che chi assume i provvedimenti «appaia confuso». In effetti la conoscenza delle varie bozze di un provvedimento economico e il loro confronto racconta molto di più: ad esempio serve a capire quali interessi, al termine del processo decisionale, abbiano prevalso su altri. E proprio questo forse l’aspetto più politico della divulgazione di notizie in «corso d’opera» da cui un governo, se vuole, deve guardarsi.