Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 14 Mercoledì calendario

REGGIO CALABRIA

Il volto tirato, pantaloni e camicia neri, sulle spalle una giacchetta color pesca e gli occhiali da sole a nascondere gli occhi azzurri. Parla con un filo di voce: «Ho fatto solo quello che avrebbe fatto qualsiasi mamma». Raffaella De Carolis, finita ai domiciliari con l’accusa di aver favorito la latitanza del figlio Amedeo Matacena, arriva alla stanza del gip Olga Tarzia accompagnata da poliziotti in borghese. Si muove lentamente, ma con energia. Non un gesto di nervosismo o parole fuori posto. Sul pianerottolo dell’ufficio al secondo piano del Centro direzionale sede del Tribunale, la attendono gli avvocati Pino Verdirame e Corrado Polito, li conosce tutti e due da sempre. Soprattutto
Pino, storico legale di suo marito, il cavaliere Amedeo Matacena senior. Un’amicizia solida. Era lui a sbrigare le seccature dell’imprenditore che si è inventato la Caronte, la società dei traghetti tra Sicilia e Calabria, ed è sempre stato Verdirame a difenderlo in contenziosi di ogni genere. Amico e consigliere, persona pacata e bravo professionista. All’arrivo, poco prima di mezzogiorno, il legale le va incontro. E chiede alla scorta: «Solo un abbraccio ispettore, posso?». Un cenno del capo e Verdirame le stringe le spalle: «Come stai Raffaella?». E lei: «Ho fatto solo quello che avrebbe fatto una madre qualsiasi, ho aiutato mio figlio, ma non sapevo neppure che fosse un reato». Dieci minuti di
attesa, poi dalla stanza del giudice esce il commercialista Antonio Chillemi, storico collaboratore e amministratore di alcune società della famiglia, anche lui ai domiciliari. Il suo interrogatorio si è appena concluso e lui, sorretto dalle stampelle, sfila in mezzo al gruppo senza neppure alzare la testa. Anche lui è sempre stato un amico, ma con la De Carolis non c’è alcun cenno di saluto.
Verdirame bisbiglia ancora: «Raffaella hai letto l’ordinanza?». La risposta è fredda: «No, lo sai che non ci capisco niente di queste cose e non avevo nessuno che me le spiegasse ». Lei non si scompone, è una signora. Anzi, per un lungo periodo è stata “la signora” di Reggio Calabria. Miss Italia nel 1962,
a 20 anni. Stava già con il cavaliere che l’aveva portata via giovanissima con la “fuitina”: i genitori di Raffaella pensavano fosse troppo giovane per un marito. Campana anche lei come l’armatore che l’aveva assunta come segretaria, se ne era innamorata subito e lui ne aveva fatto “La signora di Reggio”, con tanto di casa da 400 metri quadrati ai piani alti di un palazzo di Parco Fiamma, il quartiere in della città. «Ho fatto solo la mamma», ha detto anche alla Tarzia che le ha rivolto solo poche domande. «Si è vero, ho tentato di aiutare mio figlio Amedeo». Il giorno dopo l’arresto a Dubai. «Ho prenotato l’aereo e sono andata da mio figlio, volevo vederlo, sincerarmi delle sue condizioni di
salute, era andato via da alcuni mesi e non lo aveva più incontrato». La borsa stretta al braccio e gli occhiali in mano, la De Carolis ha parlato per poco più di mezz’ora: «Dopo quella prima volta a luglio scorso, sono tornata a Dubai ancora, sempre per pochi giorni, ma non sapevo di commettere un reato». Negli Emirati Arabi ci è andata anche per un altro motivo: «Ho sempre detto ad Amedeo di tornare in Italia, di difendersi dall’Italia, che era inutile e indecoroso scapparsene. Ma lui niente». Un aiuto, ma mai economico: «Non gli ho mai mandato soldi perché non ne aveva bisogno, aveva il suo denaro, quello che si era guadagnato da parlamentare e da imprenditore, e poi c’erano i soldi lasciati dal padre». Nessun testamento, Matacena senior aveva venduto le quote della Caronte e aveva diviso tutto in parti uguali, «a me, ad Amedeo e all’altro figlio». E anche sui patrimoni che i magistrati pensano possano essere illeciti la De Carolis non ammette insinuazioni: «Sono il frutto del lavoro di mio marito», nulla di più nulla di meno.
Il giudice Tarzia accenna a qualche altra domanda. Le chiede delle società, degli affari di Amedeo junior, lei però non riesce a essere precisa: «Non mi sono mai occupata di queste cose, gli affari li gestiva prima mio marito, poi Amedeo per la sua parte. Di queste cose non so nulla, come niente so di politica e politici». La politica che pure ha sconvolto la sua vita l’aveva fatta il cavaliere. Matacena senior aveva finanziato i “Boia chi Molla” nel ‘70, era stato sindaco di Reggio con i Repubblicani per un breve periodo, per poi vivere indirettamente l’avventura del figlio, che era arrivato in Parlamento con Forza Italia. Una salita vertiginosa e poi il declino con la condanna a 5 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Lei, di questo non sa nulla. Saluta, firma il verbale che le porge il cancelliere e si fa riaccompagnare a casa. Lenta e decisa, così come era arrivata.