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 2014  maggio 13 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - RENZI A MILANO E LA NUOVA TANGENTOPOLI


REPUBBLICA.IT
ROMA - Le iniziative del pm Alfredo Robledo "hanno determinato un reiterato intralcio alle indagini" sull’Expo. Lo scrive il procuratore di Milano Edmondo Bruti Liberati in una nota al Csm, nella quale osserva che l’invio da parte di Robledo al Csm di copie di atti del procedimento ha anche "posto a grave rischio il segreto delle indagini" in carcere la cup
Tra gli episodi che Bruti Liberati cita c’è anche quello di un doppio pedinamento che avrebbe potuto compromettere l’inchiesta: "Robledo pur essendo costantemente informato del fatto che era in corso un’attività di pedinamento e controllo su uno degli indagati svolta da personale della polizia giudiziaria, ha disposto, analogo servizio delegando ad altra struttura della stessa Guardia di finanza" scrive il procuratore. "Solo la reciproca conoscenza del personale Gdf che si è incontrato sul terreno ha consentito di evitare gravi danni alle indagini", ha aggiunto Bruti Liberati.
Nella sua nota al Csm il procuratore di Milano Bruti Liberati auspica una "sollecita definizione" del fascicolo che è stato aperto dopo l’esposto presentato contro di lui dal pm Alfredo Robledo. Il tutto per consentire all’ufficio da lui guidato di "svolgere il suo difficile compito in un clima di ’normalita, fuori dai riflettori sul preteso ’scontro nella procura di Milano’".
Dietro l’inchiesta che ha portato all’arresto dei componenti della cupola dell’Expo 2015, c’è una forte polemica fra magistrati. Qualche giorno fa il procuratore aggiunto di Milano Robledo non ha vistato gli atti e ha mandato un esposto al Csm contro Bruti Liberati.

2. PM POMARICI A CSM, ANOMALO ASSEGNARE RUBY A BOCCASSINI
(ANSA) - E’ stata "anomala" l’assegnazione dell’indagine Ruby a Ilda Boccassini, capo della Dda di Milano. Lo ha sostenuto il pm Ferdinando Pomarici nella sua audizione davanti al Csm, spiegando di aver messo nero su bianco le sue critiche in una lettera al procuratore Bruti Liberati.

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"Voglio confermare alcuni impegni che il governo ha preso. Siamo assolutamente certi che l’Expo sia una strepitosa opportunità anche per il tema che è stato scelto". Il presidente del Consiglio Matteo Renzi rilancia il suo impegno su Expo. In visita a Milano dopo la bufera esplosa con la nuova Tangentopoli ha voluto rassicurare le istituzioni milanesi. I sette arresti (tra cui l’ex manager di Expo, Angelo Paris, ora sostituito da Marco Rettighieri, attuale direttore generale operativo di Italferr) hanno seminato il dubbio che quella del 2015 sia una data ormai difficile da rispettare. Ma Renzi si dice convinto che la sfida si possa vincere.
"Expo è un’occasione strepitosa". Ai vertici della Camera di Commercio ha ribadito: "Milano è per l’Italia un punto di riferimento, siamo a un passaggio delicato, ma strategico. Se vinciamo la sfida facciamo l’Italia". Renzi, però non nasconde la gravità dei fatti: "Non sottovaluto ciò che è accaduto e confesso il senso di sbigottimento e amarezza pazzesca quando vedi certe immagini di buste che escono da una giacca e certi nomi che pensavi appartenere al passato". Ma lo Stato, ha concluso, "è più forte dei ladri".
Tre livelli per aiutare Expo. Renzi si è detto "convinto" che il governo possa agire su tre livelli per sostenere l’esposizione. Per prima cosa, ha spiegato, sarà avviata una "semplificativa burocratica riguardo alle procedure". In secondo luogo, "saremo operativi nel rispetto di tutte le scadenze perchè vogliamo arrivare in tempo". Infine, ha confermato, vi sarà il "coinvolgimento" dell’Autorità nazionale anticorruzione. La sua convinzione è che la tabella di marcia sarà rispettata e l’esortazione a non mollare arriva citando Hemingway: "ll coraggio è la grazia sotto pressione. Siamo assolutamente convinti che ci voglia tanto coraggio per arrivare pari con i tempi. E lo faremo".
Norme Anticorruzione dal 27 maggio. Intanto il Senato ha deciso di accelerare l’iter del ddl anticorruzione che sarà in aula al Senato nella settimana tra il 27 e il 29 maggio, e quindi dopo le elezioni europee del 25 maggio. Lo ha deciso la capigruppo di Palazzo Madama con una decisione presa non all’unanimità ma a maggioranza. "Tra il 27 e il 29 maggio, assieme ai ddl di ratifica - spiega il presidente del Senato, Pietro Grasso - saranno esaminati le norme anti-corruzione. Su quest’ultimo punto la decisione è stata assunta a maggioranza".
La contestazione in via Rovello. L’impegno del governo viene rilanciato subito dopo un incontro in Rovello, sede di Expo, con i vertici della società, la Regione, il Comune e la prefettura. Al suo arrivo, però, il premier viene accolto da una cinquantina di manifestanti dei Comitati per la casa e contro Expo 2015 che, al grido di "Sgombriamo Renzi, occupiamo tutto", hanno cercato di sfondare il cordone di polizia ’armati’ di bandiere rosse con la scritta ’stop agli sfratti, sgomberi e pignoramenti’.
Il lavoro al centro della protesta. Casa ma anche lavoro, al centro della protesta in via Rovello. Sotto accusa la priorità data dal premier nella sua visita e la scelta "di metterci la faccia per ripulire dalla mafia come fossero tutti amici suoi, mentre in Parlamento si discute un job act che cancella ogni tipo di diritto sul lavoro". A spiegare le ragioni del blitz una giovane universitaria, rappresentante del Cantiere, uno dei centri sociali più attivi di Milano: "Si parla di 18.500 lavoratori volontari che saranno occupati quasi gratuitamente a un euro all’ora. Expo grande occasione di lavoro, ma per chi?".
"Aiutatemi a cambiare l’Italia". Che la tappa milanese dovesse dare il segnale di un rinnovato clima di fiducia è stata la prima sosta in città di Renzo. Ai bimbi della scuola elementare di via Massaua, infatti, il premier ha detto: "Aiutateci a cambiare l’Italia. Voi siete molto importanti anche se non votate". Poi ha ringraziato gli insegnanti, sottolineando l’importanza del loro lavoro "che in Italia non è riconosciuto come dovrebbe". All’uscita della scuola un gruppo di mamme che si è fatto promotore delle istanze di un’altra scuola, quella di via San Giusto.
Diecimila cantieri nelle scuole. C’è molto Expo, ma c’è anche tanta scuola nei contenuti dei discorsi ’milanesi’ di Renzi. "Da qui ai prossimi mesi - ha detto - apriremo diecimila cantieri nelle scuole". E ha spiegato di essere stato molto colpito dall’istituto scolastico visitato in mattinata: "Ho conosciuto un gruppo di genitori - ha detto - che si sono fatti dare il materiale dal Comune e si sono messi a tinteggiare i muri della scuola".
La promessa a Mohamed. "Renzi, in visita in una scuola di Milano, ha parlato con un bambino di nome Mohamed e gli ha promesso che sarà più facile per loro ottenere la cittadinanza italiana. Buffone! vai a parlare con il figlio di un esodato italiano" ha scritto su Facebook Matteo Salvini. L’episodio a cui si riferisce il segretario della Lega è avvenuto ancora in via Massaua, dove Renzi ha promesso a un alunno, Mohamed, che chi è nato in Italia, anche da genitori extracomunitari diventerà cittadino italiano dopo aver effettuato un solo ciclo di studi.

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A distanza di poco più di un mese dall’arresto di Antonio Rognoni, ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde, società coinvolta nella realizzazione delle più importanti opere pubbliche lombarde, una bufera giudiziaria si è abbattuta sull’Esposizione universale in programma fra un anno a Milano. In carcere è finito uno dei manager più importanti di Expo 2015 spa, Angelo Paris - direttore della divisione Construction and dismantling (ovvero ’costruzione e smantellamento’) - e con lui anche due vecchi protagonisti della stagione di Tangentopoli, Primo Greganti e Gianstefano Frigerio, i quali assieme all’ex senatore pdl Luigi Grillo avrebbero posto in essere una "saldatura" fra imprese, cooperative e tutti gli schieramenti politici, da destra a sinistra fino alla Lega, per condizionare e assegnare appalti in cambio di tangenti.
Una "cupola" in Lombardia. "Abbiamo reciso nel più breve tempo possibile i rami malati, proprio per consentire a Expo di ripartire al più presto", ha chiarito il procuratore della Repubblica di Milano, Edmondo Bruti Liberati, il quale, a chi gli ha fatto notare che questa era una delle inchieste citate dal procuratore aggiunto Alfredo Robledo nell’esposto contro di lui al Csm, ha risposto: "Robledo non ha condiviso l’impostazione e non ha vistato gli atti". Secondo il procuratore aggiunto Ilda Boccassini e i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, negli ultimi due anni avrebbe operato in Lombardia una vera e propria "cupola" che prometteva "avanzamenti di carriera", grazie a "protezioni politiche", a manager e pubblici ufficiali disponibili a pilotare le gare a favore degli imprenditori che versavano le mazzette. E così nell’ordinanza di custodia cautelare, firmata dal gip Fabio Antezza, compaiono i nomi di numerosi politici,tra cui Silvio Berlusconi, che avrebbe ricevuto lo stesso Paris ad Arcore lo scorso febbraio, ma anche quelli di Cesare Previti e Gianni Letta (che non sono indagati).
Le riunioni nel circolo Tommaso Moro. "Non c’è alcun politico nazionale indagato", hanno chiarito i pm spiegando, fra le altre cose, che la "sede sociale" dell’associazione per delinquere (sono stati contestati anche i reati di corruzione, turbativa d’asta e rivelazione di segreto d’ufficio) si trovava a Milano in un centro culturale intitolato a Tommaso Moro. Centro di cui era presidente Frigerio, ex parlamentare dc , già condannato ai tempi di Mani Pulite e attualmente collaboratore dell’Ufficio politico del Ppe a Bruxelles. E se Frigerio, detto ’il Professore’ o ’l’Onorevole’, dalle intercettazioni sembra essere stato in stretti rapporti con l’ex premier Berlusconi ("il mio capo mi ha chiamato ad Arcore", diceva in una conversazione del 10 maggio 2013), Greganti, noto come il collettore delle ’mazzette rosse’ più di vent’anni fa, nella "cupola" era, come scrive il gip, il "soggetto legato al mondo delle società cooperative di area Pd", le quali, come hanno chiarito i pm, venivano da lui protette e favorite negli appalti.
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Una mazzetta da 600mila euro. E anche Grillo, detto ’Gigi’ e già coinvolto nell’inchiesta Bpi-Antonveneta, benché uscito più di un anno fa dal parlamento ha mantenuto, si legge nell’ordinanza, "intatta la capacità di relazionarsi ad alto livello con il mondo politico-parlamentare", la vera "leva", secondo i magistrati, per inquinare le gare. Così un importante appalto per l’Expo 2015 "del valore di 67 milioni di euro" sarebbe stata aggiudicato "in favore di un’associazione temporanea di imprese partecipata da Celfa oltre che dalla Maltauro costruzioni spa", società dell’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, anche lui finito in carcere. Si tratta della gara riguardante le cosiddette ’architetture di servizio’ e che sarebbe stata condizionata, secondo quanto riportato dall’ordinanza, in cambio di una stecca da "600mila euro da suddividersi in parti uguali" tra i partecipi dell’associazione, fra cui anche Sergio Cattozzo, ex segretario dell’Udc della Liguria (per Rognoni, invece, è stata disposta una nuova misura di arresti domiciliari).
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Le mani sulle Vie d’acqua. Paris avrebbe riservato, secondo il gip, "un trattamento preferenziale a imprese di riferimento dell’associazione" in relazione anche ad altri appalti per l’Expo, tra cui quello relativo "al progetto Vie d’acqua". Poi anche il tentativo di condizionare altri appalti "minori" dell’Expo, come quello dell’area parcheggi, e gli interventi sui direttori generali di una serie di ospedali e sul progetto ’Citta della Salute’, da 350 milioni, oltre all’appoggio continuo a Giuseppe Nucci, ex amministratore delegato della società pubblica Sogin, che si occupa dello smaltimento delle scorie nucleari.
Bersani e Maroni. Nel settembre 2013 Cattozzo, parlando di una sfumata nomina di Nucci (indagato), diceva che anche Greganti "era convinto che si potesse ancora correre su Nucci presidente perché Pierluigi Bersani ha detto: io sono d’accordissimo". E da una telefonata intercettata fra Cattozzo e un’altra persona emergerebbe "la circostanza per la quale Frigerio ha effettuato, a dire degli stessi sodali, un ulteriore intervento presso Maroni e presso Berlusconi per raccomandare la nomina di Paris presso Infrastutture Lombarde spa" dopo l’arresto di Rognoni., come scrive il gip.

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ROMA - Questa volta tocca all’Expo, al Pd e a Cantone: dal suo blog prima e in conferenza stampa poi, Beppe Grillo, spara a zero sul governo e sull’esposizione 2015: "L’Expo è il gioco dei quattro cantoni nel quale il responsabile di una fantomatica task force nominato da Renzie si chiama proprio Cantone. Un signore che ha la responsabilità dell’Autorità anticorruzione e che sulla corruzione dell’Expo non ne sapeva nulla. A che pro prende quindi lo stipendio e a cosa serve l’Autorità anticorruzione? In Parlamento da decenni si parla di legge anticorruzione e sul conflitto di interessi. Se ne parla e basta, se no come si potrebbe continuare a rubare?", domanda il numero uno del Movimento in un suo post. "Dobbiamo aprire gli occhi, l’Expo non è stato pensato per dare un’immagine dell’Italia al mondo. L’hanno fatto per riciclare denaro, è un’associazione a delinquere alla luce del sole. Sarà una guerra. Con Expo daremo un giro di vite, altro che andare avanti con questa putt...’’, ha poi aggiunto, parlando a ’Le banque’ in centro a Milano.
"Arriva il supercommissario che è supercommissario alla corruzione. Lui stava all’ufficio dove prendeva anche uno stipendio, ora è un commissario che va a commissariare un commissario. Il commissario che doveva
commissariare prima, invece, dice che lui non è accordo. Ci vuole uno psichiatra".
Il leader del Movimento è convinto che l’esposizione vada bloccata: "Deve essere fermato tutto perché ci sono ancora in ballo 4-5 miliardi. Ma vanno arrestati i leader politici, non questi poveracci", ha detto Grillo rivendicando il fatto che la magistratura si muove perché sa che c’è il Movimento 5 Stelle: "Adesso la magistratura si sta muovendo, secondo me, perché sa che c’è una forza politica importante, forse la prima del Paese, che non gli va contro. Ecco perché sono intervenuti dopo che siamo andati noi all’Expo".
Contro il Pd. Ma il leader M5s ne ha anche per il Pd: "La prossima Autorità anticorruzione dovrebbe occuparsi a tempo pieno dei partiti a iniziare dal Pd. I suggerimenti glieli darà (gratis) il M5s. È un lavoro facile, facile. L’Expo è un furto aggravato e continuato, il 90% degli appalti e dei subappalti è già stato assegnato. L’unica cosa da fare è fermarlo".
...e Renzi. Grillo, naturalmente, non risparmia il premier: "Quando Renzie ci mette la faccia i cittadini ci mettono il culo (e i soldi). Renzie ha detto che sull’Expo lui ci mette la faccia, è arrivato buon ultimo dopo i renziani Fassino e Chiamparino, ottimi conoscitori di Greganti e Quagliotti, che la faccia l’hanno già persa da un pezzo, il culo ce l’hanno messo i piemontesi e i torinesi indebitati come delle lippe". Poi ha rincarato la dose: "Tra noi E Renzi c’è la stessa differenza tra un bamboccio e un uomo. Noi siamo uomini".
Anche Sala nel mirino. Sul suo blog, Grillo se la prende anche con il commissario Sala. "È indignato e sorpreso dal comportamento dei suoi collaboratori" dice e sintetizza: c’è quindi "un responsabile dell’Anticorruzione che nulla ha visto sulla grande abbuffata di Milano e un commissario che andrebbe commissariato per incapacità o dabbenaggine".
I quattro cantoni. "Nei cantoni - denuncia ancora Grillo - ci sono i controllori che non controllano. Un responsabile anticorruzione distratto che controlla un commissario dispiaciuto è roba da film del commissario Clouseau, ci sono i tangentisti che fanno il lavoro sporco e rubano a man bassa, sempre gli stessi poi, imprendibili anche se invitati alle riunioni di partito e spediti in Parlamento, ci sono i politici che agiscono nell’ombra e che poi si indignano, ma non con i ladri, ma con chi si indigna per le ruberie spiegando che è una vergogna che i ladri finiscano in galera in periodo elettorale e che questo si traduca in un vantaggio nelle urne per chi non ruba. Roba da matti e da pericolosi populisti. Per la par condicio bisognerebbe arrestare qualche cittadino onesto, meglio se iscritto al M5S".
Ddl anticorruzione in Aula Senato il 27 maggio. Il Senato accelera sil ddl anticorruzione: la discussione è fissata nelle sedute da martedì 27 a giovedì 29 maggio. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, inserendo il provvedimento nei lavori di Aula.
Dopo Europee, gita a Roma. Se dovessimo vincere, ’’non voglio lanciare nessuna cosa altrimenti mi accusano di attentato alla sicurezza’’, ma ’’vado da solo a Roma a fare una gita. Poi se qualcuno vuole venire viene, ma io non dico nulla; chissà saremo un milione... andremo a chiedere a questo signore di spostarsi a Cesano Boscone’’, per avere nuove elezioni, ha annunciato Grillo, in chiusura della conferenza stampa.

PEZZO DI FERRARELLA STAMATTINA SUL CORRIERE
MILANO — Già al primo interrogatorio si spacca subito «la squadra» — come si chiamavano tra loro ai tempi della buona sorte tangentizia — degli arrestati nell’inchiesta sugli appalti di Expo 2015. E così la «linea Maginot» sulla quale si attestano sia l’ex dc parlamentare berlusconiano Gianstefano Frigerio (che rivendica «solo proselitismo politico» e chiede subito la scarcerazione per motivi di salute presentandosi in sedia a rotelle), sia il consulente delle coop rosse Primo Greganti (che rialza il muro edificato vent’anni fa all’epoca di Mani pulite e valsogli la nomea di «compagno G»), sia l’ex senatore pdl Luigi Grillo, a fine giornata rischia di essere già incrinata: spiazzata dalle ammissioni che invece arrivano ai magistrati tanto da un imprenditore privato come Enrico Maltauro, che conferma di aver sinora pagato almeno 350/400 mila euro (rispetto ai 600 mila «ascoltati» dalle intercettazioni), quanto da un pubblico ufficiale come il general manager di Expo 2015 Angelo Paris, che anticipa di voler spiegare come, perché e a causa di chi sia arrivato a commettere «gli errori» di cui si assume «la responsabilità», cominciati a pagare con la presentazione delle proprie dimissioni. E per chi si ritrova tra i due fuochi e sceglie sinora una linea interlocutoria, come Sergio Cattozzo, ex segretario ligure udc e attuale membro dell’Assemblea nazionale dell’alfaniano Nuovo Centro Destra, cominciano comunque a «parlare» già gli incauti post-it con la contabilità dei soldi, che ( Corriere , 10 maggio) Cattozzo si è fatto sorprendere a nascondere nelle mutande durante la perquisizione giovedì.
L’imprenditore Maltauro
L’imprenditore vicentino assistito dagli avvocati Giovanni Dedola e Paolo Grasso premette di essere al replay di un’esperienza vissuta in Mani Pulite: all’epoca collaborò quasi subito e, dopo poche ore di carcere, peregrinò poi per mesi in tutta Italia facendo con i pm delle varie Procure la lista della spesa delle tangenti che i manager della sua impresa di famiglia dicevano di essere stati costretti a pagare per quietare la fame di soldi dei partiti. Maltauro si descrive disgustato da quegli eventi e spiega che essi l’avevano indotto ad allontanarsi dalla gestione operativa dell’impresa per un decennio. Quando però le dinamiche familiari lo inducono a rioccuparsi dell’azienda, Maltauro afferma di essere rimasto allibito da come tutto non fosse cambiato, se non per un aspetto ancora peggiore: e cioè che, al posto dei grandi partiti, dove almeno si sapeva con chi dover parlare, un’impresa come la sua si trova a dover invece subìre il potere d’interdizione di una pluralità di centri di potere parcellizzati, rispetto ai quali sarebbe (a suo avviso) inevitabile e indispensabile dotarsi di una chiave di interpretazione, di una sorta di traduttore di esigenze, insomma di un lobbista capace di capire chi avvicinare e come conquistarne il via libera. Maltauro afferma che il suo lobbista era Cattozzo, persona che gli era stata indicata dal senatore Grillo, e che a sua volta gli aveva poi presentato Frigerio.
L’imprenditore non nega dunque la materialità dei fatti contestatigli (anche perché in alcuni casi sarebbe difficile tra intercettazioni e filmati), e a memoria calcola di aver già stanziato complessivamente 350/400 mila euro a Cattozzo (tra fatturazioni e contanti) e in parte e Frigerio; ma si impegna con i pm a mettere a fuoco i dettagli in prossimi interrogatori, anticipando solo di escludere invece la propria partecipazione a una associazione a delinquere, e asserendo di aver ignorato le modalità eventualmente illecite del lobbismo di Cattozzo.
I post -it di Cattozzo
Il secondo ad essere interrogato, difeso dagli avvocati Michele Ciravegna, Riccardo Ferrari e Rodolfo Senes, è nella posizione più complicata, perché il politico ncd ed ex udc è la persona che le indagini documentano abbia materialmente incassato i soldi, ed è dunque di fronte all’alternativa di dover spiegare non solo a che titolo, ma anche se se li sia tenuti oppure se li abbia in parte girati come tangenti a qualche pubblico ufficiale. È una scelta che rimanda, per adesso ieri volendosi solo dichiarare un lobbista all’americana, cioè un consulente (di Maltauro e di altre società che giura però estranee a illeciti) la cui competenza sarebbe quella di verificare se esistono i presupposti perché alcune aziende possano operare assieme e così generare lavoro. Come? Attraverso la propria rete di conoscenze politiche, che spiega di aver maturato quando era attivo nella Cisl, poi nell’Udc e adesso in Ncd.
Al momento dell’arresto giovedì, durante la perquisizione a casa sua, Cattozzo era stato sorpreso dai finanzieri mentre cercava di nascondere nelle mutande alcuni post-it che aveva strappato da una agenda: ieri ha riproposto le sue scuse ai finanzieri e magistrati, dicendosi vittima del panico in un momento nel quale non era ancora sopraggiunto il suo legale: ma intanto quei foglietti contengono effettivamente la contabilità dei soldi ricevuti dall’imprenditore Maltauro e coincide con quella captata man mano dalle intercettazioni.
Paris e gli «errori»
È l’interrogatorio forse più sofferto, nel quale il capo operativo di Expo 2015, assistito dagli avvocati Luca Troyer e Luca Ponzoni, dichiara subito di non volersi nascondere dietro un dito: dice di voler ammettere quelle che sono le sue responsabilità negli «errori» (rivelazioni di notizie e turbative d’asta) fotografati dall’indagine, pur negando l’associazione a delinquere e con la riserva di alcuni episodi che precisa invece non essere del tutto esatti nella ricostruzione accusatoria. Ma in vista degli interrogatori che si prepara a rendere ai pm Gittardi e D’Alessio, ci tiene ad anticipare di essere scivolato a commettere illeciti non per propria volontà ma, a suo avviso, come reazione a un contesto ambientale molto difficile sul suo posto di lavoro: dove cioè, sprovvisto di un riferimento politico, si sarebbe sentito sempre più isolato, esposto (nonostante 18 ore di lavoro al giorno) al rischio di diventare il capro espiatorio dei ritardi e del possibile fallimento di Expo 2015, al punto da cercare negli ultimi 6 mesi nel giro Frigerio-Cattozzo-Greganti-Grillo una sponda politica che potesse supportarlo e riequilibrare le cordate all’interno della stazione appaltante. Un asserito antidoto, che però ha finito per avvelenare lui.
I no di Grillo
L’ex senatore pdl, difeso da Andrea Corradino, nega ogni addebito, mai favorito le carriere di Paris (che dice di aver visto una sola volta 10 minuti) o di Rognoni, mai stato nel centro culturale «Tommaso Moro» di Frigerio, mai ricevuto soldi o anche solo promesse di soldi dall’imprenditore Maltauro, non si spiega perché gli altri al telefono lo dicano di lui. Ammette solo di essersi adoperato per la carriera di Nucci (allora amministratore di Sogin, società pubblica delle bonifiche di siti nucleari, lo stesso per cui si attivò anche Previti), ma solo perché lo stimava manager di valore e ingiustamente estromesso dal giro di poltrone di Stato. E la telefonata di fine dicembre in cui ringrazia Maltauro, in un periodo coincidente con un pagamento appena effettuato da Maltauro, sostiene sia un equivoco nato dal fatto che l’imprenditore a Natale avrebbe comprato come regalo i vini prodotti dall’azienda di Grillo. Che da Maltauro ammette di aver ricevuto la promessa di appoggiarlo nella campagna elettorale.
Luigi Ferrarella
lferrarella@corriere.it

ALTRO PEZZO DI FERRARELLA STAMATTINA SUL CORRIERE
MILANO — Che ci faceva Primo Greganti quando il mercoledì, giorno di rigore delle sue visite a Roma, entrava in Senato? Chi andava a incontrare non si sa, perché gli investigatori della Procura di Milano che lo pedinavano hanno sempre dovuto abbandonarlo una volta varcato il portone di Palazzo Madama, ovviamente per evitare che il «compagno G» si potesse accorgere di essere seguito. Del resto, se si pensa che tutta questa inchiesta è stata fatta sul campo da soli sette finanzieri — argomento che forse potrebbe meritare qualche riflessione tra i tanti esponenti delle istituzioni accalcatisi ora a congratularsi in buona o cattiva fede con l’autorità giudiziaria —, si intuisce come gli inquirenti temessero di poter prima o poi essere riconosciuti dagli indagati che erano pedinati quasi sempre dalle stesse persone: al punto che una donna del team investigativo, per non dare nell’occhio di fronte ai medesimi pedinati, si è procurata un gran numero di parrucche, con le quali cambiare almeno sommariamente il proprio look da un giorno all’altro.
Anche intercettare non è sempre stato agevole. Frigerio faceva spesso «bonificare» dalle microspie il centro culturale in cui operava. E ora c’è curiosità per quello che potrà essere verificato in un telefono satellitare sequestrato a Greganti nella perquisizione a casa sua. Utilizzato di solito dagli inviati di guerra in zone senza copertura ordinaria, è ingombrante, peraltro con una grossa antenna-parabola, costa migliaia di euro e anche la telefonata ha un alto costo al minuto, insomma è incongruo per un utente ordinario. In teoria, però, può avere un altro appeal: se un telefono satellitare chiama un altro satellitare, la conversazione viaggia appunto solo via satellite e non «aggancia» mai alcun ponte radio delle compagnie telefoniche nazionali, quindi non ricade nella modalità tecnica ordinaria delle intercettazioni disponibili dall’autorità giudiziaria. Soltanto una perizia sull’apparecchio potrà ora verificare se il satellitare corrispondesse a una utenza diversa da quelle note di Greganti e già indirettamente intercettate, e se ne siano recuperabili almeno gli ultimi numeri chiamati.
Ieri di questo tema, come pure dei suoi rapporti con le cooperative rosse, non si è parlato nel breve interrogatorio in cui Greganti, difeso dagli avvocati Roberto Macchia e Nicola Durazzo, ha negato di aver mai ricevuto o chiesto soldi a qualunque titolo, ha affermato di non aver mai avuto dagli indagati alcun beneficio economico o vantaggio di lavoro, ha detto di non sapersi spiegare perché gli altri indagati parlino talvolta di lui come di una persona alla quale dare soldi in funzione di suoi interventi. Greganti sostiene invece di aver solo promosso da anni la cosiddetta filiera del legno per i suoi benefici ambientali e occupazionali nella realizzazione di edifici, e in questo ambito di aver cercato contatti con chi realizza opere pubbliche, compresi alcuni padiglioni di Expo.
L. Fer.

ELISABETTA SOGLIO SUL CORRIERE DI STAMATTINA
MILANO — Semplificare il progetto; passare dalle parole ai fatti negli interventi che coinvolgono i diversi ministeri; rivedere il Dpcm (decreto del presidente del Consiglio dei ministri) che riguarda l’evento per coinvolgere maggiormente Fiera spa. C’era anche un quarto punto, fra le condizioni individuate dal commissario unico Giuseppe Sala per far nuovamente decollare Expo e superare la crisi seguita all’inchiesta sulle tangenti: avere le spalle coperte, diciamo così, da una autorità che garantisca la regolarità delle procedure seguite sugli appalti. Su questo Sala ha avuto subito la risposta che, considerata la situazione, è parsa più urgente: e oggi sarà presente anche il magistrato Raffaele Cantone che coordinerà la squadra legale di supporto a Expo all’incontro del premier Matteo Renzi con i rappresentanti istituzionali soci di Expo spa.
Il piano di semplificazione
Si parte dal piano di semplificazione: Sala e i suoi uomini hanno riesaminato lo stato dell’arte delle varie opere, prese una ad una, da realizzare all’interno del sito espositivo per capire dove sia possibile limare o rendere più semplice. In particolare sono stati esaminati i padiglioni tematici: a partire dal Padiglione Zero che, affidato all’architetto Davide Rampello, aprirà l’Expo. I lavori non sono ancora cominciati, anche se due mesi fa è stata assegnata la gara. Si tratta però di verificare come e quanto sarà possibile ridimensionare l’intervento previsto, accorciandone i tempi di realizzazione. Per quanto invece riguarda la parte degli allestimenti, non ancora avviata in nessun padiglione e in nessuna area di servizio, si terranno presenti due principi: limitare il numero degli appalti da assegnare accorpandoli e puntando sull’essenzialità e fare una valutazione di costi e benefici per valutare se in qualche caso valga la pena di rescindere un contratto già firmato pur di semplificare il progetto. C’è poi il punto di domanda delle Vie d’acqua già causa di polemiche e rinvii: l’appalto è uno di quelli finito nel mirino dei magistrati e assegnato all’impresa Maltauro. Sala aveva già precisato che non sarebbero state pronte per l’apertura di Expo. Alla luce di quanto avvenuto, diventano ancora meno urgenti e la società si accontenterebbe di una soluzione idraulica per pompare l’acqua fuori dal sito.
Gli impegni del governo
A 353 giorni dall’apertura dell’evento, non ci si può accontentare di promesse generiche. Sala segnalerà al premier i punti ancora in sospeso, a partire dai 60 milioni che il governo deve garantire in sostituzione della Provincia per il bilancio 2014. Dal momento che la gestione è stata avviata e che ci sono già molte spese da sostenere per l’anno in corso, la società ha bisogno di contabilizzare la cifra entro giugno, anche perché in caso contrario la Corte dei conti potrebbe avere qualcosa da eccepire sulla gestione economica complessiva. Ci sono poi gli interventi dei diversi ministeri: gli Interni devono preparare il piano sicurezza (la società fa solo la gara per la security privata agli accessi); gli Esteri devono gestire il problema dell’arrivo di molti Paesi «sensibili», garantire che non ci siano incidenti diplomatici che coinvolgano le delegazioni; le scuole stanno ancora aspettando indicazioni precise dal ministero dell’Istruzione in merito ai programmi (ci sarà l’ora di educazione alimentare obbligatoria?) e la prenotazione delle visite delle classi al sito. E così via.
Rivedere il decreto
Sala chiederà anche di rivedere il Dpcm con cui gli erano stati assegnati i poteri straordinari per prevedere un maggior coinvolgimento di Ente Fiera spa. L’idea è di affidarsi alla società vicina di casa (i padiglioni della Fiera di Rho-Pero sono a un passo da quelli dell’esposizione e verranno collegati con una passerella) per la gestione di molti servizi. Un esempio? Tutto il capitolo delle pulizie potrebbero finire in capo a Fiera togliendo a Expo una preoccupazione e una grossa gara d’appalto da indire, valutare e assegnare. Fiera è disponibile ma ha a sua volta chiesto che questo ruolo venga specificato all’interno del Dpcm riguardante l’evento del 2015. Fin qui le richieste non più rinviabili. La premessa è garantire a Renzi che la società è pulita e può lavorare garantendo trasparenza.
Elisabetta Soglio

STESSI NOMI (CORRIERE DELLA SERA)
Le Procure di Brindisi e Trani chiederanno ai pm di Milano l’invio degli atti dell’inchiesta Expo in cui si parla rispettivamente dei presunti appalti truccati negli anni scorsi per la Asl di Brindisi e dell’appalto ritenuto pilotato per la costruzione del porto di Molfetta (Bari). In effetti gli stessi protagonisti e personaggi si rincorrono sia in Lombardia che in Puglia, dove un avviso di conclusione delle indagini preliminari è stato notificato a 51 persone nell’ambito di una inchiesta che riguarda la Asl di Brindisi.
Nomi come Claudio Levorato, presidente della Manutencoop, che a Milano è accusato di turbativa e rivelazione di segreto d’ufficio per un appalto da 320 milioni, ma il gip ha ritenuto insussistenti le esigenze cautelari. A Brindisi la Procura aveva invece chiesto per lui il carcere, in merito all’appalto dell’ospedale Perrino. O come Gianstefano Frigerio che voleva mettere assieme il costruttore Enrico Maltauro con Manutencoop, con l’obiettivo di aggiudicarsi l’appalto del nuovo ospedale di Maglie.

PEZZI USCITI SU REPUBBLICA STAMATTINA
MILANO .
Il «compagno G» resta fermo a ventuno anni fa.
Con questa nuova brutta storia di tangenti, «io non c’entro», giura, esattamente come dopo il suo primo arresto nel ‘93. «Greganti ha negato di aver preso soldi e di aver interferito in maniera illecita negli appalti», ha spiegato il suo avvocato, Roberto Macchia. Il presunto interesse per l’Expo, secondo questa tesi, è legato, per lui che si occupa «da anni della promozione della filiera del legno», all’eventuale realizzazione di «padiglioni ad hoc». E gli incontri con Gian Stefano Frigerio non li nega, «ma riguardavano solo questo argomento». Il «professor» Frigerio, dal canto suo, ha seguito la stessa linea. «Non sono un tangentista», avrebbe detto al gip Favio Antezza nell’interrogatorio nel carcere di Opera per convalidare l’arresto di giovedì scorso per le accuse di associazione a delinquere. Queste versioni, comprese quelle dell’ex senatore Luigi Grillo, rischiano però di infrangersi sulle aperture fatte dall’ex direttore generale degli acquisti Expo, Angelo Paris (che attraverso il suo legale Luca Troyer ha annunciato di
aver formalizzato ieri le dimissioni dall’incarico). E l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro (difeso dai legali Giovanni Dedola e Piero Grasso), che ha ammesso i fatti nella «loro materialità» preannunciando di volerli chiarire davanti ai pm. Entrambi saranno a breve risentiti dai pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio. La sensazione è che abbiano iniziato a collaborare. Come ha già fatto l’ex coordinatore dell’Udc ligure, Sergio Cattozzo (legali Bencivenga e Ferrari).
Cattozzo, socio di fatto di Frigerio, ha ammesso di aver intascato mazzette e anche di aver tenuto una contabilità occulta delle somme che incassava. «I biglietti che ho cercato di nascondere – ha confessato ai magistrati – erano quelli su cui ho annotato la contabilità dei soldi versati da Maltauro».
«Ho fatto un lavoro di lobbismo all’americana – ha spiegato ancora – procacciando lavori per le imprese in particolare private».
PIERO COLAPRICO EMILIO RANDACIO
I VERBALI
MILANO
COME spiega lui stesso a proposito di Mario Colombo, direttore generale della Fondazione istituto auxologico italiano: «Perché Colombo è il direttore su cui ho più investito, tirato su, ci faccio i viaggi insieme, quindi so tutto di lui...». Ma anche con gli altri, pochi scherzi: si contano ben sedici, tra direttori amministrativi e sanitari di aziende ospedaliere, legati a Frigerio, e più di 2.700 contatti telefonici tra «la cupola» e le aziende sanitarie (dal gennaio 2012 al giugno 2013). È il «parco dirigenti sanitari» che Frigerio, così scrive la Procura, considera come «cosa sua». Tutti questi manager pubblici secondo la «longa manus» di Frigerio, Sergio Cattozzo, «vanno coccolati come belle donne». Perché «aggiustare» le gare d’appalto non è facile, «bisogna mettere venti stecche in forno per tirarne fuori dieci». E loro ci riescono.
IL PPE E FRIGERIO
«Millanterie», replicano in molti, compreso Silvio Berlusconi, per liquidare questa nuova inchiesta sull’Expo e sulla sanità lombarda, «malata » di corruzione. Eppure, il settantacinquenne Frigerio risulta collaboratore del Partito popolare europeo, ufficio politico
Ppe, con la dizione di “on.” (onorevole). Non solo: come insiste in varie intercettazioni, ha «un capo», anzi «un padrone ». E osservando «il metodo Frigerio» diventa facile capire come il «piccolo» (ad esempio l’ospedale di Melegnano) e il grande (per esempio: Fincantieri) possano essere tutt’uno.
«FAI QUELLO CHE DICE FRIGERIO»
Daniela Troiano è il direttore generale dell’azienda ospedaliera di Pavia, in passato stava a Melegnano e davanti a Frigerio, nel centro Tommaso Moro, fa un amarcord: «La prima cosa che mi ha detto quando mi sono seduta a Melegnano è “Fai sempre quello che ti dice l’onorevole Frigerio”». E prosegue: «Me lo ricordo benissimo,
sono passati quattro o cinque anni», e già ubbidiva, in base a ciò che i magistrati chiamano «genetica adesione». Il 20 maggio 2013 i detective della Dia e della Finanza filmano la signora in una scena che definiscono «teatrale». Infatti nell’ufficio di Frigerio è appena uscito l’imprenditore del settore pulizie Stefano Fabris, che cerca una sponda per servire l’ospedale, e alle 15.55 entra lei, che di quell’ospedale è manager: insomma siamo nel
«crocevia per intessere da parte di Frigerio la fitta rete di incontri e accordi illeciti tra pubblici ufficiali e imprenditori in relazione agli appalti».
«RAZIONALITÀ» E DISPOSIZIONE
Stesso atteggiamento da parte di Patrizia Pedrotti, che arriva a Melegnano al posto della collega Troiano, e Frigerio le dice: «Siccome io e te abbiamo fatto un accordo... di razionalità, che se io ho bisogno di una cosa ne parlo a te... ». Le risposte della signora Pedrotti sono grate, sotto il Natale 2012 aggiungerà un «Abbraccio per tutto quello che hai fatto quest’anno ». La signora è però nel gennaio 2013 «disperata — parole sue — dopo aver letto nello scorso weekend 18.700
pagine d’intercettazioni». Era indagata per turbativa d’asta a Desio e Vimercate, ma Frigerio la rassicura, invitandola a colazione: «Ti devo fare un po’ di predica. Non devi amplificare una cosa che non esiste, non c’è motivo che ti preoccupi». Tre mesi dopo, però, la tensione aumenta, la signora Pedrotti è stanca, vorrebbe andare a Legnano: «Le ho detto “ti do una mano”» e dice «che chiederà a Mantovani, sono coperti su tutto, hanno anche il parere favorevole». Quindi, Pedrotti, il 16 maggio 2013, confortata dal possibile aiuto da parte del vicepresidente lombardo Mario Mantovani, manda al segretario e factotum di Frigerio, Gianni Rodighiero, una mail esplicita:
«Buongiorno Gianni, come da specifica richiesta dell’onorevole, ti allego alcune delibere relative ad argomenti o oggetti. Sempre a disposizione, ti auguro una buona giornata». E i detective notano: «Vengono contestualmente inviati cinque allegati relativi a bozze di delibera» con data e firma in bianco.
Il «metodo Frigerio» va alla grande e «il professore» spiega il perché «ridacchiando» a un imprenditore: «Finché c’è questa
giunta» lui «avrà i piedi saldi sulla Lombardia e Melegnano per lui è un dettaglio e un giorno gli parlerà pure di un’altra cosa, di un suo amico, l’amministratore delegato di Finmeccanica Service, che ha concentrato su un’unica azienda le pulizie più grandi d’Italia». Garantisce: «Un giorno li farà
parlare» insieme.
L’AGENDA DELLA MAZZETTA
Il tutto non è gratis. Il 20 maggio 2013 viene intercettata questa conversazione.
Frigerio: «Io e lei avevamo fatto un ragionamento su 100, poi guardando la delibera, ho visto che la mia amica Pedrotti, in eccesso, ha fatto la formula di tre anni addirittura».
Imprenditore Costa: «Sono dodici» (milioni), ammette. «quindi sono 120», mazzetta dell’uno per cento.
Frigerio la rivendica: «Dove e quando! (...) La mia agenda (...) Potrebbe essere mercoledì prossimo per esempio».
LA BONIFICA
«Ben consapevole — dicono i pubblici ministeri — della rilevanza penale della sua condotta », Frigerio è cauto: «Al telefono neanche morti», assicura. E «quindi (...) io faccio fare pulizie ogni sei mesi (...) io ho un amico carabiniere». Nella vita può capitare l’errore fatale anche ai super-prudenti: a «millantare» di saper fare le bonifiche era infatti, con grandi risate dei detective veri, l’«amico carabiniere».
ENRICO MIELE
BOLOGNA .
«Non abbiamo bisogno di faccendieri di nessun tipo per sviluppare le nostre attività. Greganti non so nemmeno chi sia, ma di certo non ha titolo per parlare della cooperazione». Le coop “rosse” provano a uscire dall’accerchiamento in cui sono finite dopo lo scandalo degli appalti Expo. A scendere in campo è il neo presidente di Legacoop, Mauro Lusetti, da pochi giorni al posto che per anni è stato del ministro Poletti. Lusetti difende con forza i manager indagati, tra cui Claudio Levorato, numero uno del colosso Manutencoop. «Sono convinto che in giro ci siano molti millantatori, ma noi continueremo con orgoglio a rivendicare
la nostra diversità».
Leggendo le carte, teme per gli sviluppi di questa inchiesta?
«Le nostre coop coinvolte, Manutencoop e Cefla, si sono già dichiarate estranee. Sto alle loro parole. Aggiungo solo che noi non abbiamo bisogno di mediatori per sviluppare le nostre aziende».
Come giudica la posizione di Levorato? Lo accusano di turbativa d’asta e rivelazione di segreti d’ufficio.
«Non ho intenzione di entrare nel merito delle accuse. Restiamo prudenti, visto che nel mondo economico i millantatori non sono pochi».
Ha sentito Levorato dopo la notizia dello scandalo?
«No, perché non serve».
In queste ore il Pd appare timido nella difesa del movimento cooperativo.
«Noi non abbiamo bisogno di alcuna solidarietà perché non ci sentiamo colpevoli».
Le coop possono ancora rivendicare una loro diversità morale?
«Non solo possiamo, ma è doveroso rivendicarla. Noi siamo diversi, sia nei fatti che nei comportamenti. E poi quello che in questi giorni leggiamo sui giornali deve essere provato. Attendo che la magistratura faccia chiarezza».
Immaginava un inizio così turbolento?
«Mi aspetto un mandato alla guida di Legacoop lungo e pieno di difficoltà, ma le nostre risorse ci consentono un rilancio».
In queste ore vi sentite in trincea?
«Siamo molto di più sotto l’occhio dei riflettori, anche per effetto della nomina a ministro del nostro ex presidente. Ma proprio per questa maggiore visibilità dobbiamo riaffermare i nostri valori. Nessuno può metterli in discussione».
Non teme un ritorno ai momenti più bui della cooperazione italiana, come al tempo degli scandali legati a Consorte o Penati?
«Quelle vicende sono ancora aperte dal punto di vista giudiziario, e noi siamo garantisti. Ma qui siamo su un piano completamente diverso: Manutencoop si è dichiarata del tutto estranea e sostiene di aver agito sempre nel rispetto delle legalità».

LIANA MILELLA
ROMA .
Raffaele Cantone. L’uomo del momento. Il “salvatore” di Expo. L’ex pm anti-camorra e oggi commissario anti- corruzione dice: «Il bubbone era lì. Lo abbiamo ignorato».
Dice Renzi “non fermiamo i lavori, ma i delinquenti”. Non è tardivo?
«Certo, alcune cose dovevano essere fatte prima. Ma non possiamo dimenticare la forte instabilità politica e tre governi durati poco tempo. E poi adesso guardare indietro non serve, toccherà agli storici individuare le responsabilità».
Conoscendo l’Italia criminale non era meglio assicurare severi meccanismi di vigilanza sugli appalti?
«Probabilmente sì, se siamo arrivati al punto di oggi. A Milano c’è stata grande attenzione ad evitare le infiltrazioni mafiose. Si è generato una sorta di strabismo, si è guardato molto a questo pericolo, ma non si è alzata la guardia sulla corruzione con la stessa forza e puntigliosità
».
In concreto, lei che può fare?
«Dipende da cosa ci chiedono. Per ora il premier ha parlato di una disponibilità del nostro ufficio a lavorare su Expo, che non poteva che essere data. Per la semplice ragione che stiamo parlando degli appalti più importanti in Italia e che la mia struttura si chiama Anti-corruzione. È altrettanto evidente che non abbiamo interesse a una vigilanza formale e inutile».
La legge Severino, dicembre 2012, metteva dei paletti.
Evidentemente violati. Si può raddrizzare la situazione?
«Non so se la legge è stata rispettata. La maggior parte degli appalti è stata data da una società privata, Infrastrutture, che non aveva obblighi di rispettare quella legge».
Già, proprio Infrastrutture. È stato un errore seguire la via
di una società privata?
«Dalla metà degli anni ‘90, proprio per Tangentopoli, s’è affermato l’uso di società private che in alcuni casi hanno garantito più efficienza, ma in altri più prebende e poltrone, con un evidente arretramento della situazione. Enti pubblici, anche piccoli, hanno ritenuto conveniente esternalizzare i servizi. È un mito fallace perché queste società moltiplicano i centri di spesa ed è sotto gli occhi di tutti che aver ripreso schemi del privato calandoli nel pubblico non si è rivelata una scelta vincente, ma ha portato ad opacità».
Lei ha scritto in buona parte la
legge anti-corruzione. Esiste un sistema per bloccare i furfanti?
«Quelle regole possono essere meri adempimenti burocratici o disposizioni concrete. Poi ci vogliono i tempi fisiologici e la mentalità giusta. La trasparenza può essere finta, non di qualità, oppure l’opposto, per cui il cittadino va sul sito e capisce se c’è qualcosa che non va e se c’è stato un imbroglio ».
Per Expo questi controlli sono possibili?
«Si può far conoscere ciò che è stato fatto e che si farà».
Lei potrà farlo?
«Io e l’Anac, l’Autorità nazionale anti-corruzione, non lavoreremo nell’interesse di qualcuno, di un partito o di un gruppo, ma di tutti. Lavoreremo per conto delle istituzioni».
Ha poteri sufficienti?
«Oggi l’Anac non si può occupare di singoli appalti, per lavorare su Expo avrà bisogno
di personale, tecnici e investigatori, di strutture, di poteri specifici e speciali di controllo. Non a caso Renzi parla di una futura task force».
Le carte di Milano: da ex pm che impressione le fanno?
«Vedo un reticolo di interessi e una lobby di potere che lavorava per impossessarsi degli appalti. Proprio le lobby rappresentano la novità, mentre la politica ha un ruolo servente e non di primo attore. Un gruppo usa la politica o pezzi della politica e dei partiti per interessi personali».
La politica in questi anni è stata complice?
«Non ha fatto nulla sulla prevenzione. Ma ha trovato terreno fertile in un’opinione pubblica per la stragrande maggioranza distratta. La corruzione non usciva sui giornali, non faceva cassetta. Parliamoci chiaro, interventi come quello sul falso in bilancio sono stati chiesti da una parte della classe dirigente che non aveva voglia di farsi controllare. E gli imprenditori di certo non amano i reati fiscali o tributari. Quando Frigerio è stato rieletto deputato c’è stata indifferenza
».
Tangentopoli è tornata?
«Abbiamo creato le condizioni perché accadesse, non generando anticorpi. Mi stupisco che le persone si stupiscano. Oggi non è scoppiato il bubbone, è sempre stato lì, e non l’abbiamo visto. O peggio, lo abbiamo ignorato».
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ROMA .
In quella sorta di grande partita a scacchi che si giocava attorno agli appalti dell’Expo, la banda di Frigerio aveva un alleato insospettabile. La legge. Quattro vecchie ordinanze della presidenza del Consiglio, una firmata da Romano Prodi nel 2007, le altre tre da Silvio Berlusconi nel 2010, hanno consegnato i lavori milionari della Esposizione internazionale di Milano alla logica “perversa” e tristemente nota del Grande Evento. Con le previste deroghe al Codice dei contratti «per motivi di urgenza». Con la possibilità di sostituire i bandi di gara europei con procedure informali, su invito. Sottraendo gli appalti al controllo della Corte dei Conti e dell’Autorità garante dei contratti pubblici.
LA SCELTA E L’ACCHIAPPO
La prima mossa era sempre la stessa: individuare il funzionario compiacente, sia esso un direttore generale della Asl o un alto dirigente dell’Expo. Bisogna conoscerli, prima, e in questo Frigerio è un maestro. Ha una memoria straordinaria («conoscevo il padre — dice, parlando di un dirigente di un ospedale milanese — negli anni Settanta, era capodipartimento del personale»), è ossessivo (chiama più di duemila volte le Asl nel giro di un anno e mezzo), sa essere convincente: offrendo automobili (è il caso di Angelo Paris, direttore dei contratti dell’Expo) e assicurando carriere fulminanti. C’è bisogno di lusingare il dirigente delle metropolitane milanesi, Stefano Cetti? «Adesso ti rafforzano come collegamenti (politici, ndr)», promette.
L’ONNIPRESENTE COOP ROSSA
Per muoversi senza noie, però, è bene rassicurare il gancio, il pubblico ufficiale in questione, con coperture da tutte le parti. Destra, sinistra, centro e in caso anche la Lega. Non a
caso lo schema si ripete: si presenta all’offerta un Ati composta da una cooperativa rossa (Manutencoop, la Co.Lo.Coop., la Cnc) e dall’azienda che paga le tangenti a Frigerio e soci, quasi sempre la Maltauro. Per dirla con le parole del “professore”: «Gli accordi li abbiamo già presi quando ho fatto l‘incontro qui con il capo loro, il Levorato (ndr, il numero uno della Manutencoop). È stato lui che mi ha detto “sì, noi con la Lega abbiamo buoni rapporti...”, m’ha spiegato di Tosi, io gli ho detto “curate i lombardi”, perché Cl li curan loro... quindi noi siamo tranquilli».
GLI APPALTI SENZA CONTROLLO
L’ultimo ostacolo, una volta tutti d’accordo, era l’aggiudicazione della gara. Ostacolo che, nel caso dell’Expo, a sorpresa è quasi inesistente. Grazie alle quattro ordinanze della presidenza del consiglio per i lavori dell’Expo «in casi di urgenza» si può derogare alla normativa
del codice degli appalti. Dunque sostituire la gara europea (aperta a tutte le aziende) con la procedura negoziata, che funziona su invito specifico. Non solo. Quelle quattro carte permettono anche di sottrarre la gestione degli appalti sia al controllo preventivo dell’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, sia a quello, successivo, della
Corte dei Conti. Il garante e i magistrati amministrativi sono ciechi.
«I lavori (dell’Expo, ndr) sono indietro da morire — comunica compiaciuto Cattozzo a Frigerio il 20 settembre 2013 — poi verrà fuori la somma urgenza!... che diano gli appalti senza neanche... e chi c’è dentro se li becca tutti... e lì siamo d’accordo con Enrico (Maltauro, ndr)... una sorta di cordata». «Noi dobbiamo spingere!», è la risposta del “professore”.
Spingevano, eccome. Procurandosi due «amici» nella commissione aggiudicatrice. Facendo carne di porco degli appalti che passavano dalla direzione dei contratti di cui Angelo Paris era capo, e loro referente privilegiato. «Lui (Paris, ndr) in futuro ha tre lavori — spiega Cattozzo — uno da 28 (milioni), uno da 18 e uno da 12». Paris consegna ai faccendieri istruzioni precise, per tarare l’offerta vincente: «Mi ha anche detto di stare attento, perché le gare le faranno al massimo ribasso... che arriva uno che ti fa il 40 per cento... ». Si prodiga, in maniera «sorprendente», annota il gip nell’ordinanza, in favore del gruppo.
Un Paris corruttibile che conduca i giochi, la “banda”, lo trova sempre. «I primari vanno e vengono dai politici perché la sanità è gestita da loro — spiega in una temeraria telefonata l’indagato Giovanni Rodighiero, delineando i contorni del sistema con cui hanno messo le mani sui lavori degli ospedali — allora se tu hai il santo protettore (in questo caso sarebbe Frigerio), lui ne prende atto e va a parlare con chi di dovere». Cioè col direttore generale, nominato dalla giunta regionale. Dopodiché, come per magia, spuntano gare e capitolati di spesa confezionati ad hoc sulle esigenze della ditta che si vuol far vincere.
LE MAZZETTE
C’è un’ultima mossa da fare sulla scacchiera. Distribuire i dividendi di tutta questa complessa manovra. Seicentomila euro da Maltauro per la vittoria dell’appalto per l’“Architettura dei servizi” nell’area Expo, da dividere tra Frigerio, Greganti, Cattozzo. Altri 600mila, «da distribuire anche all’ex senatore Luigi Grillo», per il lavoro da 98 milioni di euro della Sogin, responsabile della bonifica dei siti nucleari. Maltauro l’ottiene — scrive il gip — grazie a una gara truccata dall’ex ad Giuseppe Nucci e dal manager Alberto Alatri.
Ogni tanto sorgono dei problemi. Nella realizzazione dei padiglioni esteri, per esempio, i cinesi dicono di voler fare per conto loro senza passare dalla banda. E allora, dice Frigerio, «dobbiamo storcere il più possibile il braccio al cinese... perché se diamo il messaggio al cinese “tana libera tutti”(...) io non lo so come il cinese fa gli scavi e le fondazioni (...) ... se a un certo punto passa il messaggio che il cinese fa come cazzo gli pare, gli altri dicono scusa ma perché a me hai rotto i coglioni...?». Ecco fatto. Scacco matto.

PEZZI DELLA STAMPA DI STAMATTINA


“Pagavamo i mediatori
Non c’è alternativa
a questo sistema”
Le ammissioni dell’imprenditore Maltauro davanti al gip Frigerio e Greganti negano di aver intascato soldi
«Il sistema è questo: bisogna pagare i mediatori, non ci sono alternative». Pragmatico che di più non si può, l’imprenditore vicentino Enrico Maltauro, davanti al gip che lo ha fatto arrestare, ieri ha rappresentato così il lavoro della «squadra» di Giuseppe Frigerio, Primo Greganti e compagni per gli appalti Expo, Sanità e Sogin. Anche Sergio Cattozzo, l’ex segretario dell’Udc ligure filmato mentre riceveva una lussuosa busta da «mediatore», ha detto di sentirsi in fondo tanto «un lobbista all’americana», perché secondo lui «le aziende vanno coccolate come le belle donne». Peccato per quei bigliettini che ha cercato di nascondere tra le mutande quando lo hanno arrestato: contenevano i resoconti delle tangenti incassate. E peccato soprattutto per quella frase di Maltauro che poi ha precisato meglio cosa intendeva dire a proposito del «sistema», spiegando che «dietro pressioni» ha pagato a Cattozzo cifre in nero «non superiori ai 200 mila euro all’anno». Oltre ai soldi versati dietro presentazione di fattura. «Per operazioni inesistenti», sostengono i pm. Per un’attività che oggi si preferisce chiamare di “lobbing” ha chiarito il suo legale, l’avvocato Giovanni Dedola, visto che, sempre l’imprenditore vicentino, ha raccontato di «aver dovuto contrattualizzare un uomo di lobbing» per essere sicuro di mantenere buoni rapporti con faccendieri e politici: «Cattozzo lo avevo contrattualizzato nel 2011 come consulente». Peccato per quei filmati in cui lo si vede versargli soldi in contanti e soprattutto per i bandi delle gare d’appalto ricevuti in anticipo. «Noi - chiarisce l’avvocato Dedola - sul tavolo anatomico abbiamo messo le fattualità. Le configurazioni giuridiche saranno elaborate di conseguenza». Traduzione: Maltauro non ha proprio confessato di avere corrotto, però ha ammesso di aver pagato nei termini sopra riferiti. Se questa sia corruzione, appartenenza a un’associazione per delinquere o altro, si vedrà nel corso dell’inchiesta. Certo sarà dura negare il reato di turbativa d’asta visto che alla fine questa intensa attività di “lobbing” portava in azienda, con congruo anticipo, i contenuti dei bandi delle gare d’appalto. E, a occhio, non si direbbe molto legale.
In compenso il “professor” Gianstefano Frigerio avrebbe invece negato su tutta la linea, vecchia scuola. Così come quella di Primo Greganti, che ha negato di aver mai preso un euro in tutta questa storia. Il manager rampante Angelo Paris invece è apparso abbastanza depresso: ha ammesso di «aver fatto degli errori» ma ha negato di far parte della «cupola». Difficile dire qualcosa davanti a un’intercettazione come la sua: «Io vi faccio fare tutti i lavori che volete basta che mi facciate fare carriera…». Un po’ negano, un po’ ammettono, talvolta con effetti grotteschi. Alcuni degli arrestati davanti al gip Antezza si sono avvalsi della facoltà di non rispondere, preferendo rilasciare dichiarazioni spontanee, senza cioè la possibilità di un contraddittorio. In generale, gli uomini indicati dall’accusa come «la cupola degli appalti lombardi», si sono difesi negando di aver creato un comitato d’affari ma soltanto di avere svolto un lavoro di «utile» intermediazione per le aziende con cui venivano in contatto. Unico gesto di «pentimento» quello dell’ex numero due di Expo, che ha fatto depositare dal suo legale, Luca Troyer, la lettera di dimissioni dalla società, «perché ha sempre creduto nel progetto e quindi ci tiene che vada avanti senza intralci». Gli altri invece, hanno preferito prenderla alla larga. L’ex senatore Luigi Grillo ha respinto decisamente ogni accusa: Frigerio e Cattozzo, li conosceva, certo, ma solo per «rapporti di amicizia e politici». «Mai messo piede nel circolo Tommaso Moro, mai preso soldi - ha sostenuto - né mi sono occupato degli appalti di Expo e di Sogin».
Ma che non fosse così innocente l’attività svolta da questi «lobbisti all’americana», in grado di procurarsi con anticipo i contenuti delle gare d’appalto non solo di Expo ma praticamente di quasi tutti gli ospedali della Lombardia, emerge dalle carte depositate dalla Procura. Secondo la quale alcuni degli arrestati si davano appuntamenti per vedersi «con modalità tipiche della fissazione d’incontri da parte della criminalità organizzata al fine di eludere possibili controlli».
[p. col.]



“Temevamo la mafia
e abbiamo sottovalutato
i comitati d’affari”
Il magistrato: “Oggi vedrò Renzi, risolveremo l’emergenza”
Guido Ruotolo
Raffaele Cantone, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto: «Fermiamo i delinquenti e non i lavori». Come ottenere questo risultato? «Vanno cacciati i corrotti». Non ha ancora sciolto la riserva, Raffaele Cantone, Autorità nazionale anticorruzione. Oggi si incontrerà a Milano con il premier per capire come e in che termini l’Autorità dovrà sovrintendere ai lavori di Expo 2015, garantendo trasparenza e legalità.
Con quali idee va all’incontro con Renzi?
«Con la consapevolezza che non tutto quello che è stato fatto finora è frutto della corruzione. Sto parlando naturalmente di Expo 2015. C’è molto di positivo da salvare, e bisogna fare in modo che quello che si deve ancora realizzare si possa fare con il massimo della trasparenza».
Quale dovrebbe essere il suo ruolo in Expo 2015?
«Dobbiamo discuterne domani (oggi, ndr) a Milano con il presidente del Consiglio che, finora, mi ha chiesto una disponibilità a dare una mano. Richiesta che io ho interpretato rivolta a me in quanto Autorità nazionale anticorruzione».
Naturalmente il mandato dell’Autorità è un mandato generalista. E dunque la richiesta di occuparsi di Expo 2015 va interpretata come una presa d’atto della situazione d’emergenza che va fronteggiata impegnando le migliori risorse a disposizione?
«Sicuramente Expo 2015, per le sue ricadute internazionali, è un evento importante per il nostro Paese, per la nostra economia e la nostra immagine. E quindi è una emergenza da affrontare e risolvere. Sono ottimista».
Senta Cantone, per mesi, anni, si è gridato «al lupo al lupo». Attenzione, c’è un rischio di infiltrazione della ’ndrangheta. E invece il pericolo è arrivato dalle retrovie...
«È vero, e di per sé non è stato certo un male che lo slogan “Mafia free” abbia fatto alzare barriere protettive che si sono rivelate finora efficaci, per respingere quel nemico. Penso alla certificazione antimafia, per esempio. Ma d’altro canto gli arresti dei giorni scorsi purtroppo sembrano confermare un certo atteggiamento strabico dei sistemi di controllo perché hanno funzionato, finora, i filtri anti-’ndrangheta e non quelli contro altri poteri non meno pericolosi».
C’è stata una sottovalutazione...
«... dell’infiltrazione dei comitati di affari. Insomma, allo slogan “Mafia free” avremmo dovuto sostituire “Corruzione free”».
Siamo davvero a una nuova riedizione di «Mani Pulite»? Quali differenze nota?
«La grande novità di questa esplosione di fenomeni di corruzione è il ruolo secondario che svolge la politica, declassata a svolgere la funzione di mero strumento funzionale ai comitati d’affari. Che sono piccoli gruppi di interessi che utilizzano la politica nel ruolo di gregario-comprimario».
Comitati d’affari, gruppi di interessi. Il loro identikit?
«Sono gruppi di imprenditori che sono sopravvissuti a Mani pulite».
Ricorda le polemiche degli imprenditori «costretti» a pagare la tangente ai politici per non finire sul lastrico? I politici sono defunti, gli imprenditori galleggiano...
«Mi stupisco che la gente si stupisca. In questi anni nessuno si è accorto che andavano avanti i processi degenerativi propagandosi orizzontalmente. E temo anche che sia stata voluta una certa sottovalutazione del fenomeno».
Presidente Cantone, il rischio di Expo 2015 non è quello di riproporre vent’anni e passa dopo il «tavolino» dove alla spartizione degli appalti partecipa la ’ndrangheta al posto di Cosa nostra?
«Questo rischio è presente, e la vigilanza è alta. Ripeto, pensavamo alla ’ndrangheta sottovalutando il rischio di infiltrazione dei comitati d’affari. Temo, però, che la situazione presenti altri rischi».
Quali?
«La vulgata che la corruzione riguardi le grandi opere è fuorviante. Insomma a ben guardare potremmo trovarci di fronte la sorpresa che la corruzione è diffusa anche nelle piccole opere. Insomma, che è più estesa di quanto immaginiamo oggi».


Quelle regole ammorbidite
per accelerare i tempi
Una settimana fa la decisione concordata con Alfano
Roberto Giovannini
Sorpresa: il 5 maggio scorso - alla vigilia dell’esplosione del caso tangenti per Expo 2015 - era stato deciso un allentamento dei controlli antimafia per gli appalti «che non rientravano tra le attività sensibili». La ragione? Come ha spiegato ieri durante un’audizione presso la Commissione parlamentare Antimafia il Commissario di Expo 2015 Giuseppe Sala, la necessità di stringere i tempi. Una scelta peraltro condivisa tra lo stesso Sala, il governatore lombardo Roberto Maroni, il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, il prefetto di Milano Francesco Paolo Tronca. E con il via libera del ministro dell’Interno Angelino Alfano.
Forse soltanto una coincidenza sfortunata, visto quello che è successo. Certo è che il varo del «terzo protocollo» con le nuove linee guida antimafia sugli appalti è passato in un silenzio quasi generale. E la cosa non è piaciuta affatto al presidente della Antimafia, Rosy Bindi, che se l’è presa con Roberto Maroni, che convocherà a stretto giro: «È venuto in audizione da noi pochi giorni fa. Perché non ci disse che era stato siglato un protocollo nuovo per gli appalti dell’Expo?».
«Si è ritenuto - ha detto Sala - che alcuni appalti non rientrassero tra le attività sensibili e che fosse necessario semplificare le procedure amministrative». In pratica, i contratti per gli allestimenti per cifre inferiore ai 100 mila euro sono stati esentati dalle verifiche antimafia, così come quelli inferiori a 150 mila euro per l’organizzazione di eventi.
Di fronte all’Antimafia Sala ha fatto anche il punto della situazione di Expo 2015, spiegando lo stato dell’arte dei lavori, e illustrando la situazione come si è evoluta dopo l’esplosione dello scandalo. L’83% dei lavori preliminari è completato, mentre la «piastra» (ovvero il sistema infrastrutturale dove poi saranno montati i padiglioni) è al 50%. Adesso comincia un’altra fase delicata, con la realizzazione dei padiglioni nazionali, prefabbricati realizzati «in proprio» dai sessanta paesi più importanti. In tutto, alle casse pubbliche Expo costerà 1,3 miliardi, affiancati dal miliardo delle aziende e dai 400 milioni investiti dalle nazioni partecipanti.
E poi, il cataclisma giudiziario. Per oggi Sala attende la visita del premier Renzi, e ricorda che finora «non c’è stata alcuna indicazione dalla Procura di fermare o rivedere alcune delle gare già assegnate. La Procura ci sta dicendo di andare avanti e quindi, apparentemente, le gare non sono state condizionate». Sala ha spiegato di essersi fidato di Angelo Paris, l’arrestato direttore generale «constructions» di Expo, che «era stato scelto dall’ex sindaco Moratti», «aveva fatto un lavoro molto importante sulle Olimpiadi di Torino 2006», e quindi «era una persona esperta su questo tipo di eventi». Il Commissario ha poi negato di aver mai visto Primo Greganti o gli altri personaggi coinvolti nell’inchiesta, e ha giurato di non aver mai assunto raccomandati da politici: «Posso dirlo a testa alta - ha detto - non voglio sembrare presuntuoso, ma è difficile che uno con la mia storia riceva pressioni in maniera diretta».
Quanto all’«affievolimento» delle regole antimafia, Sala ha spiegato che non c’era scelta, «bisogna decidere quali sono le criticità e quali no». Incalzato dalle domande dei commissari, ha detto che la legge lo obbligava a considerare anche le offerte di un imprenditore pluricondannato come Maltauro. Nessun ripensamento neppure per appalti assegnati con ribassi record (oltre il 40%), normalmente sospetti. Una sola è stata la gara d’appalto al massimo ribasso, mentre poche sono state le gare «a offerta economicamente più vantaggiosa», quelle più discrezionali: «Non ne ho fatta una che non ci fosse un ricorso», ha ammesso.


Levorato, l’oligarca rossoche ha creato
il gigante delle coop
Il boss di Manutencoop sotto accusa dai pm
Teodoro Chiarelli
L’oligarca rosso non parla. Claudio Levorato, il sessantacinquenne boss di Manutencoop, colosso delle cooperative di servizi finito nelle mire della procura milanese, non si fa vedere. Ieri era ufficialmente a Modena per un comitato esecutivo. Chiuso nel suo fortino di Zola Predosa, periferia industriale di Bologna, si trincera da giorni dietro uno scarno comunicato. «Manutencoop Facility management precisa di ritenersi del tutto estranea alle ipotesi di reato, avendo sempre operato con la massima trasparenza nel settore degli appalti pubblici». Per i magistrati milanesi, invece, Levorato è indagato per turbativa d’asta e rivelazione di segreto d’ufficio, in quanto avrebbe beneficiato - come membro del pool di imprese candidate alla Città della Salute - dell’aiuto di Antonio Rognoni a predisporre l’offerta più vincente possibile. Il pm aveva addirittura chiesto gli arresti domiciliari, ma il gip Antezza ha scritto che non ci sono esigenze cautelari, confermando però il quadro dell’accusa.
Uno smacco, comunque, per uno degli uomini d’oro del sistema cooperativo, uno degli oligarchi che governano colossi come Unipol (di cui Levorato è consigliere di amministrazione ininterrottamente dal 1995), Cir, Cmc, Coop Estense, l’acciaccata Coopsette, Unicoop Firenze, che di trasparenza, correttezza ed etica degli affari discetta da anni. Tanto da avere voltato le spalle a quel Giovanni Consorte, di cui era considerato un fedelissimo, dopo lo scandalo della scalata di Unipol a Bnl, dichiarando in un’intervista che aveva tradito dal punto di vista etico la fiducia dei compagni.
Ma la ruota, evidentemente gira. Come proprio Consorte non ha mancato di far notare con pronto sarcasmo. Beghe da post comunisti in salsa felsinea? Mica tanto e comunque non solo. Levorato non è un manager qualunque nell’universo Coop. È uno di quelli che conta davvero, e non solo a Bologna e dintorni. Tanto da essere stato un serio candidato alla successione di Giuliano Poletti in LegaCoop, dopo la chiamata di quest’ultimo nel governo Renzi.
Tanto per cominciare è al vertice di Manutencoop. Solo il mitico Turiddo Campaini, che di primavere alla guida di Unicoop Firenze ne ha collezionate 40, lo batte. Poi ha avuto un ruolo decisivo nell’assalto di Unipol a Fonsai. Anche se non si è dimostrato un mostro di coerenza. Quando arrivò la proposta di Mediobanca fu categorico: «Manutencoop non distoglierà risorse dal proprio core business». Pochi mesi dopo, invece, Levorato dà ordine di mettere mano al portafoglio, e Manutencoop sottoscrive le quote anche delle altre coop che si tirano indietro, inneggiando all’operazione strategica. Non possiamo lasciare tutta quella gente per strada, fu l’accorato appello. Problema che non si è posto, accusano i sindacati, quando si è trattato di avviare le pratiche di licenziamento per 133 lavoratori di Manutencoop Private Sector Solution in seguito al venir meno di una commessa Telecom. Resta il fatto che Levorato è tutt’altro che una persona banale. Originario di Pianiga in provincia di Venezia, sposato, due figli, a Bologna dai primi anni Sessanta, ex militante del Pci, divenne presidente di Manutencoop quando la cooperativa, fondata nel 1938 da 16 operai degli appalti ferroviari, aveva qualche centinaio di dipendenti e operava soltanto nell’area di Bologna. In trent’anni ne ha fatto un colosso da 18.500 lavoratori e 1,080 miliardi di euro di fatturato (ultimo bilancio 2013). Sotto la sua guida Manutencoop diventa la società leader in Italia e fra le prime in Europa nel «facility management».
Sull’onda delle seduzioni finanziarie del rinnegato Consorte, Levorato ha per alcuni anni coltivato l’ambizione di sbarcare in Borsa, esempio originale di cooperativa con azionisti privati. Obiettivo sfiorato e fallito proprio sul traguardo: il 31 gennaio 2008 il via libera della Consob al prospetto informativo, il 4 febbraio lo stop all’operazione di fronte all’evidenza che la bufera sui mercati finanziari aveva ormai cambiato scenari e prospettive. In un’intervista, parecchio tempo fa, Levorato disse che è importante la responsabilità sociale delle coop e del movimento che rappresentano, stigmatizzando la figura del «padre-padrone» in azienda. Da buon oligarca rosso lui regna da trent’anni e, assicurano amici e nemici, non ha nessuna intenzione di smettere.


Le inchieste giocano a favore di Grillo
Marcello Sorgi
Lo scandalo Expo rischia di allungare la sua ombra sulle ultime due settimane di campagna elettorale. Il flusso di informazioni che vengono dai verbali cresce e continuerà nei prossimi giorni, dopo l’inizio degli interrogatori degli arrestati. Il dubbio che i principali coinvolti - Greganti, Frigerio e Grillo - millantassero, quando promettevano contatti ai più alti livelli nel governo e nei partiti di riferimento, rimane. Ma la macchina della propaganda non distingue molto tra accuse e smentite (ieri, tra le altre, quelle del ministro Lupi, citato 33 volte nelle intercettazioni, e del coordinatore della segreteria Pd Guerini, con cui Greganti prometteva appuntamenti). E un’opinione pubblica frastornata deve cercare di farsi strada tra il polverone che rievoca la Tangentopoli di vent’anni fa e il tentativo di salvataggio dell’Expo, la vetrina internazionale che in un anno dovrebbe essere inaugurata, ma al momento, a causa degli sviluppi dell’inchiesta della magistratura, rischia di portare un danno d’immagine all’Italia agli occhi del mondo. Anche su questo terreno lo scontro più duro è tra Renzi e Grillo (che ha annunciato una mozione di sfiducia individuale contro Lupi), con Berlusconi defilato, che cerca di parare le conseguenze dell’altro scandalo legato all’arresto dell’ex ministro Scajola per il presunto aiuto dato all’ex-parlamentare di Forza Italia Matacena, condannato in via definitiva per i suoi rapporti con la ’ndrangheta. Il presidente del consiglio arriva oggi a Milano con la parola d’ordine «fermare i delinquenti, non i lavori dell’Expo». L’incarico conferito al magistrato Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità anticorruzione, di vigilare sugli appalti in corso, servirà a dare pratica attuazione a questa linea. E anche Cantone, ieri, in un’intervista al Tg3, ha detto che fermare appalti e cantieri significherebbe darla vinta ai corrotti. Non lo ha chiesto neppure la Procura, ha aggiunto l’amministratore delegato di Expo Sala. Ma a Milano, sempre oggi, arriva anche Grillo, che da due giorni martella sugli scandali, e punta decisamente contro Renzi e la sua decisione di far proseguire i lavori dell’Expo. Nei giorni in cui per legge i risultati dei sondaggi non possono essere resi pubblici è difficile capire se la tendenza ravvisata nei giorni scorsi, con quasi una metà dell’elettorato che si dichiarava sconcertata per quanto sta accadendo e pronta a mutare il proprio voto, risulti confermata, o rafforzata e a favore o a danno di chi. Ma è evidente che l’affare Expo e la vicenda Scajola-Matacena sono destinati a imporsi in questi ultimi giorni che precedono il voto, mettendo in difficoltà sia il premier che puntava a mobilitare gli elettori a partire dai risultati dell’azione di governo, sia il tentativo di Berlusconi di ripetere la rimonta dell’anno scorso.



Renzi: “A Milano per fare pulizia”
Oggi arriva in città e il governatore Maroni attacca: “Vogliamo chiarezza subito”
Fabio Poletti
Il tempo stringe e il tavolo di Expo si allarga. Mancano 353 giorni al via del Grande evento e per metterlo in sicurezza oggi plana a Milano Matteo Renzi. Lo fa a poco più di un mese dall’ultima visita. Lo fa portandosi dietro Raffaele Cantone, il presidente dell’Autorità contro la corruzione chiamato a passare ai raggi X gli 800 milioni di euro di appalti già assegnati e i 120 milioni ancora da distribuire. Come se non bastassero i mostruosi ritardi nei lavori, sul collo di Expo c’è il fiato della procura di Milano. Ma di azzerare questa kermesse non se ne parla. Quello che dirà ai vertici della società, Matteo Renzi lo ha già annunciato: «Non si possono fermare i lavori, si devono fermare i delinquenti. L’Expo è enorme, io non gliela lascio. Sono soldi dei cittadini. Io ci metto la faccia. Noi l’Expo la ripuliamo, è l’immagine dell’Italia all’estero e sarà un successo. Ci guarda il mondo».
Il compito più difficile sarà recuperare credibilità. Beppe Grillo che plana pure lui a Milano per il suo #VinciamoNoiTour spara ad alzo zero contro Expo 2015: «Bisogna fermare subito la grande abbuffata. Risparmieremmo 4 o 5 miliardi. È una grande opera nata morta, sapevamo che era un pacco. Renzi dice che ci mette la faccia, i milanesi ci mettono il c..». Si sfioreranno Matteo Renzi e Beppe Grillo. Ma si capisce che questo è molto più di un test elettorale. È un duello senza esclusione di colpi dove Matteo Renzi assicura di voler giocare fino in fondo: «Preferisco perdere qualche punto alle prossime elezioni che non perdere una gigantesca opportunità che vuol dire investimenti e posti di lavoro».
Il premier conferma la sua fiducia all’ad Giuseppe Sala che oggi lo accoglie in via Rovello portandogli i dossier più caldi e una lista di nomi per sostituire Angelo Paris, il direttore dell’esposizione in carcere da giovedì. A capo della nuova governance finisce Mauro Rettighieri, direttore generale della Tav Torino-Lione. Scelta interna invece - probabilmente sarà il vice di Paris, Alessandro Molaioni - per il Rup, il Responsabile unico procedure, un incarico prettamente tecnico per cui a meno di un anno dall’inizio della kermesse sarebbe impensabile trovare una figura esterna alla linea di comando di Expo. Ma pure se non sarà un nome noto, si capisce che è attraverso queste figure tecniche che si garantisce il successo dell’esposizione destinata ad accogliere venti milioni di visitatori e i cui effetti si vedranno fino al 2020. Diana Bracco, presidente del Padiglione Italia sui nomi non si sbilancia: «Ma è molto importante vedere chi va al posto di Paris. Comunque ne usciremo brillantemente. E per questo è molto positivo l’intervento del governo». La mission di Matteo Renzi piace a tutti. Ma il Governatore lombardo Roberto Maroni, alla vigilia della riunione operativa di via Rovello, apre il cahier de doleance: «Da Renzi vogliamo risposte certe. Anche sui 60 milioni di euro che ha promesso al posto della quota della Provincia. Non ci sentiamo affatto commissariati dal governo ma l’arrivo di Raffaele Cantone sarà utile se potrà dialogare con i magistrati e avere quel potere di indagine che noi non abbiamo».

AFFARI E FINANZA DI IERI
ALBERTO STATERA
Alberto Statera per "Affari e Finanza - la Repubblica"
Il grande evento salvifico che avrebbe dovuto certificare la fine della decadenza, il riscatto dell’Italia agli occhi del mondo, è ormai la silloge di un paese in disfacimento etico, politico, economico e sociale. C’erano 2.585 giorni per far bene le cose da quel 31 marzo 2008, il giorno in cui tra epici festeggiamenti l’Italia ottenne dal Bureau International des Exposition l’organizzazione dell’Expo 2015, l’evento mondiale del secondo decennio del secolo.
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSEMATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
Miliardi di investimenti, milioni di visitatori annunciati da ogni angolo dell’orbe terracqueo con un gigantesco ristoro dell’economia nazionale, decine di migliaia di nuovi posti di lavoro. Seguirono duemila e più tragici giorni nei quali non una pietra fu mossa, non una zolla fu sollevata per realizzare l’area espositiva. Andò invece in scena un bieco spettacolo di caccia alle poltrone e di spartizione tra politici, faccendieri, signori degli appalti, mafie di ogni genere all’ombra della simoniaca cupola affaristica lombarda cresciuta come un tumore nei diciotto anni di formigonismo.
La Direzione Nazionale Antimafia aveva segnalato fin dal primo giorno che gli interessi e gli appetiti intorno all’evento si preannunciavano ’maggiori persino di quelli ipotizzabili dalla realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina’, che Berlusconi aveva rimesso in cima al delirio delle grandi opere. Ma nessuno volle ascoltare i ripetuti allarmi, attribuiti a pericolosi disfattisti.
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Di fronte alla sanguinosa lotta per le nomine e per il controllo dei finanziamenti e degli appalti, qualcuno ipotizzò la rinuncia. Il saggio professor Vittorio Gregotti citò la rinuncia di Mitterrand che nel 1989 cancellò dalla sera alla mattina il faraonico programma di festeggiamenti per il bicentenario della rivoluzione francese. Oggi, dopo gli ultimi arresti dei sempreverdi nonni di Tangentopoli, come Frigerio e Greganti, e dei loro moderni epigoni, il sogno si è trasformato nell’incubo annunciato sotto gli occhi stupefatti del mondo.
GIULIANO PISAPIA EXPOGIULIANO PISAPIA EXPO
Un classico della corruttela nazionale, come il G8 della Maddalena poi trasferito all’Aquila tra sprechi e ruberie, i mondiali di nuoto e ogni altro evento che ha consentito di spartire centinaia di milioni di pubblico denaro tra delinquenziali bande predatorie protette soprattutto dalla struttura criminale del berlusconismo.
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Bande che in Lombardia negli oltre tre lustri di comando di Formigoni e del suo cerchio magico ciellino si sono specializzate per settori. Sotto la grande cupola, operano senza colpo ferire sottocupole nella sanità, nell’ambiente, nei rifiuti, nell’urbanistica, nelle opere pubbliche. Ormai alla fatidica data del primo maggio 2015 mancano meno di 350 giorni. I lavori a Rho nella più ottimistica tra le stime sono neanche al 50 per cento e la corsa contro il tempo rischia di essere perduta esponendoci a un’ulteriore figuraccia mondiale.
GIANSTEFANO FRIGERIOGIANSTEFANO FRIGERIO
Il presidente del Consiglio Matteo Renzi dirà: ’Non faremo finta di niente, siamo qui per affrontare le questioni e non per nasconderle’. Sarebbe però consigliabile che a Milano nascondesse almeno il suo ministro Maurizio Lupi, che nel sistema affaristico lombardo-ciellino è una delle figure di maggior spicco e il cui nome compare nelle carte dei magistrati che hanno ordinato la retata di giovedì scorso. E che chiedesse ben conto al commissario unico Giuseppe Sala come è possibile che non si sia accorto che la sua fiducia veniva ’sorprendentemente tradita’. Sorprendentemente?

DAGOREPORT
Il "Format Renzi" è andato in onda questa mattina a Milano Expo 2015 sull’onda del celebre motto attribuito a Giulio Cesare imperatore di Roma in tempi di maggiore stabilità politica e sociale di quella attuale: "Veni, vidi, vici". Sono arrivato, ho visto, ho vinto, magari rivisitato in "sono arrivato, il Format ha funzionato, noi e l’Expo speriamo che ce la caviamo".
E’ la sintesi del blitz milanese del Presidente del Consiglio, insieme ai ministri indigeni Lupi e Martino di fronte a quel che resta della classe dirigente cittadina pigiata ad ascoltarlo dopo averlo atteso disciplinatamente per quasi un’ora e mezza, al sindaco per mancanza di prove Pisapippa e al presidente della Regione Bobo Maroni con addetta stampa incorporata.
RENZI CONTESTATO A MILANORENZI CONTESTATO A MILANO
Il Format Renzi non ha deluso - e non poteva deludere in quanto è ormai ben collaudato - ed egli stesso ha provveduto a ricordarne alcuni elementi fondamentali. Eccoli, a futura memoria, perché essi scandiranno tutte le prossime uscite pubbliche del premier fiorentino:
1. Arriva in una città e visita obbligatoria ad una scuola circondato dai marmocchi festanti e cinguettanti "Ren-zi, Ren-zi!". In quella vista stamattina a Milano gli è stata opportunamente illustrata l’iniziativa dei genitori che, armati di pennelli, cazzuole e calce, hanno ridipinto aule e corridoi scrivendo sui muri frasi celebri della letteratura e della poesia. Ovviamente, il tutto all’insegna della collaborazione pubblico-privato e del fatto, davvero incontestabile, che la scuola e’ una cosa utile e che il suo governo ne riparerà 10 mila e non mille come voleva fare quel rammollito di Letta Enrico.
2. Partecipazione all’evento per cui si trova nella città in questione, Milano nel caso di specie oggi. Sull’Expo oggettivamente non poteva fare altro di quello che ha fatto, e lo ha fatto molto bene. Si va avanti sparando battute ad effetto: "Lo Stato e’ più forte dei ladri" (in realtà talvolta coincidono, ma lo slogan suona molto bene), si è garantisti sempre figurati quando c’è di mezzo il ‘’compagno G’’. E si tenta di fermare chi ruba e non le opere. Bene, bravo, bis.
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSEMATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
3. Il tocco personale della sua leadership: "Sono qui a dispetto dei sondaggi", poiché - ha raccontato - i sondaggisti gli avevano consigliato di occuparsi di Expo soltanto dopo le elezioni del 25 di maggio, visto che l’evento tra ritardo e tangenti non ha una bella fama cui accostarsi. Ma il premier - eroico - ha tirato dritto, se n’è infischiato, cosa vuoi che siano due punti percentuali in meno di fronte alla sfida di utilizzare l’Expo per dare lavoro ai giovani. Siamo d’accordo, ci mancherebbe, abbasso i sondaggisti pavidi. La nuova frontiera della leadership dunque è: usare i sondaggi ma fare il contrario così si dimostra coraggio che alla fine è "solo grazie sotto pressione" (citazione di anonimo da parte del premier).
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4. Gli immancabili sindaci. In una sala a fianco dell’evento Expo ne erano stati radunati una trentina, anche di orientamento politico diverso dal Pd provenienti dalla Lombardia tutta. Il premier li ha arringati e salutati quasi uno per uno. In tutto, cinque minuti.
5. Il tocco familiare. Nella Milano laboriosa della ricostruzione si erano incontrati i suoi nonni, provenienti da regioni diverse e il benessere di quegli anni aveva permesso di crescere bene i figli che poi avrebbero dato vita ai nipoti, tra cui lo stesso premier, brillante esempio di nipote che tutti vorrebbero avere.
6. La velocità e il ritmo. Sono gli ingredienti chiave del Format. Discorso a braccio, completo anche di scuse per il ritardo, saluti personalizzati a tutti, ivi compresi il presidente in carica di Assolombarda, Rocca Gianfelice, e tre ex presidenti di Assolombarda, Benedini Benito, Bracco Diana, Meomartini Alberto, appunto quel che resta della classe dirigente milanese, visto che De Bortoli Ferruccio non c’era e che Veronesi Umberto ha qualche acciacco. E via per una nuova edizione del Format.
MATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSEMATTEO RENZI A MILANO PER L EXPO FOTO LAPRESSE
PS - Piccoli gruppi di contestatori sono ben accetti, anche rompicojoni isolati. Quest’ultimo e’ di solito qualche oppositore e si riconosce dal gergo politico forbito. Infatti a Milano gli grida "abusivo", cioe’ premier non eletto, troppo sofisticato per essere un contestatore genuino. Mail Format e’ gia’ andato via