Paolo Siepi, ItaliaOggi 13/5/2014, 13 maggio 2014
PERISCOPIO
Grillo? Un fascistello populista. Carlo De Benedetti, Festival Dogliani.
La criminalità è organizzata e noi no. Amurri e Verde. Il Messaggero.
Berlusconi non offre mai nulla senza una contropartita. Non tratta nemmeno, se l’interlocutore non può dargli qualcosa. Sergio De Gregorio, già senatore dipietrista. Agenzie.
Berlusconi è una discreta imitazione di Frank Sinatra a una convention aziendale. Edmondo Berselli in Quel gran pezzo dell’Italia. Mondadori
La Cgil deve diventare una casa di vetro, trasparente nei numeri, nei bilanci, nelle spese, negli stipendi, consapevole che non c’è più tempo per il rinnovamento, non perché ce lo chiede Renzi, ma perché ce lo chiedono i lavoratori. Non possiamo, come sindacato, rischiare di fare la fine dei partiti. Maurizio Landini, segretario Fiom, al congresso nazionale della Cgil di Rimini.
Si rifà vivo anche D’Alema che, al nome «Greganti», salta su come la rana di Galvani. Nel 1993, appena finì dentro il compagno G, Max attaccò il Pool Mani pulite, chiamandolo «il soviet dei golpisti», mentre l’amico Amato e l’amico Conso preparavano il colpo di spugna. Ora che il Compagno G torna dentro, la Volpe del Tavoliere filosofeggia: «Non è la riedizione di Tangentopoli e comunque la corruzione non è un fatto legato ai partiti, ma è endemico alla società italiana». Ah, meno male, chissà che credevano. Poi aggiunge: «Io resto garantista e ho preso una certa prudenza in materia: ho calcolato che il 40-45% degli accusati vengono poi prosciolti». Forse dovrebbe cambiare pallottoliere: solo il 5% degli imputati di Tangentopoli furono dichiarati innocenti; gli altri «prosciolti» erano colpevoli e spesso rei confessi, anche se poi furono salvati da leggi che cambiavano i reati o cestinavano le prove, e dalla solita prescrizione (che, fra l’altro, salvò anche D’Alema). Marco Travaglio. Il Fatto.
Nell’aprile 1933, durante la Tangentopoli numero uno, l’allora presidente dell’Eni Eugenio Cefis venne interrogato dal sostituto procuratore Pier Luigi Maria Dell’Osso. Sentite cosa raccontò: l’Eni di Mattei e poi di Cefis pagava quasi tutti i partiti, a cominciare dalla Dc, dal Pci e dal Psi. La regola seguita da entrambi i presidenti dell’ente petrolifero aveva quattro punti cardine. Primo: erano i partiti a dover chiedere la mazzetta. Secondo: dovevano domandarla almeno tre volte e l’Eni aveva l’obbligo di rispondere sempre: no. Terzo: quando l’Eni si decideva a darla non poteva superare il 25-30% della cifra richiesta. Quarto: comunque la somma doveva essere proporzionata all’aiuto che il gruppo Eni aveva ricevuta da quel partito. Giampaolo Pansa. Libero.
Puoi sciogliere il Pci, il Pds, i Ds, ma non puoi sciogliere Primo Greganti. Puoi sciogliere la Dc, ma non Gianstefano Frigerio. La lezione dell’inchiesta di Milano, anche se finisse con una raffica di assoluzioni, è che non basta abbattere i partiti o cambiargli nome per risanare la politica. Anzi: la mala politica senza partiti può essere perfino peggio. I faccendieri, gli intrallazzatori, i tangentari esisteranno finché ce ne sarà richiesta sul mercato, cioè finché saranno necessari per far incontrare «imprenditori a caccia di appalti e manager pubblici a caccia di carriere». Antonio Polito. Corsera.
Il punto più alto dell’ipocrisia nazionale fu raggiunto da parte di chi, in Parlamento, ignorò il discorso di Craxi, che sollecitava la politica a farsi carico delle disfunzioni del sistema e a porvi autonomamente rimedio. Se l’appello fosse stato accolto, si sarebbe evitato di assegnare alla magistratura un ruolo di supplenza politica. Che essa avrebbe, poi, esercitato, e ancora esercita, con misure che hanno finito per avere, e hanno, lo stesso effetto di quelle nell’Urss degli anni Trenta: di cambiare la classe politica per via giudiziaria anziché per via democratica. La corruzione non è diminuita, ma è aumentata, il paese è nella mani dei magistrati e, forse, non è neppure un caso che si sia escluso e si continui ad escludere di andare presto alle elezioni. Piero Ostellino. Corsera.
Matteo Salvini, comunista padano, a suo dire, ha fatto il giro dei mercati rionali e se ne è tornato in via Bellerio e Milano, sede centrale della Lega Nord, con la convinzione che alla sua gente non importi tanto di disinfettare i sedili sporcati dai negher, quanto di ritornare a pagare il sedano in lire. Daniele Ranieri. Il Fatto.
Vi mostrerò ciò che rimane del berlusconismo parlando di sinistrorsi, sinistronzi e sinistrati anche se è inutile lamentarsi perché sinistri si nasce. Fiorello, Raitre.
Il marxismo non è una filosofia sbagliata. No, lo sbaglio sta nel voler applicare l’inapplicabile. Giovanni Sartori. Corsera.
Non mi piace che il Papa venga lodato dagli opinions leader del mondo perché a lui possono chiedere un cristianesimo senza conseguenze. Giuliano Ferrara. Il Giornale.
Ho sentito parlare di start-up. Adesso queste start-up sono diventate di moda. Solo che in Italia, dove su un milione di start-up ne va a buon fine una, ci vogliono notai ed euro sonanti. Diciamo 50 mila euro, almeno, e devi pure aspettare sei mesi per aprire i battenti. Mentre in Inghilterra, giusto per fare un esempio, bastano 20 sterline e 24 ore, dopo puoi partire con la tua società e la tua idea. Flavio Briatore, conferenza alla Bocconi.
Sono nato in America perché, subito dopo la laurea, ho capito che il mio destino era di fare il portaborse a un barone, in attesa che mi sistemasse, all’italiana. Solo in Italia i docenti fanno carriera per anzianità e hanno tutti lo stesso stipendio, basso. La Washington University mi ha convinto a lasciare la più prestigiosa università del Minnesota raddoppiandomi lo stipendio. Una volta ho tentato un concorso in Italia e ho perso contro uno che aveva un decimo dei miei titoli. Però adesso guadagno il quadruplo di lui. Michele Boldrin, economista alla Washington University di Saint Louis, Missouri, Stati Uniti.
Datti da fare, non rassegnarti mai. Sostituisci a una parola allusiva, generica, emozionante, cheap, una parola invece concreta, definitiva, pesante, che indica una cosa, nome e cognome. Una parola che sia la parola, strìzzati le meningi finché non l’hai trovata. Flaubert cercava una parola anche per 15 giorni. Perché la poesia è catena di parole, come il nostro pensiero. Luigi Serravalli in una lettera al poeta Riccardo Turrina.
I politici sarebbero i primi a stupirsi se mantenessero le loro promesse. Roberto Gervaso. Il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 13/5/2014