Marcello Bussi, MilanoFinanza 13/5/2014, 13 maggio 2014
L’INGANNO DELLE ELEZIONI EUROPEE
Si va verso la fine dell’austerità in Europa? A leggere le dichiarazioni rilasciate dai due principali candidati alla presidenza della Commissione Europea, il popolare lussemburghese Jean-Claude Juncker e il socialista tedesco Martin Schulz, sembrerebbe di sì. «Agire solo sul versante dei tagli è folle e sbagliato; dobbiamo far crescere i redditi e i consumi», proclama Schulz.
Più cauto Juncker, anche perché ha un passato di super rigorista e quindi non può smentire del tutto il suo operato di capo dell’Eurogruppo dal 2005 al 2012: «Credo che oggi non si possa esagerare con il rigore eccessivo. Che da sola, l’austerità nei bilanci non basti». In quanto alla possibilità di rinviare il raggiungimento dell’obiettivo 3% del rapporto deficit/pil, come ha già chiesto la Francia e potrebbe fare presto l’Italia, Schulz afferma che «il 3% va rispettato. Ma per calcolarlo bisogna distinguere il debito dello Stato dalle spese per l’emergenza e dagli investimenti per il futuro», ovvero gli «investimenti produttivi». Più vago Juncker: «Vedremo». Con un avvertimento: «Non bisogna però dare l’impressioni agli italiani, o agli investitori stranieri, che esista un problema sulla volontà di Renzi di rispettare il Patto di Stabilità».
Per poi concludere: «L’Italia non è il malato d’Europa». Come dire che non ha bisogno di un trattamento particolare.
A essere generosi, sul fronte della retorica un ammorbidimento c’è. Ma si tradurrà in fatti? «L’ammorbidimento è dovuto solo a finalità elettorali», dice Antonio Maria Rinaldi, che, insieme ad Alberto Bagnai e Claudio Borghi, fa parte del gruppo dei tre moschettieri (e professori) anti-euro che da mesi percorre in lungo e in largo lo Stivale per dimostrare che all’Italia conviene uscire dall’Unione monetaria. Visto il loro successo, tutti e tre hanno ricevuto offerte di candidatura alle europee del prossimo 25 maggio, anche da partiti che si dichiarano europeisti. L’unico ad aver accettato è Borghi, che si presenta per la Lega Nord, l’unico partito anti euro senza se e senza ma. Paradossale è poi il caso di Rinaldi, che partecipa a molte manifestazioni del Movimento 5 Stelle, dove non lesina critiche a Beppe Grillo perché vuole gli eurobond, che sono in realtà quanto di più europeista ci possa essere, e riceve valanghe di applausi e altri inviti. Segno che gli elettori del comico non hanno le idee molto chiare. Ma votare i partiti anti euro può essere una forma di pressione per costringere Bruxelles e soprattutto Berlino ad allentare le maglie dell’austerità? «Se superassero il 50% dei voti sì», risponde Rinaldi. «Avendo la maggioranza nell’Europarlamento potrebbero mettere il veto al presidente della Commissione Ue proposto dal Consiglio, composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri dell’Ue. Potrebbero anche cominciare a smantellare il baraccone di Bruxelles. Ma ovviamente è un obiettivo irraggiungibile in questa tornata elettorale. Un’affermazione delle forze anti euro può però condizionare le politiche interne di Paesi come Francia e Italia». E quindi, indirettamente e col tempo, lo stesso Consiglio Ue. Poiché alcuni sondaggi danno i partiti populisti al 30%, è evidente che i due partiti più grandi, popolari e Socialisti, saranno costretti a fare una grande coalizione per dare un governo all’Europa. Tema sicuramente affrontato nell’incontro al vertice dello scorso fine settimana a Stralsund, nell’estremo nord della Germania, fra il presidente francese (e socialista) François Hollande e la cancelliera tedesca (e Popolare) Angela Merkel. È quindi probabile che il prossimo presidente della Commissione Ue non sarà né Schulz (dato leggermente avanti nei sondaggi)né Juncker, chiunque arrivi primo alle elezioni. La decisione sarà presa (o forse è già stata presa) dal solito asse Parigi-Berlino, magari lasciando spazio al rappresentante di un Paese terzo. E in Italia Mario Monti ed Enrico Letta potrebbero farci un pensierino. Non è poi da escludere il rischio che, di fronte a un nemico uscito troppo rafforzato dalle urne, come Marine Le Pen in Francia o Nigel Farage nel Regno Unito, gli europeisti reagiscano irrigidendosi ulteriormente, inventandosi una funzione antifascista dell’austerità. Ma se alla fine il presidente della Commissione lo sceglieranno comunque Parigi e Berlino perché andare a votare? «Chi non vota, vota Merkel», sostiene Rinaldi.
Marcello Bussi, MilanoFinanza 13/5/2014