Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 13/5/2014, 13 maggio 2014
RIMOZIONI E PROMOZIONI, COSÌ PARIS SI PRESE TUTTO
L’ingegner Angelo Paris è il manager che gestiva gli appalti di Expo. Era dunque anche la garanzia che le turbative d’asta progettate dal gatto e la volpe (Gianstefano Frigerio e Primo Greganti) andassero davvero in porto. Ora, da giovedì, sono tutti agli arresti. Ma Paris, vero snodo dell’inchiesta, ha una storia che racconta molto di come la Cupola delle tangenti abbia messo le mani sulla società dell’esposizione universale 2015. Quando arriva a Expo spa, è soltanto il responsabile degli acquisti. Ha accanto due manager di grande peso. Uno è l’ingegner Renzo Gorini, che diventa direttore infrastrutture Expo il 29 luglio 2009. L’altro è l’ingegner Carlo Chiesa, responsabile unico del procedimento, il manager a cui spettano i controlli. Paris deve limitarsi a fare gli acquisti. Ma in breve tempo diventa il vero dominus di Expo. Nel giugno 2011 Gorini lascia la sua posizione e nell’ottobre successivo lascia anche l’azienda. Chiesa se ne va un paio d’anni dopo, nel 2013. Una delibera del consiglio d’amministrazione di Expo del primo marzo 2013, ratificata il 7 marzo, stabilisce che come responsabile unico del procedimento per l’esecuzione dei lavori di realizzazione delle “Architetture di servizio” (ristorazione, servizi igienici, spazi commerciali, servizi ai visitatori, servizi ai partecipanti, sicurezza, logistica, magazzini, locali tecnici), Chiesa venga sostituito da Paris.
Nel raccontarlo, il giudice che ha scritto l’ordinanza scivola in un gustoso lapsus: chiama Carlo Chiesa, il manager sostituito, “Mario Chiesa” (l’arrestato numero uno, il 17 febbraio 1992, dell’inchiesta Mani pulite). Lapsus a parte, Paris resta in Expo con le mani libere. È diventato il più potente dei manager operativi. Perché Gorini e Chiesa sono stati cancellati dagli organigrammi? Gorini, interpellato dal Fatto quotidiano, ritiene di non dover rispondere. “Le chiedo scusa del diniego, ma non è mia intenzione rilasciare dichiarazioni”. È l’ex assessore con delega Expo al Comune di Milano, Stefano Boeri, a sostenere, con parole più gentili, che nel 2011 sia cominciata una sorta di “pulizia etnica” che ha fatto “saltare” tutti coloro che ostacolavano gli affari. Il primo “a essere messo da parte”, dice Boeri, è Renzo Gorini, poi, “dopo poche settimane”, continua l’ex assessore, “sono saltato io”.
Nato a Rimini, laureato in ingegneria civile al Politecnico di Milano nel 1971, Gorini prima di arrivare a Expo è stato direttore infrastrutture a Sea, la società che gestisce gli aeroporti milanesi. Aveva precedentemente ricoperto i ruoli di direttore centrale di Italstrade, direttore divisione grandi lavori Italia alla Coop Edilter di Bologna, direttore generale del Comune di Reggio Emilia e manager alla Regione Emilia-Romagna.
Oggi collabora a un sito che sostiene Matteo Renzi, in cui nel 2013 (due anni dopo la sua uscita da Expo) ha scritto anche un intervento che racconta come il progetto iniziale dell’evento sia via via cambiato (o addirittura snaturato). “Il concept del sito, elaborato nel 2009 da cinque architetti di fama internazionale, Stefano Boeri che ne era anche il coordinatore, l’inglese Ricky Burdett, il catalano Joan Busquets, lo svizzero Jacques Herzog e l’americano William Mc Donough, conteneva una serie interessante d’indicazioni, in buona parte non attuate. Il primo ad abbandonare la partita è stato Busquets, che sperava di realizzare una radicale trasformazione urbanistica di una zona cruciale e critica per Milano. La progettazione intervenuta affronta questi temi in modo molto parziale”, continua Gorini, “come non risolve il problema del futuro utilizzo dell’area, rinviandolo a una data imprecisata, contrariamente a quanto aveva fatto Burdett per le Olimpiadi di Londra; che aveva dato luogo prima alla progettazione delle destinazioni future e condizionato poi a esse le opere dell’evento. Il terzo disatteso è stato McDonough, che voleva fare in Expo un’applicazione della teoria from cradle to cradle, per la quale ogni oggetto e ogni opera vanno progettati tenendo conto del loro riutilizzo o del loro riciclo, usando i materiali più utili per questo scopo. Di questo, nei progetti esecutivi, restano poche tracce”. Conclude Gorini: “Anche le teorie di Boeri si sono perse. L’architetto milanese vedeva in Expo l’opportunità di sperimentare l’agricoltura di prossimità come strumento per riqualificare la città. Ma quest’idea si è scontrata con l’esigenza di valorizzare le aree in un’ottica diversa, probabilmente immobiliare”. È quanto è successo e sta succedendo. E per le operazioni immobiliari, Paris era la persona giusta.
Gianni Barbacetto, Il Fatto Quotidiano 13/5/2014