Fabrizio d’Esposito e Lucio Musolino, Il Fatto Quotidiano 13/5/2014, 13 maggio 2014
MATACENA TRA BOSS, TRAGHETTI E BERLUSCONI
Il Condannato è a rischio Alzheimer, almeno così sembra. Amedeo Matacena? Risposta di Silvio Berlusconi: “Questo signor Matacena non me lo ricordo”. Amnesie e convenienze tra pregiudicati. Eppure lo stesso Matacena, oggi ripudiato in un falso oblio, confessò nell’aprile del 2001: “Sono intristito e un po’ deluso. Nel ’94 ero nel Pli e scrissi sul Corriere della sera un articolo in cui invitavo Berlusconi a scendere in campo. Sono stato tra i fondatori del movimento, vedere andare tutto al macero è un grande dolore”. Le parole del latitante, allora deputato uscente, erano amare per un semplice motivo. All’ultimo minuto, il suo nome fu depennato dalle liste azzurre per le elezioni politiche per i suoi guai giudiziari con la ’ndrangheta. Indovinate chi gli aveva promesso il seggio certo? Ecco qua, ancora Matacena, in un messaggio denso di sottintesi minacciosi: “Scajola e Bonaiuti mi avevano assicurato il collegio di Villa San Giovanni. Non so chi possa avere influito sulla mia mancata candidatura. Eppure ai processi mi sono comportato da amico con Silvio. Mi chiedo: perché il veto non vale per Previti e Dell’Utri e vale per Matacena? Nascondono delle verità loro?”.
Il contributo di Matacena al comparto criminale di Forza non è secondario. Lui in Calabria, Dell’Utri in Sicilia, Cosentino in Campania. Equa distribuzione tra le mafie italiane. Ma la saga dell’ex deputato azzurro si può prendere per un altro verso. Quello dello Stretto di Messina, con il relativo tormentone sul ponte da costruire. Su una sponda, quella isolana, la famiglia Franza e Genovese che oggi è in ansia per l’eventuale arresto di Francantonio (che di cognome fa Genovese, appunto) deputato del Pd. Sull’altra, di sponda, la famiglia Matacena. Due dinastie che hanno gestito traghetti e aliscafi e si ritrovarono insieme nel consorzio per il ponte. Il papà di Amedeo, Amedeo senior, tra i capi della rivolta fascista di Reggio Calabria nel 1970, litigò con il fratello Elio quando quest’ultimo si fuse con gli odiati Franza, trent’anni fa. Pure divisi, rimasero comunque una potenza in città, a Reggio. Quella del Matacena latitante è stata la generazione dei figli cresciuti nel lusso, tra bolidi e donne fatali. Prima di impalmare l’ormai notissima Rizzo, Amedeo junior ebbe un figlio da Alessandra Canale, volto tv. Una storia di dolore e non solo. Quando la Canale ebbe un figlio, ci fu un’aspra battaglia legale per il riconoscimento del bimbo. Lei non voleva.
Nella parabola politica di Matacena, quella di Scajola è una frequentazione antica. Esempio: “Risulta a lei se l’onorevole Matacena ha mai chiesto sollecitazioni o raccomandazioni presso magistrati della Repubblica in favore di indagati o imputati?”. “No. Non è mai risultato a me, anche perché sarebbe impossibile per il ruolo che svolgo io e perché non è mai effettivamente e obbiettivamente successo!”. Questa risposta, Claudio Scajola la diede nel dicembre 1999 quando l’ex ministro dell’Interno, all’epoca coordinatore nazionale di Forza Italia, venne a Reggio Calabria e, in un’aula di tribunale, fu sentito come testimone a difesa di Matacena.
Amedeo chiama e Claudio risponde. È dai tempi del ma-xi-processo “Olimpia”, contro le cosche reggine uscite dalla guerra di mafia, che le storie politiche e giudiziarie dei due parlamentari azzurri si intrecciano pericolosamente. Rispolverando i verbali delle udienze di “Olimpia”, è facile ricostruire come è nato il legame, non solo politico, tra i due indagati dell’inchiesta Breakfast. “Io con Matacena – Scajola aveva detto ai giudici nel 1999 – ho rapporti come collega parlamentare, ho avuto rapporti in quanto ero anche delegato di collegio qui a Reggio. Sono venuto in Calabria molte volte”. E sullo scontro politico di quegli anni in merito alla proroga del 41 bis (il carcere duro per i boss) e alla riforma della normativa sui collaboratori di giustizia, già allora, Scajola aveva “tranquillizzato” i giudici sul comportamento di Matacena a Montecitorio: “Non ricordo nulla di specifico, francamente. So che ha fatto alcune interpellanze, che ha fatto alcuni interventi in aula. Non credo che (la sua linea politica, ndr) sia mai stata difforme dalla nostra che è quella del rispetto pieno nei confronti della magistratura ma con il principio forte che noi sentiamo del bisogno del garantismo”.
Di interpellanze parlamentari contro i pm di Reggio che indagavano su di lui, in realtà, Matacena ne ha presentate quasi una cinquantina arrivando a chiedere all’allora ministro della Giustizia Flick addirittura una “perizia psichiatrica collegiale per verificare un presunto stato di infermità mentale” del sostituto della Procura nazionale antimafia Enzo Macrì che, all’epoca, coordinava l’inchiesta “Olimpia”. Per chi indagava sulla ’ndrangheta di Reggio Calabria erano anni difficili, tra il fango gettato addosso dai parlamentari: “In quel decennio – ricorda proprio Macrì, oggi procuratore generale di Ancona – la città era rappresentata da due esponenti politici. Tutti e due, Paolo Romeo e Amedeo Matacena, sono stati condannati per mafia e con sentenze oggi definitive. Per questo sono stato pesantemente attaccato. L’episodio più grave e più indicativo fu quella richiesta di una perizia psichiatrica”.
Mafia, politica ma anche massoneria. Il boss di Pellaro, Filippo Barreca è stato il primo pentito della ’ndrangheta, all’inizio degli anni ’90 e già allora aveva indicato Matacena come un massone iscritto a una loggia segreta, costituita nel 1979, di cui facevano parte professionisti, rappresentanti delle istituzioni, politici e ’ndranghetisti. Questa loggia, formata da Franco Freda nel periodo di latitanza a Reggio Calabria, “aveva legami strettissimi con la mafia di Palermo, a cui doveva render conto”. A fianco di Matacena ci sarebbero stati politici come “Ludovigo Li-gato (ucciso nel 1989), il senatore Vincelli, l’avvocato Paolo Romeo e l’ex sottosegretario Franco Quattrone”. Al loro fianco i mammasantissima “Paolo De Stefano, ’Ntoni Nirta, Peppe Piromalli e Natale Iamonte”. Anche il pentito Paolo Iannò, un tempo killer della cosca Condello, tira in ballo Matacena che, stando al suo racconto ai magistrati, sarebbe stato appoggiato politicamente pure dal boss Pasquale Condello, detto il “Supremo”. Perché? “Pensava di aggiustare i processi con la politica”.
Fabrizio d’Esposito e Lucio Musolino, Il Fatto Quotidiano 13/5/2014