Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 13 Martedì calendario

IL SOCRATE DEL CALCIO CHE SFIDÒ IL REGIME


Un dirigente sociologo, un terzino sindacalista, un centravanti ribelle amante delle droghe e un centrocampista laureato in medicina con il nome da filosofo greco. Sono i protagonisti (Alves, Wladimir, Casagrande e Socrates) di una storia che dal calcio si trasformò (quasi) in rivoluzione.
Ovvero, la democrazia corinthiana.
Esperimento di autogestione lungo tre anni (dal 1982 al 1985) applicato a una squadra (il Corinthians di San Paolo) ma capace di influenzare la storia del Brasile. «Qualcosa di mai tentato prima e soprattutto mai più avvenuto dopo, non solo nel mondo del calcio», secondo Juca Kfouri, giornalista brasiliano che quel periodo raccontò in presa diretta. «Perché la democrazia corinthiana», sintetizza Daniel Cohn Bendit, leader del Maggio francese, «fu per i brasiliani un Sessantotto a scoppio ritardato». Tutto questo e molto altro ancora racconta Compagni di stadio (Fandango Libri), libro prezioso di Solange Cavalcante «giornalista e corinthiana militante». Alternando le vicende di una nazione con quelle di una squadra, il Corinthians appunto: fondata nel 1910 da un gruppo di lavoratori di origini italiane, tra cui il sarto anarchico Miguel Battaglia. Fino al golpe militare del 1964: appoggiato dagli Stati Uniti, introdusse la dittatura che governò fino a metà degli anni Ottanta, tra “sparizioni” e uccisioni, limitando libertà e diritti in ogni settore della società. Calcio compreso.
Non è casuale allora se a dirigere la sezione calcistica del Corinthians arriva un sociologo e se la voglia di democrazia passa per le rivendicazioni sindacali dei calciatori che si preparano «con il voto, a sovvertire le regole, la disciplina e la gerarchia ». Espresso in ogni occasione da tutti i lavoratori della squadra, dal massaggiatore alle riserve, per prendere la decisione più piccola così come la più grande. Come spiegano le parole del leader di quell’esperimento. Socrates, capitano del Brasile oltre che del Corinthians: «Stiamo mettendo in pratica quello che consideriamo
ideale per la società, prendendo le nostre decisioni con il voto. Vogliamo discutere gli acquisti di nuovi giocatori, le cessioni, l’abolizione dei ritiri, i contratti e i salari, chiediamo di ricevere come premio una percentuale delle rendite di ogni partita».
Prove di democrazia, dunque. Nell’anno (1982) in cui la dittatura militare diventa maggiorenne, il Corinthians ingaggia il più famoso pubblicitario del Paese: Washington Olivetto. Sarà lui ad applicare strategie di marketing al brand democratico. Tanto che il 31 ottobre, a due settimane dalle prime elezioni (municipali), i giocatori scendono in campo con la scritta Dia 15 vote sulle maglie. Primo di una serie di messaggi politici. Fino a dichiarare il proprio intento, quando Olivetto conia il termine “Democracia Corinthiana” per definire quello che stava succedendo nella squadra.
La critica più frequente («Non si allenano, pensano solo a far festa») tendeva a limitare dentro i confini del calcio un fenomeno che stava contagiando la società brasiliana. Ma la democrazia corinthiana, che difendeva la propria esistenza vincendo (due campionati consecutivi vinti: 1982, 1983) era anche glamour e rock’n’roll, capelli lunghi ed eccessi. L’ex portiere Sollito ricorda: «Molte cose avvenivano in modo spontaneo e inaspettato. In fondo stavamo solamente vivendo, ed eravamo felici». Scendevano in campo ballando al ritmo delle canzoni di Gilberto Gil.
Nel 1984, il 25 aprile in Parlamento si vota l’emendamento costituzionale che può ristabilire le elezioni dirette per il presidente della Repubblica, sancendo la “fine anticipata” della dittatura. Fin dall’inizio dell’anno la mobilitazione popolare per l’elezione diretta ( Diretas Jà, Diretta ora ndr) era partita dal calcio e aveva contagiato il Paese. Con il Corinthians e i suoi tifosi in prima fila. Anche il 16 aprile, per il comizio di chiusura nel centro di San Paolo, quando sul palco salgono loro: Alves, Wladimir, Casagrande. E Socrates, che prende l’impegno che scatena l’ovazione del milione di persone in piazza: «Se passa l’elezione diretta non vado a giocare all’estero ». Ma l’emendamento non passa. E Socrates si trasferisce alla Fiorentina. Da lì in poi si moltiplicano le difficoltà per la democrazia corinthiana. Nonostante la solidarietà espressa da personaggi come Amado, Niemeyer, Buarque, Gil e lo stesso Lula, che firmarono un documento collettivo: «Il sistema di lavoro corinthiano continua a essere importante per la riconquista della democrazia brasiliana».
Il resto è storia, con la disgregazione di quel gruppo di giocatori e la contemporanea transizione democratica del Brasile. Ma il funerale della democrazia corinthiana viene forse celebrato molti anni dopo. Nel giorno della morte di Socrates, 4 dicembre 2011, quando l’intero stadio di San Paolo lo celebra, prima dell’inizio della partita contro il Palmeiras che avrebbe regalato un nuovo titolo al Corinthians. Ed è da quelle decine di migliaia di persone che salutano a pugno chiuso come Socrates, che parte il racconto di un altro libro appena uscito, Un giorno triste così felice (66thAnd2nd) in cui Lorenzo Iervolino ricostruisce la voce del “Dottore”, tra romanzo e reportage. Perché è difficile, se non impossibile limitare dentro i confini del calcio la storia della democrazia corinthiana.

Marco Mathieu, la Repubblica 13/5/2014