Antonio Galdo, Il Messaggero 13/05/2014, 13 maggio 2014
I FORZATI DEL CHILOMETRO ZERO
La truffa è dietro l’angolo, a chilometro zero. A Padova quattro produttori agricoli l’hanno fatta semplice e grossa: hanno acquistato, a prezzi stracciati, cassette di frutta e ortaggi deteriorati presso il Mercato agroalimentare della città (Maap) e hanno messo in vendita la merce in quattro farmer’s market della zona, come se arrivasse direttamente dai loro campi. Adesso rischiano due anni di reclusione per frode in commercio, e una multa di qualche migliaio di euro. Ma a parte il codice penale (articolo 515), l’episodio di Padova segnala un rischio reale che scuote una delle più promettenti filiere dell’Italia agricola e commerciale, la rete appunto dei mercati a chilometro zero.
I furbi e gli imbroglioni esistono dappertutto, e si moltiplicano laddove ci sono più opportunità, a partire dalle 42mila sagre alimentari (tutte a chilometro zero), cinque ogni comune, che si contano in Italia. Secondo la Confcommercio, quelle veramente legate al cibo locale non arrivano alla metà, mentre quelle taroccate fatturano circa 600 milioni di euro l’anno. E il coltivatore che vende direttamente dalla sua campagna, ricordiamolo, non paga né Iva né Irpef. Il risultato, se poi guardiamo le cose dal punto di vista degli interessi del consumatore, è doppiamente paradossale. Da un lato non ha la qualità che si aspetta e dall’altro paga una cifra perfino sproporzionata rispetto a quello che acquista. Come appunto è avvenuto a Padova. E anche in altre zone d’Italia dove a chilometro zero sono finiti in vendita il basilico del Sud Africa, gli asparagi del Perù, le patate della Francia, le noci degli Stati Uniti, il grano del Canada.
IL PROBLEMA
Come si esce dal tunnel del rischio truffa a chilometro zero? Per carità, innanzitutto non iniziamo a chiedere una nuova pioggia di leggi nazionali e locali, regolamenti e norme di vario livello. Non affidiamo, cioè, la pratica alla burocrazia. E partiamo da un dato di fatto: i mercati a chilometro zero sono una importante leva per valorizzare l’agricoltura made in Italy e per arricchire l’offerta commerciale, con relativi vantaggi in termini di costo dei prodotti, per i consumatori. Guai a sprecarla. D’altra parte la spesa alimentare delle famiglie italiane è al centro di una vera rivoluzione, alimentata anche dalla Grande Crisi e dalla gelata degli acquisti (meno 2 per cento, in media, dall’inizio del 2014), come dimostra il fatto che negli ultimi tre anni il 77 per cento dei consumatori di prodotti alimentari, innanzitutto le donne, hanno modificato radicalmente le loro abitudini. A parte i farmers market (più di mille soltanto quelli che si svolgono in tutto il Paese sotto la sigla “Campagna amica” della Coldiretti), con sagre annesse e connesse, si sono moltiplicati, per esempio, i Gas (gruppi di acquisto solidale), quasi tremila, ai quali aderiscono in media 30-40 famiglie ciascuno. Gli acquisti si fanno via web, e alla base dell’identità dei Gas oltre il risparmio, in media il 20 per cento, c’è proprio l’obiettivo di “fare la spesa a chilometro zero”.
IL MARKETING
Una parola magica, perfetta dal punto di vista del marketing, che ha spinto anche la grande distribuzione a sparigliare il tavolo ed a modificare la sua offerta. Due casi per tutti. In fondo, il fenomeno di Eataly, la creatura di Oscar Farinetti, è nato ed è esploso grazie al marketing sottostante della vendita a chilometro zero. E oggi possiamo definire Eataly, l’ultima storia di successo della filiera agroalimentare italiana, per quello che realmente rappresenta: un supermercato di eccellenze italiane che comunque arrivano da tutto il Paese. La Conad, che come tutti i player della grande distribuzione deve fare i conti con un’affollata concorrenza e con margini molto bassi sulle sue vendite, ha inventato una sua linea di generi alimentari made in Italy con ottima qualità e prezzi competitivi, Sapori & Dintorni, tutta ispirata al format dell’eccellenza della produzione territoriale e poi del chilometro zero. Perfino navigando nell’universo di Amazon, gigante mondiale dell’e-commerce, ci si imbatte nell’offerta di 43 prodotti tipici regionali, incardinati sotto la sigla Vivere la Toscana, che vengono spediti a casa all’insegna della filosofia del chilometro zero.
E nel 2013, in piena recessione e in piena caduta dei consumi, in Italia sono stati aperti 3.341 piccoli negozi alimentari (con anche articoli per la casa), di strada, di quartiere, e di rione. Lo hanno fatto perlopiù cittadini immigrati, che tentano di fare il salto dal lavoro dipendente alla piccola impresa commerciale dopo avere capito al volo le nuove tendenze degli italiani in termini di spesa: meno acquisti compulsivi e meno sprechi, più attenzione al prezzo e più voglia di prossimità, compreso il chilometro zero.
I CONTROLLI
La concorrenza dei punti vendita può fare solo bene alle tasche e al palato degli italiani, dunque, a condizione che non sia né sleale né bucata, come un dente cariato, dalle truffe. Né bisogna gonfiarsi la bocca con la retorica della nostra identità, per rendersi conto di un fatto elementare: più vendite di prodotti locali, a parte la migliore qualità, si traducono in una leva, in un moltiplicatore, per il nostro settore agricolo, dove si sprecano posti di lavoro che invece si potrebbero creare. I prodotti fasulli, in qualche modo, vanno messi nel conto della rivoluzione a cui stiamo assistendo, ma per scovarli esistono già uomini e strumenti, dalle associazioni di categoria (a partire dall’Ascom che considera i Farmer’s market una sorta di spaccio di merce taroccata) a quelle dei consumatori, passando per i vari nuclei di addetti ai controlli, dalle Asl a Polizia e Carabinieri. Lo scandalo di Padova, per esempio, è stato scoperchiato da un intervento della Guardia forestale. Tra di loro, in prima fila, c’erano due donne abituate a fare la spesa ed a scansare, a volte solo con un’occhiata alla merce in vendita, il pericolo della truffa dietro l’angolo.