Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 13 Martedì calendario

L’EURO E IL PIANTO DELLA MERKEL COSA ACCADDE (DAVVERO) NEL 2011


MILANO — Anche la donna più potente del mondo ha pianto davanti all’uomo più potente del mondo (e in uno dei posti più glamorous del pianeta). Siamo a Cannes, è il 3 novembre del 2011: la Francia ospita il G20, la riunione dei 20 Paesi più ricchi del pianeta. Ci sono naturalmente Angela Merkel per la Germania e Barack Obama per gli Stati Uniti. Poco più in là, sulle piazze finanziarie, la tempesta sul debito pubblico europeo sta travolgendo l’euro, facendo schizzare i tassi dei titoli di Stato mediterranei e gli spread con il primo della classe, Berlino.
A Cannes è ormai sera, la riunione dei 20 capi di Stato/premier è presieduta da Obama. Per arginare l’emorragia delle vendite a cascata su Btp, Bonos e altri titoli euromediterranei, alcuni leader chiedono ad Angela Merkel di aprire di più il portafoglio. E qui arriva lo sfogo di colei che, secondo ai sondaggi, è oggi uno dei politici più amati dai rispettivi concittadini. In lacrime, stando alle ricostruzioni del Financial Times , la cancelliera perde il suo aplomb: «Non è giusto, non posso decidere quello che non mi compete e che spetta invece alla Bundesbank (la banca centrale, ndr.). Non posso».
Poi, da quel vertice e da quel novembre in cui i tassi hanno raggiunto i massimi (per l’Italia, Btp vicino al 7,5% e spread a 575 punti base), molto è cambiato in Europa. Dalla Germania - non dalla cancelleria di Berlino, ma dalla Banca centrale europea di Francoforte - sono arrivati gli aiuti che hanno riportato la luce sull’euro e rilanciato i titoli di Stato del Sud. In Italia il premier Berlusconi si è dimesso a metà novembre di quel 2011, seguito al governo da Mario Monti, Enrico Letta e ora Matteo Renzi. Nello stesso novembre di tre anni fa, in Spagna è diventato primo ministro Mariano Rajoy (che lo è tuttora). L’unione bancaria europea è stata lanciata, è con lei la supervisione sovranazionale delle banche e la compartecipazione degli investitori alle crisi bancarie.
Eppure, a Cannes, l’Eurozona sembrava a un passo dal precipizio. Come la Grecia. Ma, secondo il quotidiano inglese, era l’Italia il Paese che faceva più paura, viste le dimensioni (2 mila miliardi di debito pubblico). Tanto che si lanciò il monitoraggio internazionale del Bel Paese. «Roma non ha più credibilità», avrebbe detto allora il numero uno del Fondo monetario, Christine Lagarde. «Non possiamo permetterci un default dell’Italia», avrebbe aggiunto un funzionario francese, «sarebbe probabilmente la fine dell’Eurozona».
Ma su come sia andata nel 2011, e negli anni prima, l’allora ministro dell’Economia Giulio Tremonti la pensa diversamente. «Non era una crisi dell’Italia, ma una crisi dell’euro», dice il ministro dell’ultimo governo Berlusconi. «La colpa - secondo Tremonti - è di chi nell’Europa core , quella centrosettentrionale, ha prestato soldi ad alto rischio e ad alto tasso più a Sud, per esempio alla Spagna; e della Bce che non ha vigilato». L’attuale senatore pensa «agli anni dell’euforia pre-crisi, quelli in cui le eurobanconote alate volavano da Nord a Sud per finanziare le olimpiadi greche e la cementificazione del litorale iberico, una Florida europea per la seconda vita dei popoli settentrionali». Sarebbe così nata la seconda ondata di prodotti subprime : quelli europei dopo quelli americani, «finanziati dalle banche francesi, tedesche, etc.» - prosegue Tremonti - il cui «equilibrio finanziario, già minato dai subprime Usa, sarebbe crollato con i subprime europei, con lo scoppio della crisi sovrana». «Sulla Grecia - continua il senatore - l’Italia aveva un rischio potenziale di 20 miliardi, Francia e Germania insieme di 200 miliardi». E ancora: «A riprova di quanto sopra, quei 200 miliardi che poi la Grecia ha ricevuto dall’Europa sono rimasti ad Atene lo spazio di un mattino, perché sono subito tornati indietro, tra le mani dei creditori». Per Tremonti «il Financial Times è analitico sugli effetti, non sulle cause: nel 2010-12 stava saltando l’euro, e non per colpa dell’Italia».
Cannes, adesso, sembra lontana anni luce. Ma i problemi e le spie rosse no. Anche se nella gestione della crisi il presidente della Bce «Mario Draghi ha detto le parole giuste al momento giusto», «la politica monetaria in Europa dovrebbe dare ulteriori impulsi per la crescita», ha detto allo Handelsblatt Christine Lagarde. Il numero uno del Fmi ha sottolineato come «il flusso di credito nel settore bancario sia sempre fermo, i mercati del credito frammentati». Con una disparità Nord-Sud, a vantaggio dei primi.