Massimo Piattelli Palmarini, Corriere della Sera 13/05/2014, 13 maggio 2014
LA RESA DEGLI SCIENZIATI SULL’ORIGINE DEL LINGUAGGIO
Penso sia pura coincidenza che esca proprio in questi giorni, sul numero di maggio di Frontiers in Psychology, una critica devastante di molte recenti pubblicazioni sulle origini del linguaggio.
Coincidenza perché ha appena chiuso i battenti, a Vienna, il decimo congresso internazionale, bi-annuale, dedicato, appunto, all’evoluzione del linguaggio (Evolang X), nel corso del quale dozzine di relatori, provenienti dai quattro angoli del mondo, hanno esposto il tipo di lavori persuasivamente demoliti nell’articolo in questione. Questo impietoso saggio di rassegna, intitolato Il Mistero dell’Evoluzione del Linguaggio , porta la firma di colui che molti (e io sono tra questi) considerano il massimo linguista vivente, cioè Noam Chomsky.
Oltre a Chomsky è firmato da colui che molti (e io sono anche tra questi) considerano il massimo evoluzionista vivente, Richard Lewontin, e da altri sei qualificatissimi coautori: Marc Hauser, esperto di comunicazione animale, Robert Berwick, linguista, matematico ed evoluzionista del Mit, spesso coautore di Chomsky, Charles Yang, esperto di apprendimento del linguaggio (Filadelfia), Ian Tattersall, antropologo esperto di evoluzione della specie umana (New York), Jeffrey Watumull, linguista matematico (Cambridge, Inghilterra) e Michael J. Ryan, esperto di evoluzione della cognizione e della comunicazione animale (Austin, Texas).
Questi studiosi ci ricordano che, nel 1866, la Société de Linguistique de Paris, decise di bandire ogni articolo sull’evoluzione del linguaggio, dato che si accumulavano contributi con le più bizzarre e insensate speculazioni. Nessun bando di questo tenore è mai più stato promulgato e, specie negli ultimi vent’anni circa, una pletora di libri, articoli e congressi si sono cimentati con questo problema, corredando le speculazioni con dati neurobiologici, genetici, paleontologici, etnografici e naturalmente evoluzionistici. Chomsky, Lewontin e colleghi espongono in dettaglio perché questi dati, anche quando sono solidi, non consentono di trarne le pretese conclusioni.
Corredata da una ricchissima bibliografia, la loro rassegna critica spazia dai modelli matematici e computazionali alle pretese ingenue spiegazioni di tipo adattazionista neo-Darwiniano, passando per i reperti fossili (calchi del cranio dei Neandertal), le segnalazioni vocali dei primati, i linguaggi artificiali e la genetica comparativa. Una ad una, tutte queste ipotesi sull’evoluzione del linguaggio sono da loro puntualmente e precisamente confutate. Non mancano, però, alla fine dell’articolo, sensatissimi suggerimenti su come procedere, pur tra mille difficoltà, verso approcci assai più fruttuosi all’evoluzione del linguaggio. Va precisato che questi stessi autori, in anni precedenti, individualmente o variamente tra loro combinati, già avevano specificamente confutato queste ipotesi, una dopo l’altra. Direi, purtroppo, con scarso successo.
Posso darne testimonianza diretta. La precedente edizione del grande congresso sull’evoluzione del linguaggio (Evolang IX) si tenne a Kyoto nel Marzo 2012. Chomsky aveva inizialmente accettato di tenere il discorso inaugurale, in sessione plenaria, ma ci aveva poi ripensato. Mi disse, saggiamente: «Non vedo l’interesse di passare quattro giornate a sentir proporre ipotesi implausibili». Gli organizzatori, sgomenti, gli chiesero chi poteva sostituirlo. Chomsky propose due nomi: quello di Robert Berwick (molto opportunamente) e il mio (assai meno opportunamente). Bob declinò ed io mi assunsi il non lieve carico. In sostanza, in versione abbreviata e meno analitica, offrii alla numerosa platea il tipo di critiche adesso ben dettagliate nella rassegna di Chomsky e coautori. Certo, nessuno poteva sostituire Chomsky e io ero un nano in confronto a un gigante. Ma fu come non avessi parlato affatto. Per quattro lunghe giornate sentii sciorinare le ipotesi che avevo tentato di confutare in apertura del congresso, senza una parola di contro-critica.
Un ulteriore aneddoto, al ritorno da Kyoto, rafforzò il mio disappunto. Un mio studente di dottorato, all’Università dell’Arizona, dopo aver sentito tre mie dettagliate lezioni di critica a quelle ipotesi, e aver (spero) letto alcuni articoli degli autori sopra nominati, candidamente mi confessò: «Niente mai potrebbe persuadermi che l’evoluzione del linguaggio non è il risultato di pressioni selettive Darwiniane esercitate dalla comunicazione e la cognizione in genere». Trattandosi di un corso di bio-linguistica, quindi di scienza e non di religione o ideologia, la sua confessione, con quel sinistro «niente mai» (nothing ever ), mi parve assai preoccupante. Eppure quello studente era, almeno, più sincero di molti studiosi criticati da Chomsky, Lewontin e coautori. E della stragrande maggioranza dei partecipanti ai dieci convegnoni Evolang. Non posso sperare che Evolang XI, tra due anni, sarà molto diverso.