Luigi Ferrarella, Corriere della Sera 13/05/2014, 13 maggio 2014
«RACCONTEREMO ANCHE DEGLI ALTRI» LE AMMISSIONI DI PARIS E MALTAURO
MILANO — Già al primo interrogatorio si spacca subito «la squadra» — come si chiamavano tra loro ai tempi della buona sorte tangentizia — degli arrestati nell’inchiesta sugli appalti di Expo 2015. E così la «linea Maginot» sulla quale si attestano sia l’ex dc parlamentare berlusconiano Gianstefano Frigerio (che rivendica «solo proselitismo politico» e chiede subito la scarcerazione per motivi di salute presentandosi in sedia a rotelle), sia il consulente delle coop rosse Primo Greganti (che rialza il muro edificato vent’anni fa all’epoca di Mani pulite e valsogli la nomea di «compagno G»), sia l’ex senatore pdl Luigi Grillo, a fine giornata rischia di essere già incrinata: spiazzata dalle ammissioni che invece arrivano ai magistrati tanto da un imprenditore privato come Enrico Maltauro, che conferma di aver sinora pagato almeno 350/400 mila euro (rispetto ai 600 mila «ascoltati» dalle intercettazioni), quanto da un pubblico ufficiale come il general manager di Expo 2015 Angelo Paris, che anticipa di voler spiegare come, perché e a causa di chi sia arrivato a commettere «gli errori» di cui si assume «la responsabilità», cominciati a pagare con la presentazione delle proprie dimissioni. E per chi si ritrova tra i due fuochi e sceglie sinora una linea interlocutoria, come Sergio Cattozzo, ex segretario ligure udc e attuale membro dell’Assemblea nazionale dell’alfaniano Nuovo Centro Destra, cominciano comunque a «parlare» già gli incauti post-it con la contabilità dei soldi, che ( Corriere , 10 maggio) Cattozzo si è fatto sorprendere a nascondere nelle mutande durante la perquisizione giovedì.
L’imprenditore Maltauro
L’imprenditore vicentino assistito dagli avvocati Giovanni Dedola e Paolo Grasso premette di essere al replay di un’esperienza vissuta in Mani Pulite: all’epoca collaborò quasi subito e, dopo poche ore di carcere, peregrinò poi per mesi in tutta Italia facendo con i pm delle varie Procure la lista della spesa delle tangenti che i manager della sua impresa di famiglia dicevano di essere stati costretti a pagare per quietare la fame di soldi dei partiti. Maltauro si descrive disgustato da quegli eventi e spiega che essi l’avevano indotto ad allontanarsi dalla gestione operativa dell’impresa per un decennio. Quando però le dinamiche familiari lo inducono a rioccuparsi dell’azienda, Maltauro afferma di essere rimasto allibito da come tutto non fosse cambiato, se non per un aspetto ancora peggiore: e cioè che, al posto dei grandi partiti, dove almeno si sapeva con chi dover parlare, un’impresa come la sua si trova a dover invece subìre il potere d’interdizione di una pluralità di centri di potere parcellizzati, rispetto ai quali sarebbe (a suo avviso) inevitabile e indispensabile dotarsi di una chiave di interpretazione, di una sorta di traduttore di esigenze, insomma di un lobbista capace di capire chi avvicinare e come conquistarne il via libera. Maltauro afferma che il suo lobbista era Cattozzo, persona che gli era stata indicata dal senatore Grillo, e che a sua volta gli aveva poi presentato Frigerio.
L’imprenditore non nega dunque la materialità dei fatti contestatigli (anche perché in alcuni casi sarebbe difficile tra intercettazioni e filmati), e a memoria calcola di aver già stanziato complessivamente 350/400 mila euro a Cattozzo (tra fatturazioni e contanti) e in parte e Frigerio; ma si impegna con i pm a mettere a fuoco i dettagli in prossimi interrogatori, anticipando solo di escludere invece la propria partecipazione a una associazione a delinquere, e asserendo di aver ignorato le modalità eventualmente illecite del lobbismo di Cattozzo.
I post -it di Cattozzo
Il secondo ad essere interrogato, difeso dagli avvocati Michele Ciravegna, Riccardo Ferrari e Rodolfo Senes, è nella posizione più complicata, perché il politico ncd ed ex udc è la persona che le indagini documentano abbia materialmente incassato i soldi, ed è dunque di fronte all’alternativa di dover spiegare non solo a che titolo, ma anche se se li sia tenuti oppure se li abbia in parte girati come tangenti a qualche pubblico ufficiale. È una scelta che rimanda, per adesso ieri volendosi solo dichiarare un lobbista all’americana, cioè un consulente (di Maltauro e di altre società che giura però estranee a illeciti) la cui competenza sarebbe quella di verificare se esistono i presupposti perché alcune aziende possano operare assieme e così generare lavoro. Come? Attraverso la propria rete di conoscenze politiche, che spiega di aver maturato quando era attivo nella Cisl, poi nell’Udc e adesso in Ncd.
Al momento dell’arresto giovedì, durante la perquisizione a casa sua, Cattozzo era stato sorpreso dai finanzieri mentre cercava di nascondere nelle mutande alcuni post-it che aveva strappato da una agenda: ieri ha riproposto le sue scuse ai finanzieri e magistrati, dicendosi vittima del panico in un momento nel quale non era ancora sopraggiunto il suo legale: ma intanto quei foglietti contengono effettivamente la contabilità dei soldi ricevuti dall’imprenditore Maltauro e coincide con quella captata man mano dalle intercettazioni.
Paris e gli «errori»
È l’interrogatorio forse più sofferto, nel quale il capo operativo di Expo 2015, assistito dagli avvocati Luca Troyer e Luca Ponzoni, dichiara subito di non volersi nascondere dietro un dito: dice di voler ammettere quelle che sono le sue responsabilità negli «errori» (rivelazioni di notizie e turbative d’asta) fotografati dall’indagine, pur negando l’associazione a delinquere e con la riserva di alcuni episodi che precisa invece non essere del tutto esatti nella ricostruzione accusatoria. Ma in vista degli interrogatori che si prepara a rendere ai pm Gittardi e D’Alessio, ci tiene ad anticipare di essere scivolato a commettere illeciti non per propria volontà ma, a suo avviso, come reazione a un contesto ambientale molto difficile sul suo posto di lavoro: dove cioè, sprovvisto di un riferimento politico, si sarebbe sentito sempre più isolato, esposto (nonostante 18 ore di lavoro al giorno) al rischio di diventare il capro espiatorio dei ritardi e del possibile fallimento di Expo 2015, al punto da cercare negli ultimi 6 mesi nel giro Frigerio-Cattozzo-Greganti-Grillo una sponda politica che potesse supportarlo e riequilibrare le cordate all’interno della stazione appaltante. Un asserito antidoto, che però ha finito per avvelenare lui.
I no di Grillo
L’ex senatore pdl, difeso da Andrea Corradino, nega ogni addebito, mai favorito le carriere di Paris (che dice di aver visto una sola volta 10 minuti) o di Rognoni, mai stato nel centro culturale «Tommaso Moro» di Frigerio, mai ricevuto soldi o anche solo promesse di soldi dall’imprenditore Maltauro, non si spiega perché gli altri al telefono lo dicano di lui. Ammette solo di essersi adoperato per la carriera di Nucci (allora amministratore di Sogin, società pubblica delle bonifiche di siti nucleari, lo stesso per cui si attivò anche Previti), ma solo perché lo stimava manager di valore e ingiustamente estromesso dal giro di poltrone di Stato. E la telefonata di fine dicembre in cui ringrazia Maltauro, in un periodo coincidente con un pagamento appena effettuato da Maltauro, sostiene sia un equivoco nato dal fatto che l’imprenditore a Natale avrebbe comprato come regalo i vini prodotti dall’azienda di Grillo. Che da Maltauro ammette di aver ricevuto la promessa di appoggiarlo nella campagna elettorale.