Gabriella Colarusso, Lettera43 12/5/2014, 12 maggio 2014
CANTONE IL CENSORE
Solo sei mesi fa aveva presentato domanda al Consiglio superiore della magistratura per concorrere alla nomina di procuratore aggiunto della procura del tribunale di Napoli nord, l’ufficio giudiziario che serve decine di comuni delle province di Napoli e Caserta, una lingua di cemento infestata dai clan e dalla criminalità organizzata.
Voleva tornare lì, sul campo, a dare la caccia a boss, latitanti e super killer di camorra come ha fatto per quasi 20 anni da magistrato della Dda di Napoli.
E invece al pm napoletano Raffaele Cantone toccherà ora fare pulizia nella Milano delle mazzette e delle illecite commistioni politica-imprenditoria. Mettere in sicurezza l’Expo. Bonificare, almeno provarci, il terreno che ospiterà uno degli eventi internazionali più importanti del 2015. Matteo Renzi infatti ha deciso di affidare direttamente a lui, al super commissario anti-corruzione, la regia della task force che dovrà vigilare sulla realizzazione dei lavori.
Nato a Giugliano, in provincia di Napoli, nel 1963, Cantone è forse uno dei magistrati italiani che meglio conosce, per averla combattuta sul campo, la zona grigia in cui si annida la corruzione, quella no man’s land che lega criminalità organizzata, politica e imprenditoria, spesso grazie alla connivenza di amministratori e colletti bianchi.
«Primo obiettivo: ripulire i partiti», scriveva un anno fa il magistrato partenopeo commentando, per l’Espresso, la legge anti-corruzione approvata dal governo a 20 anni da Tangentopoli. Un intervento quasi profetico, se si pensa alle cronache di questi giorni sugli affari illeciti nati intorno alla sanità lombarda e all’Expo. Bisognerebbe «consentire lo scioglimento per mafia delle società miste o partecipate e, perché no, anche dei consigli regionali», annotava il magistrato nel febbraio 2013. «Gli enti pubblici, soprattutto quelli territoriali, dovrebbero limitare (se non del tutto dismettere) le attività imprenditoriali. Quanto è emerso sul malaffare delle società create da Comuni e Regioni o ancora più di recente con le fondazioni bancarie controllate dai medesimi enti dimostra i rischi di distorsioni. Gli enti pubblici si limitino a svolgere funzioni soprattutto di controllo, senza sovrapposizioni fra controllori e controllati!».
Cantone è in magistratura da quando aveva 28 anni. Gran parte della sua vita l’ha dedicata alla lotta contro la camorra, in prima linea nella Direzione distrettuale antimafia di Napoli, contribuendo con le sue indagini alla decapitazione del clan dei casalesi, il potente sodalizio criminale reso noto dal bestseller di Roberto Saviano, Gomorra, che proprio nelle indagini di Cantone ha trovato materiali e spunti per il suo romanzo.
È grazie a lui e agli altri magistrati della Dda se boss del calibro di Francesco Schiavone, detto Sandokan, Francesco Bidognetti, Walter Schiavone, Augusto La Torre, Mario Esposito sono stati condannati in via definitiva all’ergastolo. In pratica, la cupola dei casalesi.
Ed è merito suo anche l’aver portato alla luce alcuni meccanismi di funzionamento del clan utili a comprendere fenomeni malavitosi che vanno ben oltre i confini della Campania.
Cantone è stato il primo, per esempio, a puntare i riflettori sul sistema dei consorzi, indagando sui fratelli Orsi e sulla società Eco4, azienda al centro di un vasto sistema di malaffare costruito intorno allo smaltimento illecito dei rifiuti per la cui attività è finito sotto indagine anche l’ex sottosegretario e parlamentare del Pdl Nicola Cosentino.
Con i consorzi privato-pubblico, camorra, politica collusa e imprenditoria criminale riuscivano a eludere i sistemi di controllo. «Un intreccio tra sospettabili e insospettabili: industriali, amministratori e persino magistrati», spiegò il pm pochi mesi fa parlando della vicenda Eco4 e chiedendo che i verbali delle sue audizioni alla commissione antimafia, sulla terra dei fuochi e non solo, venissero desecretati. Per far emergere «in particolare la storia del consorzio Caserta 4, delle connivenze e delle complicità da parte delle istituzioni di cui hanno goduto i fratelli Orsi, imprenditori di Casal di Principe».
Cantone però non ha mai lasciato spazio a speculazioni politiche di sorta, insistendo piuttosto sulla trasversalità delle collusioni tra amministrazione pubblica e malavita. «Pur non nutrendo eccessivi dubbi sulle gravissime responsabilità politiche e penali dell’onorevole Cosentino, non vorrei che fosse additato all’opinione pubblica come l’unico colpevole quando, invece, il sistema deleterio dei rapporti fra politica e camorra riguardava e riguarda esponenti di tutte le principali coalizioni», dichiarò a gennaio 2012. Un concetto già espresso più volte in precedenza. «Non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra. Sul business dei rifiuti il livello di compromissione con la camorra è decisamente bipartisan», diceva nel 2009 al Corriere della Sera.
A differenza di altri colleghi, mister anti-corruzione non ha mai ceduto alle pressioni della politica, rifiutando ogni proposta di candidatura - «voglio tormare in procura», ha sempre detto - pur senza rinunciare a dire la sua su argomenti spesso oggetto di scontro tra politica e toghe.
Come per esempio sulla separazione, ormai sempre meno netta, tra magistratura e politica: «Credo che non sia giusto limitare l’elettorato passivo. Tutti devono potersi candidare. Ma penso che un pm che si mette a fare politica, poi non debba tornare in Procura. È opportuno trovare una sistemazione alternativa nella Pubblica amministrazione», ha spiegato qualche mese fa.
Iscritto al Movimento della Giustizia, una sorta di corrente della magistratura contraria al correntismo, il pm non si è sottratto nemmeno a uno sguardo critico su alcune dinamiche interne all’associazione: «Esiste un carrierismo parallelo che passa dalle correnti e che porta ad avere incarichi importanti all’interno della magistratura. Per esempio, nel Csm quasi tutti i componenti vengono dal carrierismo associativo», spiegava nel 2011 al Futurista. «Però io non sono molto d’accordo con l’idea dell’estrazione a sorte, perché, se è vero che ci sono distorsioni, non sono un motivo sufficiente per far perdere ai magistrati la capacità di scegliere i propri eletti».
Nel 2007, anche in seguito alle numerose minacce ricevute dai boss casalesi, Cantone ha lasciato la Dda per trasferirsi presso l’Ufficio del Massimario della Cassazione. Sarebbe voluto tornare all’antimafia, lì dove tutto è cominciato. Ma gli scandali Expo l’hanno portato là dove è più forte ora l’odore dei soldi. A Milano.