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 2014  maggio 13 Martedì calendario

I MILLE SIMBOLI SULLA SCHEDA ELETTORALE

«Votantonio!», strillava l’indimenticabile Totò nell’imbuto trasformato in megafono. La politica è una cosa seria, ma non troppo, e il principe della risata lo ha dimostrato. La storia del Belpaese si concentra nei suoi simboli elettorali, quelli stampati sulle schede: c’è di tutto, grandi ideali, filosofia e orgoglio. Ma ci sono anche infinite follie. Sulle schede sono finiti cattolici, marxisti, monarchici... ma anche partiti dell’amore, bunga bunga, squadre di calcio in una sfida da film western. Talvolta tragica, ma mai del tutto seria. Gli italiani nell’urna si sono trovati davanti di tutto: da chi tenta di far rinascere il Sacro Romano Impero, ai bolscevichi impenitenti, passando per chi «tarocca» il logo, in modo che «ricordi» quello di un partito famoso, magari sperando di raccattare qualche voto grazie ad elettori distratti e senza occhiali.
Uno studioso, Gabriele Maestri, dottore in Teoria dello Stato, dopo anni di ricerche sui simboli elettorali dal Dopoguerra ad oggi, non ce l’ha fatta a scrivere un saggio privo di ironia. Anzi, ce l’ha fatta, l’ha pubblicato («I simboli della discordia», Giuffrè, 2012) e poi ha subito messo in cantiere un libro «per tutti» che ripercorre la storia della simbologia elettorale negli ultimi settant’anni. Il libro si intitola: «Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male» ed è appena stato «sfornato» da Aracne editrice. Maestri, con un imponente apparato di illustrazioni, mostra tutti gli stemmi dalla Costituente ai giorni nostri. Spiega le leggi della Repubblica che regolano la realizzazione e la presentazione dei simboli, ma anche le enormi, e volute, zone d’ombra. «Per anni - si legge nel saggio - è convenuto a tutti che nessuno, compresi i giudici, mettesse il naso all’interno dei partiti. Conveniva ai comunisti, che applicavano il metodo del “centralismo democratico”, lasciando poco spazio al dissenso; conveniva ai democristiani e agli altri politici che controllavano i partiti mediante “pacchetti di tessere” comprate con moneta sonante (e intestate pure ai morti), decidendo chi piazzare in lista o chi far diventare segretario. Morale, niente regole, e tutti erano contenti».
Quello di Maestri non è solo un saggio di semiologia e una testimonianza storica, ma anche uno «spaccato» del genio, della follia e di tutti i pregi e difetti che contraddistinguono gli italiani. Fare simboli elettorali è un modo profondo di comunicare che, spiega Maestri, ha subito continue rivoluzioni. Come quando l’Italia da in bianco e nero è diventata a colori. «La follia - si legge nel saggio - si è scatenata già nel 1992, introducendo il colore nella stampa delle schede...».
Il libro è diviso per settori, «raggruppando» le grandi correnti politiche (democristiani, comunisti, socialisti, missini...), raccontandone le storie con irriverenza. Si legge nella prefazione di Filippo Ceccarelli: «Questo è il libro di un maniaco, ma lo si dice con ammirazione augurando lunga vita e buon lavoro, sempre, ai maniaci che aprono orizzonti e fanno capire le cose non solo della politica, ma della vita di questo paese già così strano, e negli ultimi vent’anni ancor più sfigurato nella sua bizzarria».