Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore 12/5/2014, 12 maggio 2014
IL DIFFICILE COMPITO DI RILANCIARE L’EUROPA
Il governo di Matteo Renzi non nasconde le ambizioni italiane per il semestre europeo che debutterà il primo luglio prossimo. Rilancio della crescita economica e dell’occupazione in Europa cambiando passo, contenuto e priorità delle attuali politiche europee. Unità politica e più integrazione a tutti i livelli inseguendo un’altra Europa, più coesa, più solidale e più umana, capace di riconciliarsi con i suoi cittadini disoccupati, provati e disillusi, quando non dichiaratamente scettici o ostili. Anche se forse un po’ velleitario nell’ansia di mettere il sale sulla coda di un’Europa svogliata, priva di visioni comuni che non siano quella della stabilità della moneta unica e in apparenza sempre meno entusiasta di "stare insieme in famiglia", il canovaccio delle priorità italiane sarebbe quello giusto al momento giusto se non dovesse fare i conti con il grande ingorgo istituzionale Ue. Che questa volta rischia di ridurre al minimo i margini di manovra della presidenza italiana. Il secondo semestre dell’anno è già quello più breve perché è interrotto dalla pausa estiva, l’intero mese di agosto e anche l’ultima settimana di luglio, salvo eventi eccezionali. La riforma del Trattato di Lisbona, poi, l’ha molto depotenziato con la creazione della presidenza stabile del Consiglio Ue, riducendolo a una liturgia più simbolica che davvero fattuale. Questa volta si incrocia con le elezioni per il rinnovo dell’Europarlamento, molto diverse dalle precedenti per l’ondata di euroscettici che potrebbero essere catapultati nell’assemblea di Strasburgo. Si parla di un terzo su un totale di 751 seggi. Tecnicamente una simile percentuale non sarebbe in grado di sconvolgere la governabilità del parlamento perché i partiti tradizionali potrebbero mantenere comunque la maggioranza e le file degli euroscettici sarebbero (almeno così molti sperano) divise tra loro e quindi concretamente poco influenti. Politicamente però la constatazione irrefutabile che un cittadino europeo su tre è contrario al disegno europeo e/o all’euro sarebbe uno shock destinato a tagliare le gambe a molte ambizioni: perché sintomo della fuga del consenso popolare dall’Europa che, proprio perché è, si vanta e si professa democratica, non può agire e tanto meno avanzare su progetti più integrativi prescindendo da quel consenso. A complicare ulteriormente le cose c’è poi il fatto che questa Europa senza popoli al seguito vive al tempo stesso una profonda crisi istituzionale, esasperatasi nel quinquennio di euro-crisi. Commissione e Consiglio Ue, e relativi presidenti, si sono progressivamente indeboliti, hanno visto nettamente ridimensionato il loro ruolo di garanti e mediatori nella dinamica intra-europea. A poco a poco, insomma, si sono ritrovati agli ordini dei Governi e del metodo intergovernativo che muovono sempre più l’Unione a scapito di quello comunitario. È questo lo scenario di fondo che attende al varco la presidenza italiana che inizierà il 1° luglio, lo stesso giorno in cui a Strasburgo si riunirà il nuovo Parlamento. Allora si saprà quanto pesante sarà stato il plebiscito anti-europeo e quindi con che tipo di Parlamento e di Europa bisognerà fare i conti. E si saprà anche se nel frattempo la "guerra delle poltrone" sarà stata o no risolta. Grazie a un’interpretazione un po’ garibaldina dei Trattati Ue, quest’anno le urne eleggeranno anche il loro candidato alla presidenza della Commissione. Questo almeno ha preteso il Parlamento uscente e il suo presidente, il socialista tedesco Martin Shulz, che è anche il candidato socialista alla guida della Commissione Ue. Gli altri gruppi politici si sono allineati. Ma i Governi, Angela Merkel in testa, non sembrerebbero disposti a incassare il colpo di mano che li priverebbe del loro potere di scegliere in autonomia, sia pure alla luce dei risultati elettorali, riconosciuto dal Trattato di Lisbona. Se questo è vero, è però altrettanto vero che politicamente, in un’Europa in grande stress democratico, sarebbe difficile ignorare il responso dei cittadini. In palio ci sono la guida della Commissione e del Consiglio Ue, cioè la successione a Josè Barroso e a Herman Van Rompuy, la nomina del "ministro degli Esteri Ue" al posto di Lady Ashton e forse quella del nuovo presidente dell’Eurogruppo. Con questi chiari di luna, la distribuzione delle poltrone si annuncia complicata e promette scontri intra-europei al calor bianco. Con possibili strascichi di vendette politiche trasversali. Per esempio qualora il Consiglio Ue decidesse di non nominare il candidato vincente dell’europarlamento ma qualcun altro. In questo caso l’assemblea non sarebbe disarmata: ha infatti il potere di accettare o respingere con il voto il nuovo presidente dell’Esecutivo Ue. Anche se la guerra inter-istituzionale sarà evitata, a mettere alcune zeppe nelle ruote del nostro semestre saranno i tempi lunghi di molte procedure: dall’elezione del nuovo presidente del Parlamento, che tradizionalmente non arriva prima di metà luglio, alla sua stessa operatività che a pieno regime in genere comincia solo con la prima sessione di settembre. Di più. La Commissione Barroso scade a novembre. Il che significa che prima dovranno esserci le audizioni parlamentari dei 28 nuovi commissari designati dai rispettivi Governi. Non si può escludere che qualcuno venga bocciato, con relativo allungamento dei tempi di conclusione del processo. Tanto che c’è chi non esclude che la Commissione attuale possa restare in carica fino alla fine dell’anno. Ovviamente uno scenario di tensioni e lungaggini procedurali finirebbe per paralizzare la miglior buona volontà della presidenza italiana. Che per di più, con la probabile elezione a eurodeputato dell’attuale commissario Ue, Antonio Tajani, si ritroverà a dover sceglierne al più presto il successore per non cominciare il semestre senza un proprio rappresentante dentro la Commissione. Anche qui possibili complicazioni in vista: chi farà infatti le audizioni del candidato italiano e quando? Impossibile in giugno nella vacanza del Parlamento uscente, molto difficile in luglio con il nuovo in gestazione operativa. Si escogiteranno eccezioni alle regole? Si rimanderà a settembre l’audizione? Si inventeranno altri escamotage? Di sicuro nemmeno queste incertezze aiuteranno l’Italia a guidare un’Europa dalle idee confuse e dagli entusiasmi spenti. Però c’è chi è convinto del contrario: che sarà proprio questo stato confuso e catatonico a dare al Governo Renzi la forza di ricominciare un’Europa diversa e migliore. Speriamo abbia ragione.
Adriana Cerretelli, Il Sole 24 Ore 12/5/2014