Enzo Biagi, Il Fatto Quotidiano 11/5/2014, 11 maggio 2014
QUANDO HITLER MI DISSE: “O GG I DEVO UCCIDERMI”
[Intervista al generale Hans Baur] –
Generale Hans Baur, quando ha incontrato per la prima volta Adolf Hitler?
Negli anni Venti sono andato a una sua riunione e mi ha colpito. Gli ho parlato per la prima volta nel 1932. Allora prestavo servizio sulla linea aerea per Roma. Durante un rientro sono atterrato a Monaco e mi è stato detto: “Signor Baur, il signor Hitler vorrebbe noleggiare un aereo”. È stato un incontro molto cordiale. “Tra poco avremo le elezioni. La propaganda elettorale ha senso unicamente se è immediata”, mi ha detto. Il Reich tedesco era molto esteso e percorrendolo in automobile o in ferrovia, nel caso migliore, Hitler avrebbe potuto partecipare solo a poche riunioni. Noleggiando un aereo era possibile presenziare a quattro o cinque comizi in ventiquattro ore. Siamo riusciti a essere presenti su centottantatre piazze. “Se andrò al potere, costituirò un corpo di aviatori governativi e lei sarà il capo”, mi disse alla fine del grande tour. Così è stato.
Quali altre personalità politiche ha trasportato durante la sua carriera?
Durante la guerra dovevo prelevare i fedmarescialli dal fronte per portarli dal Führer e poi tutti i capi di Stato, alcuni esempi: il vice primo ministro rumeno Antonescu; re Boris, lo zar bulgaro; Horty il reggente del Regno d’Ungheria, il finlandese Mannerheim; il Nunzio apostolico Pacelli, che poi è diventato Papa Pio XII.
Lei ha avuto a bordo Benito Mussolini?
Sì, e non soltanto una volta, molte. Mussolini era lui stesso pilota, ma gli aerei Condor che avevamo in dotazione erano troppo per lui. Il Condor gli piaceva molto, e Hitler mi ha detto: “Vorrei regalarne uno al Duce”, e io gli ho risposto: “Non lo faccia perché poi qualunque cosa accada lei ne sarà responsabile. Per portare un aereo di questo tipo uno deve essere veramente un buon pilota. Il Führer aveva una grande stima di Mussolini”.
Generale Baur, com’era il suo rapporto con Hitler?
Hitler era il miglior capo che uno potesse desiderare. Dopo le elezioni del ’33 che lo hanno nominato Cancelliere, mi ha detto: “Lei ha svolto il suo compito in modo eccellente, e la mia casa sarà aperta per lei giorno e notte, può andare e venire quando vuole. È stato così. A Berlino ero solo perché la mia famiglia viveva nel Sud, e tutte le volte che mi trovavo in città pranzavo e cenavo con Hitler.
Come era la vita nella Cancelleria del Reich durante la guerra?
La vita di Hitler, durante la guerra, era molto dura, e c’è da stupirsi che l’abbia sopportata per sei anni. Due riunioni al giorno: la prima a mezzogiorno dove si discuteva della situazione militare, l’altra era a mezzanotte e non finiva mai prima delle tre o delle quattro del mattino. Dormivo due o tre ore a notte: non era un problema.
Lei ricorda del Führer i momenti in cui è apparso particolarmente provato o quelli in cui era contento?
Le sconfitte erano i momenti peggiori, la vittoria, invece, lo eccitava. Quando si trovava in una cerchia ristretta di persone, era un buon compagno, parlava liberamente e si curava molto di coloro che gli stavano attorno. Ricordo che allora mi ero appena sposato, e se una sera non mi presentavo a cena mi chiedeva dove ero stato e mi diceva che le berlinesi erano belle ragazze, e non voleva che tradissi mia moglie.
Cosa accadeva nel bunker durante le ultime settimane?
Si trattava di un rifugio relativamente molto piccolo, la camera del Führer misurava due metri per tre, un piccolo divano per due persone. Davanti alla sua stanza c’era un locale che fungeva da sala da pranzo dove prendevamo i pasti.
Come ha vissuto la morte della famiglia Goebbels?
È stata una vera e propria tragedia. Ricordo che il 15 aprile 1945 passeggiavo nel giardino della Cancelleria, guardavo gli allestimenti per la difesa: cannoni e mortai, ero con il Führer, improvvisamente è arrivata frau Magda, la moglie di Goebbels. Hitler le si è avvicinato: “Cara signora, mio Dio, lei è ancora a Berlino? Le metto subito a disposizione la mia casa di Berghof in Baviera, sulle Alpi, là non può accadere nulla a lei e ai suoi bambini. Andatevene, questa è ormai solo una trappola per topi”. La signora Goebbels supplicante: “Mein Führer, devo rivolgerle una richiesta, per favore, mio marito è il sindaco della capitale, se davvero i russi dovessero entrare lui cadrà assieme alla città. La vita non ha scopo alcuno per me senza di lui. Non ho messo al mondo i miei sei bambini perché vengano portati in giro per Unione Sovietica come attrazione da baraccone, come i figli del propagandista Goebbels. Vorrei pregarla di lasciarmi stare accanto al mio sposo”. Da quel momento in poi anche la signora Goebbels ha alloggiato nel bunker con i bambini. Negli ultimi giorni piangeva spesso, diceva: “Questa vita è molto difficile per una mamma”. Quello che è accaduto l’ho saputo da Voss. L’ammiraglio era solo e stava mangiando. Improvvisamente è entrata frau Magda che gli ha chiesto: “Ha visto un medico entrare nella camera dei bambini?”. Voss ha risposto: “Sì, è appena passato qualcuno con un camice bianco”. La signora è andata anche lei nella camera, dopo mezzora è tornata dall’ammiraglio e ha detto: “Per noi sarà più facile morire, abbiamo superato il peggio”. In quel momento i bambini erano stati uccisi. Goebbels è rimasto fino alla fine, fino alla morte del Führer si è occupato di tutto. Posso dire semplicemente che non era soltanto un grande propagandista, era anche un uomo d’animo forte, degno di tutto il rispetto.
È vero che negli ultimi giorni lei ha fatto partire un aereo con il materiale d’archivio o con i diari di Hitler?
Andò così: verso il 20 aprile tutti i miei aerei, una dozzina, sono stati fatti partire, questo avveniva di notte. Il Führer aveva dato ordine di portare al Sud, a Salisburgo e a Monaco, tutto il materiale che a Berlino avrebbe potuto essere distrutto. Il 25 aprile un aereo pilotato dal mio attendente Arnd è partito con i documenti militari di Hitler, insieme a quelli personali delle sue azioni, ma l’aereo non è mai arrivato a Monaco e di Arnd non ho mai più saputo niente. Quando l’ho detto al Führer è impallidito ed è diventato furente. Se i documenti non fossero stati importanti non avrebbe avuto quella reazione.
Nella Cancelleria del Reich si è parlato qualche volta delle persecuzioni contro gli ebrei?
Questa è stata una sorpresa anche per me: quando ero in prigione i russi mi hanno detto: “Avete ucciso milioni di israeliti”. Per me era come una fiaba, noi non sapevamo niente di queste storie. Se davvero è successo qualcosa, sono certo che il Führer non ne era al corrente. Probabilmente il responsabile è Himmler, che ha fatto tutto di sua iniziativa. Di tutto viene accusato Hitler, ma non è assolutamente vero.
Ricorda della reazione di Hitler ai tentativi di Goring e di Himmler di avviare delle trattative separate con gli Alleati?
Sì, è stato il 25 aprile. È giunto un telegramma di Goring al Führer che diceva: “In base alla seduta del Reichstag in data tal dei tali, io sono stato nominato suo naturale successore. Attualmente lei si trova accerchiato a Berlino e dispone di un potere di comando limitato, la prego di passarmi i poteri”. Noi eravamo completamente tagliati fuori dal mondo esterno, le notizie le apprendevamo via radio trasmesse dagli americani. Una fra le tante diceva che Go-ring aveva iniziato delle trattative con gli Usa. Il Führer si è molto arrabbiato. Io dormivo in camera con Bormann e ricordo che a mezzanotte è venuto da me e mi ha detto: “Signor Baur, legga questo dispaccio, devo cercare di farlo avere in qualche modo a Goring”. Il testo era pressappoco il seguente: “L’azione da lei compiuta è alto tradimento e secondo la legge tedesca viene punita con la morte. Tenendo in considerazione il servizio da lei prestato alla Germania mi astengo da tale punizione, ma esigo che lei mi presenti immediatamente le sue dimissioni”. Da quel giorno in poi Go-ring è stato escluso dalle file nazionalsocialiste.
Signor Baur, quando ha lasciato Berlino?
Proprio alla fine. Il 30 aprile tutto era concluso e il primo maggio ce ne siamo andati. La sera prima mi ero congedato da Hitler, mi ha fatto chiamare e mi ha detto: “Vorrei accomiatarmi da lei”. “Mio Dio, mein Führer, non vorrà farla finita?”, gli ho risposto . “Sì, purtroppo è giunto il momento. I miei generali e i miei ufficiali mi hanno tradito e venduto, i miei soldati non mi vogliono più e io stesso non me la sento di continuare”. “Abbiamo degli aerei che possono volare per diecimila chilometri, la posso portare dove desidera”. Mi ha risposto: “No, per me è assolutamente fuori questione lasciare la Germania. Potremmo resistere ancora qualche giorno, ma ho paura che poi cadrei nelle mani dei russi, mi rinchiuderebbero in una gabbia di ferro e mi porterebbero in giro per il mondo, quindi la faccio finita”. Durante la notte si sparò un colpo di pistola. Come sono uscito dal bunker sono rimasto gravemente ferito, colpito alle gambe, al petto e a un braccio, mi sono rifugiato in una casa in fiamme, il quadro è andato bruciato con tutto il resto che avevo in uno zaino.
Cosa è successo dopo la sua fuga dal bunker?
Ero ferito gravemente, i russi mi hanno tenuto per sei giorni insieme agli altri generali, senza farmi cure particolari. Ogni mattina si presentava un commissario che mi chiedeva dove avevo portato Hitler con il mio aereo. I russi sapevano che volava solo con me e pensavano che l’avessi aiutato a fuggire. Poi, finalmente, hanno cominciato a curarmi: mi è stata amputata una gamba perché, nel frattempo, era subentrata la setticemia. Dopo sei mesi di sanatorio sono finito in un campo di concentramento. Ero il prigioniero più felice: mentre i miei camerati si lamentavano di tutto, io ero contento perché potevo finalmente vedere degli alberi e non soltanto un filo di cielo.
Enzo Biagi, Il Fatto Quotidiano 11/5/2014