Geta Slaunich, CorriereEconomia 12/05/2014, 12 maggio 2014
ALIBABA E LE ALTRE PERCHÉ WALL STREET NON SI FIDA PIÙ
Tutti gli occhi sono puntati su Alibaba. Non solo perché quella del colosso cinese dell’eCommerce sarà l’Ipo dell’anno (e pure una delle più grosse della storia di Wall Street), ma anche perché la sua quotazione arriva in un momento delicato per il settore del tech. Dopo un 2014 partito all’insegna dell’ottimismo, da febbraio in poi il vento è cambiato ed il settore della tecnologia ora arranca. Finora non si è allarmato nessuno: niente paragoni con il 2000 e niente panico da «la bolla sta per scoppiare». Ma in tanti sperano che la quotazione di Alibaba sia sufficiente a rilanciare l’intero settore e riaprire il forziere delle Ipo. Che, negli ultimi mesi, non sono proprio andate benissimo. Alibaba sfoggia numeri da sogno (giro d’affari da 7,95 miliardi e utili a 3,56 miliardi nel 2013) e della crisi del settore non si preoccupa. Basterà il suo arrivo a rimettere in pista anche gli altri? Che al momento l’attenzione degli investitori non sia alle stelle è evidente se si guarda all’andamento delle azioni delle principali società tecnologiche quotate.
Rallentamenti
Il «punto di svolta» risale agli ultimi due mesi: a gennaio e febbraio, infatti, il tech tirava ancora. Tesla, per esempio, è passata da un +63% (gennaio e febbraio) ad un -16% (marzo e aprile), Netflix da un +22% ad un -25%, Pandora da un +39% ad un -34%. Male anche i social: le azioni di Facebook crescevano del 25%, poi sono scese dell’11% mentre LinkedIn ha subito un calo esponenziale (dal -2% al -21%) e Twitter è passata da un -19% a un -29%. Anche Amazon ha continuato a rallentare: tra gennaio e febbraio le azioni sono scese del 10%, poi del 15%. Le eccezioni ci sono: Apple e Microsoft continuano a crescere. La prima, anzi, la settimana scorsa è ritornata ai fasti del 2012 raggiungendo quota 600 dollari per azione. I loro buoni risultati, però, non bastano a risollevare il comparto.
A causare la sfiducia degli investitori sono i risultati traballanti delle ultime arrivate. Twitter, per esempio, a fine aprile ha presentato dati inferiori alle aspettative: la crescita degli utenti è ancora troppo lenta rispetto a quella di altri big, Facebook in testa. E poi ci sono le perdite che il social da 140 caratteri continua ad accumulare. La radio online Pandora, dal canto suo, ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita. La società di produzione di auto elettriche Tesla (che nel 2013 ha visto le azioni lievitare del 400%) deve scontare le conseguenze di alcune falle alla sicurezza dei veicoli e le difficoltà legate alla costruzione della Gigafactory, lo stabilimento da 5 miliardi di dollari che dovrebbe essere pronto entro il 2017.
La piattaforma di streaming Netflix, invece, è stata punita dal mercato per essersi lasciata soffiare da Amazon l’accordo con Hbo per la distribuzione delle serie tv. Tanti piccoli episodi che hanno reso gli investitori più cauti. A farne le spese, più di tutte, sono le società che hanno appena debuttato. La società di produzione di videogiochi King si è quotata a fine marzo perdendo il 15% già il primo giorno. Weibo, il Twitter cinese, ha stupito tutti prima rivedendo al ribasso il prezzo di collocamento (circa 17 dollari, quando la forchetta iniziale andava dai 17 ai 19), poi mettendo sul mercato meno azioni del previsto. Un modo per non perdere il favore degli investitori ma anche per non rischiare troppo. Rischi che invece Box non si è sentito di correre: l’anno scorso ha accumulato perdite per 170 milioni di dollari e non potendo contare sull’ottimismo del mercato ha preferito rinviare la quotazione a data da destinarsi.
Cautela cinese
Se Alibaba riuscirà a risvegliare l’attenzione degli investitori il momento potrebbe arrivare ben prima di quanto avevano ipotizzato a Box. Per ora i cinesi sono cauti: nei documenti inviati alla Sec hanno previsto una valutazione da 121 miliardi, indicando di voler rastrellare solo un miliardo di dollari con il collocamento dei titoli. Tutti numeri che andranno rivisti al rialzo. Il valore di mercato potrebbe salire fino a 250 miliardi (la società finirebbe così tra le prime 15 quotate al mondo) e la raccolta potrebbe fruttare dai 15 ai 20 miliardi. Battendo Facebook (che ne aveva raccolti 16) e forse pure Visa (che aveva esordito con 19). Ma – si chiede il Wall Street Journal in uno speciale dedicato alla quotazione – perché mai gli investitori americani dovrebbero puntare su una società che, per quanto grossa, è in larga parte sconosciuta ai loro occhi? Interrogativi che riflettono il punto di vista di un mercato meno entusiasta di quanto era solo pochi mesi fa, quando ha scommesso senza batter ciglio sulla quotazione di una società senza grandi piani economici alle spalle come Twitter.