Giusi Ferrè, CorriereEconomia 12/05/2014, 12 maggio 2014
RICCHEZZE ITALIANE: LA PROVOCAZIONE DI ROSSO
Sono sempre un’interessante radiografia dell’Italia, le ricerche del Censis che, questa volta, hanno catalogato i dieci imprenditori più ricchi del Paese, i cui patrimoni nel loro complesso equivalgono a quelli di mezzo milione di operai.
Un’immagine a effetto, lanciata per sottolineare le diseguaglianze crescenti anche da noi durante la Grande Crisi, che ha colpito la parte debole della popolazione più di quella agiata, favorita dai mercati finanziari e dalle loro immissioni di liquidità. Definiti immediatamente «i Paperoni d’Italia», etichetta che ha irritato Patrizio Bertelli, amministratore delegato del gruppo Prada, i magnifici dieci riservano più di una sorpresa.
Aprono la rassegna Michele Ferrero e famiglia, con 20,4 miliardi di dollari. Seguono Leonardo Del Vecchio (di Luxottica, 16,3), Miuccia Prada (12,4), Giorgio Armani (8,5), Patrizio Bertelli (6,7), Stefano Pessina (Alliance Boots, 6,4), Silvio Berlusconi e figli (6,2), Paolo e Gianfelice Mario Rocca (Techint, 6,1), Angelo e Giuseppe Perfetti (Brooklyn, La gomma del Ponte, 5), Renzo Rosso (gruppo Otb, 3). Sono quattro gli industriali della moda che dominano l’hit parade, ai quali va aggiunto il patron di Luxottica, gigante che produce i più bei marchi dell’occhialeria mondiale. Come ha dichiarato Patrizio Bertelli: «noi siamo degli industriali che operano in vari settori dell’economia reale, che vanno a lavorare anche il sabato e che danno lavoro a migliaia di persone».
È quello che la politica non ha mai notato per l’incapacità di analizzare i mutamenti sociali e per un’estraneità storica al settore, che non ha mai contato su lobby e gruppi di pressione e si è sempre mantenuta in disparte. Una caratteristica accentuata dal fatto che dopo il debutto dell’alta moda nella Roma del dopoguerra, il nucleo vitale del fashion si è stabilizzato tra Firenze e Milano, diventando un sistema ad alto valore industriale e di immagine, con la capacità di applicare tecnologie avanzate alla produzione di singoli oggetti. Anche questa particolare dislocazione, che aggiorna in termini attuali l’Italia delle 100 città rinascimentali, ha contribuito a costruire una realtà politica molto diversa da quella francese con i suoi due grandi poli del lusso, Lvmh della famiglia Arnault e Kering della famiglia Pinault. Nati come progetti economici di concentrazione di griffe e sostenuti da appoggi bancari lungimiranti, oltre che dall’attenzione del governo.
Così politica e moda coincidono con Parigi, mentre la lontananza di Roma dal fashion ne sottolinea la distanza di reputazione e di interessi. Ma è proprio la top ten del Censis a mettere in risalto come la struttura dell’abbigliamento sia solidamente industriale e radicata nell’economia dei territori.
Renzo Rosso che con la sua Otb sta creando una piattaforma del lusso sofisticato comprendente Martin Margiela, Victor&Rolf e Marni, proprio al Corriere della Sera ha detto: «Io sono ricco perché pago le tasse». Con umorismo ha aggiunto: «Sono anche l’ultimo in classifica» e ha lanciato una sfida: perché non facciamo una classifica di chi di noi ne paga di più? È un’idea così insolita che potrebbe arrivare da un economista americano e da un Paese protestante dove chi paga le tasse è rispettato perché mantiene il suo patto verso la nazione. Mentre in Italia, per antica convinzione e opinione comune, si tratta semplicemente di un fesso.