Stefano Righi, CorriereEconomia 12/05/2014, 12 maggio 2014
BANCHE HANNO FATTO 13 (MILIARDI DI AUMENTI) IL DUALE E I PRESIDENTI NON ESECUTIVI
Tredici miliardi di euro per salvare l’Italia (del credito) e portarla in Europa. A tanto ammontano gli aumenti di capitale in pista in queste settimane nel settore bancario italiano. Stress test e Asset quality review non lasciano più spazio al tempo: chi si è accomodato in anticipo (Unicredit, Intesa Sanpaolo e Ubi) ora può pensare a governance e mercati, ma tutti gli altri (vedi tabella più grande ) sono chiamati alla raccolta di capitali, presso i soci o sui mercati dei capitali, in qualche caso arrivando anche ai consorzi di garanzia.
Quattro più quattro
Ben più di un terzo del totale delle operazioni in via di definizione finirà a Siena, dove quattro quinti del raccolto servirà a liberarsi dalla morsa incombente dello stato banchiere: restituiti i Monti bond, un miliardo rimarrà a patrimonio. Meno di quanto ha messo in cascina il Banco Popolare (abilissimo Pier Francesco Saviotti a battere tutti sul tempo), la stessa cifra della Popolare di Vicenza che, in tre diverse tornate e con orizzonte il 2017, ha la possibilità di chiedere ai soci la bellezza di 4,122 miliardi di euro, una cifra che la dice lunga sulla solidità di una delle grandi popolari non quotate, che finora ha avviato aumenti per 2,122 miliardi e che proprio oggi parte con due distinte operazioni.
Siena, dicevamo, è una città lacerata che sta ancora facendo i conti con il passato: l’arresto ai domiciliari, la settimana scorsa, di Ferdinando Minucci è l’ennesimo segnale che gli schemi del passato non esistono più. Minucci, presidente della Lega Basket, è l’uomo della Mens Sana, la squadra che, con il marchio Mps sulle maglie, ha vinto gli ultimi sette scudetti consecutivi . Un dominio ininterrotto dal 2006, guarda caso, l’anno precedente l’acquisizione di Antonveneta da parte della banca sponsor. Il suo arresto e l’accusa di frode fiscale rappresentano la chiusura ingloriosa di un’epoca dove a fronte della passione e dell’onestà di una città si sono insinuati comportamenti delinquenziali (in banca, nello sport) che hanno minato dall’interno l’intera costruzione sociale, ledendo l’integrità stessa di due istituzioni cittadine. Il tutto malgrado un’avventura sportiva che, grazie a Marco Crespi e ai suoi collaboratori, continuerà ad altissimo livello fino alla fine di questa stagione agonistica per poi finire nel nulla.
La forza dei gestori
I 13 miliardi che porteranno le banche italiane in Europa da soli non bastano a capire l’entità del cambiamento in corso. La foresta pietrificata di un tempo sta per essere definitivamente tagliata via.
Due i segnali che non si possono sottovalutare, ancor più forti perché provengono da oltre il recinto degli aumenti sotto osservazione: nel capitale delle Assicurazioni Generali i fondi di investimento rappresentano, assieme, il primo investitore; lo stesso vale per Intesa Sanpaolo, prima banca italiana per numero di sportelli, che ha nei fondi e non più nelle Fondazioni di origine bancaria, il suo azionista di riferimento. Simili cambiamenti stanno avvenendo anche altrove. Alla Banca Popolare di Milano, nel mezzo di un aumento da 500 milioni di euro, il ruolo del finanziare Raffaele Mincione (7 per cento del capitale attraverso Athena) è sempre più pregnante, specie dopo l’uscita del socio industriale francese e dell’Investindustrial di Andrea Bonomi.
E a Genova cosa succederà? L’aumento da 800 milioni che dovrebbe partire il mese prossimo vedrà il grande azionista Fondazione Carige liberare una quota di capitale prossima al 25 per cento. Nella mani di chi? L’amministratore delegato Piero Luigi Montani è stato recentemente a Londra a presentare il piano industriale alla comunità finanziaria internazionale. Verranno dall’estero i capitali necessari per risanare il polo creditizio ligure? Il presidente Castelbarco Albani, su queste pagine, lunedì scorso, non ha posto limiti alla provenienza di nuovi capitali.
La grande quantità di denaro fresco richiesto si interseca con un momento tutt’altro che felice per i conti aziendali. Le banche chiedono quasi quanto tutta Piazza Affari ha pagato in dividendi (16 miliardi, vedi tabella più piccola ): un’enormità. E se domani a Roma Unicredit proporrà di pagare ai soci un (modesto) dividendo, altri non possono permetterselo.
A mani vuote
È il caso di molte banche popolari chiamate da un lato a non elargire ai soci la cedola a fronte di conti in rosso e, dall’altro, a chiedere agli stessi soci di mettere mano al portafoglio per aiutare la solidità della banca. Gli sportellisti sono chiamati a fare gli straordinari per convincere la clientela a sottoscrivere gli aumenti e le incertezze si sommano ai malumori. Le problematiche sono diffuse. Anche le piccole realtà interprovinciali sono a caccia di capitali: da Banca Marche alle due popolari della Valtellina, dalla Carife alla Popolare di Bari impegnata nel salvataggio dell’abruzzese Banca Tercas. Qui la quota che l’istituto barese potrebbe rilevare era stata fissata nel 70 per cento, per un controvalore di 200-240 milioni di euro. Ora Bari potrebbe arrivare al 90 per cento. Un segnale importante per un’area molto vasta del Paese.