Ian Bremmer, Corriere della Sera 12/05/2014, 12 maggio 2014
I PAESI EMERGENTI SI SCOPRONO FRAGILI E LE ELEZIONI NON RISOLVONO I PROBLEMI
La clamorosa ondata di proteste scoppiate in Turchia e in Brasile nel 2013 ci ha ricordato che i Paesi emergenti in ogni parte del mondo oggi si trovano ad affrontare situazioni gravissime e che non tutti saranno in grado di superarle con successo per trasformarsi in nazioni sicure e prospere. Le richieste avanzate dalla nuova classe media in espansione, abbinate a una crescita economica in stallo e all’insofferenza pubblica verso i partiti al potere da oltre un decennio sono andate a sommarsi alla lista dei grattacapi che affliggono i governi in Turchia, Brasile, India, Indonesia e Sud Africa. Ciascuno di questi Paesi ha subìto forti pressioni monetarie lo scorso anno, facendo temere per la loro fragilità. Ma l’anno scorso si è visto uno spiraglio di speranza. In Messico è stato eletto Enrique Pena Nieto, un riformatore salito al governo con un mandato ben preciso. I ritardi nel processo di riforme non sono spariti per incanto, ma nei prossimi mesi dovremmo vedere una vera e propria svolta nella ristrutturazione dell’assetto politico del Paese, nell’apertura della sua economia finora dominata dagli oligarchi, e nella modernizzazione del settore energetico. In Messico, è bastata un’elezione per cambiare le cose. I cinque Paesi definiti «fragili» lo scorso anno sapranno produrre risultati altrettanto promettenti? A dire il vero, i governi di Sud Africa, India, Indonesia, Turchia e Brasile dovranno affrontare a breve (o stanno affrontando) le urne elettorali, e hanno promesso quelle riforme da tempo attese per rilanciare l’economia ed essenziali per affrontare le prossime fasi dello sviluppo.
Sfortunatamente, talvolta le elezioni non producono quei cambiamenti invocati dagli elettori e auspicati dagli osservatori esterni. Alcuni Paesi sono in procinto di fare maggiori passi avanti rispetto agli altri, ma basta un’occhiata a queste cinque tornate elettorali per capire quanto siano limitate le attuali prospettive di cambiamento.
In Sud Africa, gli elettori si sono già espressi. Malgrado un elevato tasso di disoccupazione cronica e la rabbia crescente contro la corruzione dei funzionari del governo e la carenza e inefficienza dei servizi, l’African national congress ha segnato un’altra vittoria. L’Alleanza democratica, il maggior partito di opposizione, dovrà fare ancora molta strada prima di poter introdurre profondi cambiamenti nella politica sudafricana. La frammentazione del movimento sindacale ne diminuisce la capacità di tutelare i suoi membri e ostacola addirittura i tentativi dell’Anc di ridurre la drammatica disoccupazione, una promessa che i candidati dell’Anc dovranno mantenere se vorranno vincere future elezioni. È una speranza concreta questa, anche se assai debole, per quell’esercito di disoccupati in Sud Africa che vuol credere in un futuro migliore.
In India, gli elettori che sono andati alle urne nelle scorse settimane hanno espresso un voto che probabilmente boccerà il Partito del Congresso a favore del Bharatiya Janata Party (BJP), che corteggia il settore economico. Eppure, malgrado l’impennata di ottimismo del mercato che spera in profondi cambiamenti per mano dei nuovi leader, il BJP con ogni probabilità dovrà vedersela con quelle insanabili spaccature politiche che hanno messo i bastoni tra le ruote al precedente governo nei suoi tentativi di far approvare le riforme al parlamento. Possiamo aspettarci una maggiore apertura al commercio e agli investimenti stranieri nei prossimi anni, ma la riforma del mercato del lavoro — indispensabile per il rilancio economico dell’India — faticherà a imporsi al farraginoso processo legislativo di questo Paese negli anni a venire.
In Indonesia, si dà per scontato che il popolare governatore di Giakarta, Joko Widodo, del Partito indonesiano di lotta (PDI-P), diventerà il prossimo presidente a luglio, alimentando la speranza di riforme politiche radicali. Ma l’ex presidente Megawati Sukarnoputri continuerà a controllare il partito e i voti in parlamento, e farà di tutto per opporsi alle pressioni a favore di riforme che produrranno dolorosi tagli a breve termine in cambio di migliori prospettive a lungo termine. La Sukarnoputri inoltre sembra intenzionata a trasmettere il potere ai suoi figli negli anni a venire e, per salvaguardare i vantaggi politici del suo partito e della sua famiglia, è probabile che si opporrà con tutte le sue forze a cambiamenti impopolari ma necessari.
In Turchia, gli eccellenti risultati del partito di governo alle elezioni locali a marzo e l’annunciato ritiro del president Abdullah Gul suggeriscono che ad agosto l’indomito primo ministro Recep Tayyip Erdogan diventerà il primo presidente eletto del Paese. Accantonato il suo principale e potenziale rivale nel partito di governo (Partito per la giustizia e lo sviluppo), Erdogan con ogni probabilità affiderà a un fedelissimo l’incarico di primo ministro nelle elezioni politiche del prossimo anno. Gli elettori turchi potranno aspettarsi perciò un intensificarsi di quelle lotte ed epurazioni interne al partito che hanno spaccato il Paese, a scapito delle riforme economiche strutturali indispensabili per la crescita.
In Brasile, il mercato si è risollevato, malgrado il cattivo andamento degli ultimi mesi, forse seguendo le voci che circolano nel settore economico sull’imminente sconfitta elettorale di Dilma Rousseff. Ma la Rousseff uscirà di nuovo vincente dalle urne, grazie al sostegno del vecchio presidente Luiz Inacio Lula da Silva. In Brasile già si colgono i primi segnali di vere riforme. Sebbene il razionamento dell’energia elettrica, previsto per il prossimo anno, potrebbe rallentare la crescita, l’influenza di Lula e la determinazione della Rousseff di evitare al Brasile un’altra retrocessione creditizia spingeranno il governo verso un approccio politico più favorevole ai mercati.
La crescita impressionante di questi Paesi nel decennio appena trascorso non è stata un’illusione. Alcuni di loro avanzeranno più velocemente di altri, ma certamente non basterà la prossima tornata elettorale a rimetterli in marcia verso nuovi traguardi di sviluppo.
(Traduzione di Rita Baldassarre )