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 2014  maggio 12 Lunedì calendario

JUNCKER: «DEROGA AL DEFICIT ITALIANO? PARLIAMONE. NON SOLO AUSTERITÀ»


DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — «Tutti i Paesi europei devono rispettare il patto di Stabilità». Jean-Claude Juncker sembra quello di sempre, il custode del rigore alla Merkel. E infatti: «A priori, non vedo alcuna ragione per cui debba essere concessa alla Francia, o all’Italia, una dilazione supplementare per ritornare entro i limiti del deficit. Ripeto: a priori, non la vedo».
Ma poi, dopo le elezioni europee e la scelta della nuova Commissione europea che lei si candida a guidare? «Ma poi, tutto dipenderà dagli impegni sulla stabilità che i governi prenderanno, e da come la Commissione europea o l’Eurogruppo, il vertice dei ministri delle Finanze della zona euro, valuteranno questi stessi impegni. Io sono aperto al dibattito. Non rappresento l’austerità, come certi pensano, ma la serietà».
Nell’eurolinguaggio è una novità, uno spiraglio importante. Berlino è lontana. E Juncker apre questo spiraglio sotto il sole italiano, dopo un pranzo con un gruppo di giovani europeisti e un piatto di tagliatelle al ragù. Nonché un probabile, conseguente sorriso di Matteo Renzi. Perché Juncker, già presidente dell’Eurogruppo, è il candidato al vertice della Commissione scelto dal più forte partito europeo, il Partito popolare. Come dire: il cavallo di testa alle Capannelle, almeno ai blocchi di partenza.
Per tanti anni, lei è stato considerato politico vicinissimo alla cancelliera Angela Merkel, e difensore strenuo del rigore finanziario. È ancora così?
«Oggi io credo che non si possa esagerare con il rigore eccessivo. Che da sola, l’austerità nei bilanci non basti. E che al risanamento finanziario debbano accompagnarsi le politiche della crescita».
Tuttavia, in quel lungo periodo, l’austerità era quasi un dogma. Ripetuto in tanti vertici europei, da tutti voi leader. Non era solo la signora Merkel, a dirlo. Il fronte dei rigoristi era netto, e inflessibile: almeno finché qualcuno, per esempio l’Olanda o la Finlandia, ha cominciato a perdere colpi, o ad assaggiare il morso della recessione.
«Nel 2008 ci siamo trovati di fronte a una crisi tremenda, senza strumenti per lottare. Abbiamo reagito lo stesso per risanare i bilanci: coerentemente e rapidamente. Anzi, la metterei così: rapidamente, ma troppo a lungo. Abbiamo investito 70 miliardi in questa lotta, ma il risanamento da solo è poi durato troppo. L’austerità eccessiva, fine a se stessa, non è un bene. Perché ci sono due principi che vanno sicuramente insieme».
Quali?
«Non c’è risanamento efficace se non è accompagnato da giuste politiche per la crescita, e non c’è vera crescita se le finanze pubbliche non sono amministrate, diciamo così, con virtuoso rigore».
Torniamo al presente. Sembra che a Bruxelles l’Italia sia considerata a volte, proprio come in passato, fra i Paesi spendaccioni e fannulloni. È così?
«Quando io sono in Germania difendo l’Italia, come il Portogallo o la Spagna. Anzi, a volte c’è chi mi accusa di essere troppo favorevole ai Paesi meridionali. Ma non è vero: non voglio essere un presidente della Commissione partigiano, ma l’uomo del consenso. Insomma: i Paesi del Nord virtuosi, quelli del Sud peccatori... questi sono stereotipi e basta. E comunque l’Italia non è il malato della Ue. Ha migliori risorse e riserve di altri. È un grande Paese fondatore della Ue e come tale deve esercitare il suo ruolo».
In che senso?
«Se l’Italia del Nord è produttiva come il Nord Europa, e quella del Sud ha gli stessi sentimenti di generosità e solidarietà del Sud Europa, allora l’influsso di questa nazione in Europa può essere davvero importante. E lo sarà».
Lei dice che non vede ragioni per concedere certe deroghe. Ma in realtà, è già accaduto: la Francia ha un rapporto del 4,8%, o giù di lì, fra il suo deficit e il suo Prodotto interno lordo, ben oltre il tetto del 3% stabilito dalla Ue. Le sembra giusto? Come si concilia questo con la volontà di non cedere altro tempo a nessuno per comode dilazioni?
«Devo fare una premessa: io ho chiesto e chiedo a tutti i Paesi di rileggersi il patto di Stabilità, nella versione che ho riformato nel 2005. Lì c’è tutto, parla molto chiaro...».
Ma dopo lo strappo concesso alla Francia, prima o poi anche l’Italia potrebbe chiedere una deroga. E forse per Bruxelles non sarebbe facile risponderle di no.
«Infatti chiedo anche all’Italia di rileggersi il patto modificato. In quella versione, si diceva e si dice che il patto deve rispettare anche il ciclo economico, cioè prendere in considerazione tutti gli avvenimenti, anche esterni e straordinari, anche le eventuali situazioni choc, che un Paese può attraversare».
Cioè: se vi è una situazione choc, i giudici della Ue non guardano più solo al rapporto fra deficit e Pil?
«Più o meno. Come diceva Romano Prodi: il nostro patto non è più stupido ma è intelligente».
Torna la domanda di prima: e l’Italia, in questa cornice?
«Non vedo elementi che indichino come l’Italia sia stata esposta a forze esteriori particolarmente rilevanti, in questi anni».
Dunque punto e a capo? Ancora una volta, non varrebbero le «esenzioni», neppure se legate al ciclo economico...
«Ma attenzione, bisogna anche dire che il premier Renzi ha dichiarato la sua volontà di rispettare il patto di Stabilità. E ha avviato delle riforme strutturali che, una volta messe a regime, faranno vedere i loro risultati. Vedremo. Non bisogna però dare l’impressione agli italiani, o agli investitori stranieri, che esista un problema sulla volontà di Renzi di rispettare il patto di Stabilità. Come ho detto, l’Italia non è il malato d’Europa».