Nicola Porro, Il Giornale 12/05/2014, 12 maggio 2014
ORA SQUINZI SI CIRCONDA DI AMAZZONI
Il presidente della Confindustria ha dato una spruzzata di rosa alla sua squadra. Verrebbe da dire molto renziano. Ma c’è una differenza. Le donne promosse da Giorgio Squinzi nel comitato di presidenza di viale dell’Astronomia, si sono beccate delle deleghe importanti. Non solo ruoli di rappresentanza, ma competenze toste. Tre vicepresidenti donne e un direttore generale al rosa, sono un record per Confindustria. Sale Lisa Ferrarini che si prende la delega sull’Europa oltre alla vicepresidenza. La signora è una di quelle toste. Ha un bel gruppo alimentare alle spalle e sa trattare con ministri e palazzi del potere come se fosse a casa sua. A lei il sistema ha riconosciuto una parte del successo negoziale per la vittoria in Europa (da confermare) sul «made in». Le altre due donne alla vicepresidenza sono Antonella Mansi, in Fondazione Montepaschi (chi la conosce dice che non è così arrogante come sembra, ma è pur sempre una nemesi per Alessandro Profumo), e Diana Bracco. Nell’ultimo giro di nomine sale Licia Mattioli, giovane e combattiva orafa piemontese, che ha scatenato un putiferio per i tradizionalmente calmi torinesi, organizzando manifestazioni di protesta nella capitale sabauda. Una rappresentante della piccola impresa viene piazzata da Squinzi alla guida del comitato tecnico per l’internazionalizzazione, che raggrupperà le deleghe anche dell’attrazione dei capitali stranieri in Italia. Roba forte. È un segnale interessante affidarlo a una piccola imprenditrice.
Il comitato di presidenza passa dunque da 21 a 16 membri, quasi ad anticipare la riforma Pesenti (che entra in comitato con la delega agli studi).
Ma la vera metamorfosi di Squinzi è il sapore manifatturiero della nuova squadra e l’azzeramento della presenza delle imprese pubbliche in comitato e la rottura dei rapporti con il «romano» Aurelio Regina. Escono dal comitato Conti per l’Enel, Recchi per l’Eni e Sarmi per le Poste. La nuova Confindustria dopo due anni è più simile a ciò che voleva il chimico e lombardo Squinzi. «Regina - dicono da quelle parti - ha contribuito molto all’elezione di Giorgio. Ma alla fine ha vinto per sei voti e tutti potranno sempre dire di avere dato il voto definitivo. Va bene la riconoscenza, ma Regina si era messo in testa di fare il presidente ombra di Confindustria e non c’è riuscito». L’ultimo discorso fatto in giunta da Regina è sembrato un programma politico-elettorale per la prossima presidenza. I giochi come sempre partono in anticipo. Regina-Abete ci proveranno. Anche se sulla carta oggi il promesso sposo si chiama Rocca, a capo della potente Assolombarda. Dalle parti di viale dell’Astronomia fanno notare (non ci crederete) che però il pallino sarà in mano ad Emma Marcegaglia e al suo fido Macchianera (copyright di Stefano Livadiotti e riferito all’assistente Arpisella, che il cuoco avrebbe voluto conoscere meno bene): i due in prospettiva disporranno di un pacchetto di voti niente male. Quello tradizionale della ex presidente della Confindustria a cui si sommano i sei voti dell’Eni, di cui ha recentemente agguantato la presidenza.
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A proposito di sindacati e del titolare di questa rubrica. Sentite cosa ha scritto il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni su Twitter: «Nicola Porro attacca a testa bassa sindacato in trasmissione Rai senza contraddittorio. Questo è giornalismo? Questo è servizio pubblico?». La trasmissione in questione è Virus che va in onda sui Raidue. L’attacco a testa bassa è un fact checking, che si realizza in ogni puntata, da parte di un gruppo straordinario e professionale di ragazzi-studiosi di «Pagella politica», su alcuni luoghi comuni, che venerdì scorso hanno riguardato il sindacato in generale. La testa di Bonanni venerdì doveva essere davvero bassa se non si è accorto che tutta la seconda parte della trasmissione è stata monopolizzata dalle testimonianze di un sindacato (quello di polizia, il Sap) sulla difficoltà del loro lavoro e sulla necessità di spiegare meglio le ragioni di un applauso che li ha trascinati nella gogna mediatica fino, appunto, a venerdì sera. Quando sono riusciti a spiegare le loro ragioni. Bonanni forse pensa che il Sap non sia un sindacato?
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Il governo italiano, attraverso i suoi rappresentanti del Tesoro, sta facendo il primino della classe nelle società a partecipazione pubblica. Il presidente del Consiglio se ne vanta e, pur ammettendo che si tratta di un codicillo pensato dal predecessore e da Saccomanni, tira dritto. Nonostante le brutte figure. Stiamo parlando dei requisiti di onorabilità dei consiglieri di amministrazione. Secondo i fenomeni del Tesoro, chiunque subisca un rinvio a giudizio (si badi bene non una condanna di primo grado) deve dimettersi dalla poltroncina più o meno dorata. Pensate cosa accadrebbe se una norma identica si applicasse all’universo dei nostri dirigenti pubblici. Molti analisti finanziari, giornalisti hanno applaudito. Buon ultimo Salvatore Bragantini sulla Repubblica. Senza però capire cosa ci sia scritto nella norma: non serve una condanna, basta il rinvio a giudizio. Un assurdo giuridico ed etico. Che però i fondi di investimento di tutto il mondo hanno capito bene. Uno di loro contattato dalla Zuppa ci ha semplicemente detto: «Avete tenuto dentro per un anno Scaglia per poi assolverlo e oggi pensate che qualcuno di noi si possa affidare alla giustizia italiana e alle sue sparate?». Financial Times e City di Londra diffidano del nostro sistema giudiziario e non possono dunque accettare la logica per la quale un’indagine possa compromettere una carriera prima di una sentenza se non definitiva, almeno di primo grado. Sono pippe che ci facciamo in questa Zuppa? Mica tanto. Il Tesoro è andato sotto all’assemblea dell’Eni. I fondi esteri infatti hanno votato contro il codicillo voluto dal Tesoro. D’altronde Paolo Scaroni glielo aveva detto in tutti i modi. Ma la figuraccia rischiamo di farla ancora nelle prossime settimane. Il 22 all’assemblea dell’Enel e il 15 maggio a quella della Finmeccanica. In entrambi i casi i fondi stranieri hanno una fetta importante dell’azionariato e si presentano in assemblea. Per fare passare il codicillo dei fenomeni ci vuole la maggioranza dei due terzi. Difficile ottenerla. E se anche ci fosse, in una delle due società o in entrambe, ci sarebbe il paradosso dell’Eni esente e degli altri colpiti da questa ipocrita norma giustizialista.