Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 11/05/2014, 11 maggio 2014
LA TRAMA CHE VA DA MONACO A DUBAI NEL ROMANZO CRIMINALE DELLE ‘NDRINE
Lo stesso contatto per la latitanza di Dell’Utri in Libano È una trama che attraversa tre continenti. Un’associazione segreta «collegata alla ‘ndrangheta da rapporto di interrelazione biunivoca al fine di estenderne le potenzialità operative in campo nazionale e internazionale», che tiene insieme la famiglia Matacena (l’ex deputato latitante, sua madre e sua moglie), l’ex ministro Scajola, le rispettive segretarie e qualche collaboratore. Più Vincenzo Speziali, il quarantenne sposato con una libanese che secondo l’accusa trafficava insieme a Scajola per trasferire Matacena da Dubai a Beirut. E al quale s’è rivolto prima di sbarcare in Libano anche Marcello Dell’Utri, come dimostra il centinaio di contatti telefonici tra i due negli ultimi mesi, dei quali esiste traccia nei tabulati ma non la registrazione delle conversazioni.
Il «disegno criminoso» ricostruito dagli inquirenti si sarebbe dispiegato tra «Reggio Calabria, Imperia, Roma, nel Principato di Monaco, nell’Emirato di Dubai, nella Repubblica del Libano e in altre località nazionali ed estere». Una triangolazione che tocca Europa, Africa e Asia. Del resto, se la criminalità organizzata è ormai transnazionale, non può non esserlo anche la rete di protezione per affiliati e complici. Ma in cima c’è sempre la Calabria, da dove dirige i suoi affari la ‘ndrangheta. Che conferma la sua fama di mafia più tentacolare al mondo.
Marcello Dell’Utri, appena condannato in via definitiva a sette anni di carcere per i suoi rapporti con la Cosa nostra di Bontate e Riina, lo sapeva da tempo. Perché i calabresi bussarono alla sua porta rivendicando la propria «centralità». Nella primavera del 2008, alla vigilia delle ultime elezioni politiche che l’hanno visto candidato, l’ex senatore incontrò Gioacchino Arcidiaco, all’epoca indagato per appartenenza alla cosca Piromalli. Il quale era stato istruito da Aldo Micciché, uomo d’affari in attesa di giudizio dopo l’estradizione dal Venezuela, sulle cose da dire a Dell’Utri: «Spiegagli chi siamo, che cosa rappresentiamo... Fagli capire che il porto di Gioia Tauro l’abbiamo fatto noi... Fagli capire che in Calabria, o si muove sulla Tirrenica, o si muove sulla Ionica, o si muove al centro, ha bisogno di noi». E ancora, un altro messaggio trasmesso tramite Lorenzo Arcidiaco, padre di Gioacchino: «Fagli capire a Marcello... che c’ è una tradotta di calabresi che lì a Milano lo votano! E tu gli dici che vai lì a nome di questi...».
Chissà se Dell’Utri s’è ricordato di quelle considerazioni quando nei mesi scorsi, prima dell’ultimo viaggio verso Beirut dove poi è stato arrestato, s’è rivolto a un altro calabrese: quello Speziali che — sospettano gli investigatori — si adoperava per sostenere contemporaneamente la latitanza effettiva di Matacena e quella preventiva dell’ex senatore. Strano personaggio, Vincenzo. Agli agenti della Dia che l’altra mattina sono andati a perquisirgli la casa non ha saputo dire che lavoro fa. È stato l’ultimo Delegato nazionale del movimento giovanile della Dc, notizie giornalistiche hanno riferito che sua moglie, Joumana Rizk, è nipote dell’ex presidente libanese Amin Gemayel, ma gli interessati hanno smentito. Nessuna smentita, invece, alla notizia delle visite dello stesso Gemayel alla tomba di Andreotti, in compagnia di Speziali, e all’abitazione calabrese di uno zio omonimo di Vincenzo, allora senatore del Pdl .
A dimostrazione delle vaste relazioni dell’uomo contattato da Scajola, Matacena e Dell’Utri, nelle carte dell’indagine reggina c’è un’intercettazione con la moglie Joumana dell’11 febbraio scorso, in cui Speziali «le chiede di non parlare per telefono dei suoi affari in quanto lui, in Italia, ha paura e per ogni telefonata fa controlli. Per la casa spiega alla moglie che, secondo l’accordo fatto tra Stefano (Ricucci) e Robert (non meglio identificato, ndr ), quando avranno un attimo di tempo lo dovranno fare vedere, il contratto, a Mikati direttamente». Per la Dia si tratta di Najib Mikati, due volte primo ministro libanese, l’ultima fino al marzo 2013.
Forse è per via dei forti agganci della «rete» a Beirut che dopo l’arresto e la scarcerazione a Dubai, ma con ritiro del passaporto, Matacena voleva spostarsi in Libano. A Dubai l’Italia ha avviato una pratica di estradizione, e pochi giorni fa ha inviato una dettagliata risposta sul reato di associazione mafiosa richiesto dalle autorità locali che devono decidere il destino dell’ex parlamentare condannato per concorso esterno. Il quale dal 2008 è «di fatto domiciliato» nel Principato di Monaco dove ha la residenza sua moglie Chiara Rizzo, in Boulevard Princess Charlot 13, palazzo “Le Victoria”. E Montecarlo è diventato luogo di incontri e discorsi riservati tra la signora Matacena e Claudio Scajola.
In un’intercettazione in cui l’ex ministro e Chiara Rizzo fanno riferimento al Libano come meta finale di Matacena, «più volte si compie riferimento a tale Antonio» che per gli inquirenti è l’ambasciatore italiano nel Principato di Monaco Antonio Morabito, originario di Reggio Calabria, «amico comune della Rizzo e di Scajola». Agli atti c’è pure una telefonata tra il diplomatico e la signora che chiede aiuto per poter far visita, negli Emirati, al marito detenuto in occasione del compleanno. Morabito ha precisato di essersi comportato «nel pieno rispetto delle procedure previste dalla legge», e di aver più volte suggerito alla signora di convincere il marito a consegnarsi alle autorità italiane. Senza successo, evidentemente.
A rimpolpare le suggestioni monegasche della trama intercontinentale ci sono i paragoni che Scajola fa con la Rizzo: «Beirut è una grandissima Montecarlo... e Dubai è una grande Montecarlo». E c’è la coincidenza di quanto avvenuto la sera del 6 maggio. Mentre in Italia si preparavano arresti e perquisizioni, nel Principato un uomo a volto scoperto s’è avvicinato all’auto ferma al semaforo in cui era seduta Hélèn Pastor, settantasettenne ereditiera, e ha sparato ferendo gravemente lei e l’autista. Madame Pastor possiede uno dei principali patrimoni immobiliari locali, che fanno gola a molti speculatori. E tra i possibili moventi dell’attentato, c’è l’ipotesi di un avvertimento della ‘ndrangheta che da tempo avrebbe messo gli occhi sugli affari del cemento in Costa Azzurra a Montecarlo.