Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 11 Domenica calendario

SCAJOLA INDAGATO PER CONCORSO ESTERNO CON LA MAFIA


ROMA — Ai suoi avvocati ha detto di non voler rispondere al giudice, ma soltanto ai pubblici ministeri «perché dopo aver letto le carte sarò in grado di chiarire tutto». L’interrogatorio è stato fissato per mercoledì prossimo: Claudio Scajola dovrà difendersi anche dalla gravissima accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Non è l’unico. Tutte le persone sospettate di aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare del Pdl Amedeo Matacena, aiutandolo anche a rimanere titolare del suo impero economico, sono state indagate dai pubblici ministeri di Reggio Calabria per quel reato. È la contestazione già costata cinque anni di carcere con sentenza definitiva proprio a Matacena, sette a Marcello Dell’Utri. La clamorosa circostanza emerge dal decreto di perquisizione eseguito giovedì scorso, subito dopo gli arresti effettuati dagli investigatori della Dia.
Le donne per «schermare»
Nelle motivazioni del provvedimento gli inquirenti — il procuratore Federico Cafiero De Raho, il sostituto Giuseppe Lombardo e il sostituto nazionale antimafia Francesco Curcio — delineano tutti quei comportamenti criminali che li portano ad assegnare un ruolo chiave nella gestione dei beni e delle società, non solo a sua moglie Chiara Rizzo, ma anche a Maria Grazia Fiordelisi. Ufficialmente si tratta della sua segretaria, in realtà è la donna scelta da Matacena come «testa di legno» per amministrare alcune aziende. Ma potrebbe non essere stata la sola. Dalla casa e dall’ufficio di Scajola sono stati portati via centinaia di documenti. Alcune carte farebbero emergere il suo ruolo attivo nella gestione dei beni di Matacena, soprattutto il suo interessamento per muovere capitali in Italia e all’estero. L’ex ministro dell’Interno parlava ore e ore al telefono con la Rizzo: spesso usava parole in codice, talvolta utilizzava i sistemi di comunicazione via internet Skype e Viber per cercare di eludere le intercettazioni perché «i telefoni cellulari per me sono da esaurimento nervoso! Che strumento del c...».
«Interferenze su funzioni sovrane»
Nel capo di imputazione — oltre a Matacena, Scajola, Rizzo, Fiordelisi, l’elenco comprende la madre di Matacena, Raffaella De Carolis; il suo factotum Martino Politi; la segretaria di Scajola, Roberta Sacco; il ragioniere Antonio Chillemi, individuato come uno dei «prestanome»; l’uomo che si sarebbe occupato del trasferimento in Libano, Vincenzo Speziali — i pubblici ministeri elencano i comportamenti che concretizzano a loro giudizio il concorso esterno. E scrivono che il reato si realizza, tra l’altro, perché gli indagati «ponendo in essere, consentendo o comunque agevolando condotte delittuose diversificate — dirette a interferire su funzioni sovrane quali la potestà di concedere l’estradizione e finalizzate a proteggere la perdurante latitanza di Matacena, già condannato in via definitiva quale decisivo concorrente esterno della ‘ndrangheta reggina per il rilevantissimo ruolo politico e imprenditoriale svolto a favore della predetta — forniscono un costante e qualificato contributo a favore del complesso sistema criminale, politico ed economico riferibile alla predetta organizzazione di tipo mafioso, interessata a mantenere inalterata la piena operatività di Matacena della galassia imprenditoriale a lui riferibile, costituita da molteplici società e aziende, utilizzata per schermare la vera natura delle relazioni politiche, istituzionali e imprenditoriali garantite a livello regionale, nazionale e internazionale». Nella richiesta di arresto per altri reati (trasferimento fraudolento di valori e procurata inosservanza di pena) i pm avevano già contestato l’aggravante del favoreggiamento alle ‘ndrine. Il giudice dell’indagine preliminare ha però rigettato quell’impostazione, ritenendo che non ce ne fossero i presupposti, e contro questa decisione la Procura presenterà appello al tribunale del Riesame.
Le intestazioni fittizie
Proprio per «proteggere» il patrimonio era stato messo in piedi un sistema di «intestazioni fittizie». Nella richiesta di arresto i pm sottolineano che «dopo una prima fase in cui i membri della famiglia Matacena ricoprivano incarichi diretti in ambito societario, si è passati a una fase successiva, caratterizzata dalla operatività anche di imprese di diritto estero e dalla presenza di continui progetti di fusione (quello già completato tra «Solemar» e «Mediterranea» e quello in corso tra «Amadeus» e «Solemar») finalizzati a schermare gli effettivi titolari e, quindi, i reali beneficiari degli utili prodotti dalle società in questione che, alla luce delle indagini in corso, sono da individuarsi in Amedeo Matacena e nei suoi prossimi congiunti. E spiegano come Matacena «ha curato i suoi interessi attraverso un apparente distacco dalle società attuando un collaudato modus operandi che ha visto nel tempo impegnati in questo tourbillon di trasformazioni societarie, cessione di quote e girandole di incarichi la madre, il factotum, la moglie e la segretaria, divenuta amministratore unico della «A&A» grazie al rapporto di fiducia e alla sicura affidabilità». Anche Scajola ha avuto un ruolo determinante in questo schema «individuando canali bancari e finanziari sicuri, destinati a gestire il transito di capitali nella disponibilità della Rizzo».
Gli «abusi» sulla scorta
Le intercettazioni e i pedinamenti hanno svelato l’uso personale che l’ex titolare del Viminale faceva della scorta, quasi fosse una polizia privata. Oltre a mandare i quattro agenti a Montecarlo, li utilizzava come autisti per la signora Rizzo. Sabato il questore di Imperia Pasquale Zazzaro ha dato «formale incarico al vicario di eseguire un’ispezione per verificare se vi sia stato un uso non corretto e poi valuteremo come comportarci in funzione di quello che ci comunicherà l’autorità giudiziaria».