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 2014  marzo 21 Venerdì calendario

DA BISIGNANI A CL: CHI È ROGNONI, IL BERTOLASO ITALIANO

C’è un motivo se l’inchiesta sugli appalti truccati di Expo 2015 ha creato più di un malumore all’interno della procura di Milano, scatenando le ire del pm Alfredo Robledo contro il capo Edmondo Bruti Liberati, con tanto di esposto al Consiglio superiore della magistratura. Arrestare Antonio Rognoni, l’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde (Ilspa) scatola regionale per la gestione delle commesse sulle grandi opere infrastrutturali, con l’accusa di associazione a delinquere, truffa, turbativa d’asta e falso, «mente del sodalizio criminale» scrive il Gip, significa «fare centro» come in queste ore mormorano in piazza della Scala, aprire una breccia in un sistema che dalla Lombardia passa attraverso tutto il sistema economico politico e giuridico italiano, dalle banche ai fondi di investimento, dagli studi legali più blasonati fino al cuore della macchina giuridica, coinvolgendo persino un ex militare dei Ros come Giuseppe De Donno, imputato a Palermo nel processo sulla “cosiddetta” trattativa Stato-mafia.
Mettere alla sbarra Rognoni significa in buona sostanza toccare il cuore del sistema, coinvolgendo anche le tante realtà economiche che hanno lavorato in questi anni con regione Lombardia, da banche come Intesa SanPaolo o Unicredit, da Pirelli all’Eni fino al sistema cooperativo, tra coop bianche lombarde vicino a Comunione e Liberazione e rosse emiliane vicino al Pd, che si sono spartite in questi anni gli appalti tra Lombardia e Emilia Romagna, rappresentate nel nuovo governo di Matteo Renzi dal ministro alle Infrastrutture Maurizio Lupi e da quello al Lavoro Giuliano Poletti. Vuol dire insomma tastare con mano il «vero potere», il groviglio poco armonioso tra pubblico e privato, aprire una squarcio su un personaggio poco conosciuto al grande pubblico, ma temuto nelle segrete stanze, considerato un manager di successo, di grandi capacità operative abituato ad alzarsi alle 6 del mattino, preciso, rigoroso, sempre puntuale.
C’è chi lo paragona a Guido Bertolaso, l’ex capo della protezione civile, stimato a destra e a sinistra, ma finito travolto anche lui in un’inchiesta sempre sulle grandi opere, crollato sulle difficoltà dell’amministrazione pubblica di scavalcare spesso la lentezza della burocrazia e i gangli ammuffiti delle regole della pubblica amministrazione. Per capire la cautela con cui ci si è mossi a palazzo di Giustizia milanese su questa indagine, basta scavare nel passato di Rognoni, classe 1960, una laurea in Ingegneria al Politecnico di Milano, un «ciellino laico», del giro ma non praticante, cresciuto professionalmente nella Techint, la multinazionale italo-argentina fondata alla fine della seconda guerra mondiale da Agostino Rocca, tra le trenta società più importanti al mondo nella produzione dell’acciaio, con in pancia aziende attive nella siderurgia, nell’ingegneria, nella sanità e nelle reti di trasporto e distribuzione di gas. È un colosso da più di 20 miliardi di euro, con un fatturato nel 2011 di 25 miliardi di dollari e più di 59mila dipendenti in carico sparsi per il mondo.
La Techint è sempre stata una vera e propria potenza, perché tra le migliori nel settore, ma pure per relazioni nazionali e internazionali e perché oltreoceano, a Buenos Aires, parlare dei «Rocca» significa ancora adesso parlare come degli «Agnelli» in Italia. Rognoni è cresciuto qui tra la fine degli anni ’80 e i ’90. In Techint, l’ex direttore generale di Infrastrutture Lombarde ci arriva come project manager nel 1987. Siamo negli anni del boom economico. Al governo ci sono i socialisti di Bettino Craxi e la Democrazia Cristiana di Giulio Andreotti Tangentopoli non è neppure presa in considerazione. Alla Techint in quegli anni è vice presidente e amministratore delegato Paolo Scaroni, l’attuale numero uno di Eni, ora in scadenza di mandato Ma in quegli ambienti bazzicano un po’ tutti per la Techint. C’è pure Luigi Bisignani, il faccendiere della P2, con un’infanzia in Argentina, che neppure ventenne preparava la rassegna stampa per il patron Agostino Rocca.
E in questo mondo di manager di successo e di squali che Rognoni inizia a entrare in confidenza con il «sistema». Gli anni di Mani Pulite passano con qualche contraccolpo. Scaroni venne arrestato per un giro di tangenti al Psi relative proprio a un appalto della Techint, lo stesso manager vicentino spiegò all’allora pm Antonio Di Pietro la commistione tra politica e appalti, tra autorizzazioni, burocrazia e ricatti, tutte tematiche che si sono di attualità ancora adesso, in un paese schiacciato tra la lentezza delle procedure e la corruzione. Rognoni rimane project manager di Techint fino al 1997, è uno dei migliori, cura commissioni importanti, è professionale, può contare su una certa affinità con il patron Agostino Rocca: entrambi sono laureati al Politecnico di Milano.
Nel 1998 c’è il salto di qualità. Diventa direttore generale della Techint Consultants, è il braccio operativo della società, quello addetto alla progettazione e project management delle realizzazioni di Techint Group. È in sostanza il Responsabile, con la "r" maiuscola dei progetti, opera «sul mercato nazionale ed internazionale con specifico riferimento alle infrastrutture industriali, manifatturiere e terziarie oltre all’edilizia sanitaria». Proprio in quegli anni nasce alle porte di Milano grazie a Techint l’Ospedale Humanitas. In regione, al grattacielo Pirelli è appena arrivato Roberto Formigoni. E la struttura sanitaria di Rozzano diventerà presto una delle «eccellenze» della virtuosa sanità lombarda targata Comunione e Liberazione. Nel 2001 Rognoni passa poi alla Essepi Spa come amministratore delegato, l’azienda è gestore del teleriscaldamento tra Como e Varese, società proprietaria di ben due centrali idroelettriche.
È in questi anni che Rognoni conosce Formigoni. Entra in quel circolo ristretto di persone fidate del governatore, insieme con Nicolamaria Sanese, ex storico direttore generale di regione Lombardia e Giuseppe Roberto Mario Zola, avvocato ed ex assessore democristiano vicino a Cl, nominato nel 2013 dal consiglio regionale nella Corte dei conti. A questo gruppo poi si aggiungeranno negli anni Antonio Simone e Pierangelo Daccò, ma sono Rognoni, Sanese e Zola i veri bracci operativi della regione, per competenze che spaziano dalle infrastrutture, dalla conoscenza dei gangli burocratici fino alle questioni legali. Dal 2001 al 2004 Rognoni è amministratore delegato di Astrim, azienda leader nel campo del global service e del facility management e di Aster, società leader del mercato italiano nell’installazione di impianti meccanici ed elettrici.
Quest’ultima è un piccolo gioiello dell’industria, dove a metà degli anni novanta si muoveva la famiglia Lazzati, dinastia storica nel milanese: il fratello Giuseppe è stato lo storico rettore dell’Università Cattolica. In questo incrocio tra potere, imprese, che spazia da Roma a Milano fino a Buenos Aires, Rognoni cresce fino ad arrivare al Pirellone. Gestisce una Ferrari come Infrastrutture Lombarde, colosso da 11 miliardi di investimenti, tra ospedali e cantieri, autostrade, come Brebemi, Pedemontana e Tem, Tangenziale esterna milanese. Di mezzo pure la realizzazione del Pirellone bis voluto da Formigoni, persino il restauro della Villa Reale di Monza. La Ilspa nacque nel 2003, proprio per velocizzare i lavori infrastrutturali. All’inizio a dirigere questo mezzo fiammante ci andò Claudio Artusi, ma dopo nemmeno un anno ci arrivò proprio Rognoni. Lo hanno sempre definito «insostituibile». E a palazzo Lombardia si fa notare che nel cambio di gestione con la Lega Nord di Roberto Maroni nel 2013, nella contrattazione con la vecchia gestione ciellina, a essere messo alla porta fu Sanese, mentre Rognoni resistette fino all’ultimo.