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 2014  maggio 03 Sabato calendario

VENEZUELA, LA CRISI NON COLPISCE LA VIA SOCIALISTA AL SILICONE


Se fosse un allenatore di calcio, il suo palmarès, diciannove titoli negli ultimi trent’anni, sarebbe simile a quello di Alex Ferguson. Le attenzioni di Osmel Sousa, però, vanno in un’altra direzione. Osmel non plasma giovani virgulti del pallone, come David Beckham o Paul Scholes. Le sue creature si chiamano Alicia Machado, Dayana Mendoza, María Gabriela Isler, che di professione fanno le modelle.
Aveva tredici anni, Osmel, quando lasciò la natia Cuba per sbarcare a Maracaibo. Fidel Castro e i suoi barbudos avevano appena defenestrato Fulgencio Batista e Sousa, come i fatti hanno successivamente dimostrato, aveva ben poco da spartire col nuovo corso cubano. Oggi quel ragazzino ha raggiunto il successo in un’altra patria socialista, il Venezuela bolivariano. La sua declinazione del socialismo, però non coincide con quella di Hugo Chavez, né si avvicina all’ideologia del suo delfino, il presidente Maduro. Se Osmel fosse socialista, il suo sarebbe un socialismo dal volto bello.
L’espressione più frequentemente associata a Sousa è quella di “zar della bellezza”. Dal 1981, infatti, il pittoresco cubano, giacche bianche e capelli tinti, organizza il concorso di Miss Venezuela. Forma, plasma e istruisce le modelle che da Caracas lanciano l’assalto alle competizioni mondiali del settore. I risultati sono eloquenti. Il Paese ha vinto sette edizioni di Miss Universo, sei di Miss Mondo e altrettante di Miss Internazionale.
Lo zampino di questo moderno Pigmalione è evidente. Ma la vittoria più importante di Sousa è un’altra ed è, a suo modo, una vittoria di tipo ideologico. «I concorsi non riguardano la natura – disse in un’intervista a Bloomberg – ma la bellezza, e la scienza esiste per aiutare a perfezionare la bellezza. Non c’è nulla di sbagliato». Il fine, secondo Osmel, giustificai mezzi. «Che importa se siano ritoccate o meno, l’essenziale è che abbiano guadagnato la corona», rispose in un’altra circostanza, facendo intendere che due sue protégées, Alicia Machado e Dayana Mendoza, erano ricorse al bisturi per migliorare la silhouette del proprio naso.
La centralità della bellezza nella società venezuelana non è un fatto recente. Secondo José Rafael Briceño, un professore universitario che spiega alle miss i metodi per comunicare in pubblico, se si vuole comprendere il fenomeno occorre risalire alla fine del Settecento, quando, all’epoca della dominazione spagnola, i nativi erano esclusi dai ruoli chiave e la bellezza veniva considerata uno strumento di mobilità sociale. In un Paese fortemente matriarcale, sostiene Briceño sul Miami Herald, neppure l’influenza del femminismo ha portato le donne a trascurare il lato estetico.
Miguel Tinker-Salas, docente di studi latino-americani al californiano Pomona College, è di un altro avviso. L’ossessione per la bellezza fisica, dice – all’International Business Times – è legata all’ascesa nel mondo dei media, all’inizio degli anni Ottanta, dei potenti Cisneros, i tycoon di Venevision, che organizzano proprio il concorso di Miss Venezuela.
È un paradosso, però, che nella patria del socialismo maggiormente in voga nell’intellighenzia occidentale vi sia un simile culto della bellezza esteriore e, soprattutto, che abbiano uno spazio così grande nella vita comunitaria manifestazioni estremamente competitive come i concorsi di bellezza. La rivoluzione bolivariana, insomma, arretra di fronte all’estetica. Oltretutto, si tratta di un’estetica che non si affida completamente alla natura e concede parecchio alla tecnica.
Altro paradosso. Il Venezuela, malgrado la rendita petrolifera, è sull’orlo della bancarotta. L’inflazione ha raggiunto cifre astronomiche e il 44% della popolazione vive in povertà. Eppure i consumi dei prodotti di bellezza e gli interventi di chirurgia estetica non sono affatto calati. Si può risparmiare, ma non sulla cura del proprio corpo.
L’industria della bellezza – un settore che comprende centri estetici, accademie e scuole per modelle, sfilate, aziende di cosmetici e soprattutto cliniche di chirurgia plastica – è il secondo business del Paese. I concorsi sono seguitissimi in televisione e le vincitrici diventano immediatamente delle pop star da invidiare o dei modelli da imitare. E allora, perché rinunciare a intervenire sul naso, o sul seno, o sulle labbra, o su altre parti del corpo, anche a costo di indebitarsi, se persino la miss, l’orgoglio nazionale, ha detto sì al bisturi?
Sotto l’ala protettiva di Sousa nulla è lasciato al caso. A libro paga di Osmel ci sono un chirurgo plastico e uno dentale. E il popolo mostra di apprezzare la bellezza artificiale. Su questo punto il chavismo ha perso. L’ex presidente non amava i ritocchi, anche se i successi delle miss nei concorsi internazionali restavano motivo d’orgoglio. Eppure la chirurgia estetica è diventata fenomeno di massa e non è più appannaggio delle classi privilegiate, come decenni fa. Anche il popolino vuole il corpo delle miss, come se un seno piccolo o un sedere flaccido fossero segno di disonore. Si stima che un quinto del reddito nazionale venga investito nell’industria del bello. La liposuzione è piuttosto popolare, il silicone è merce diffusa.
Negli ultimi anni si è sviluppato anche una sorta di turismo estetico, nel senso che molti stranieri arrivano a Caracas perché qui gli interventi costano meno che altrove. Secondo l’Associated Press, per aumentare il seno si spendono circa 2000 dollari, un terzo rispetto agli Stati Uniti. Per avere un naso migliore, bisogna investire 1500 dollari, un decimo di quanto occorrerebbe pagare a zio Sam.
Alcuni programmi sociali del governo includono il trasferimento di liquidità alle fasce più povere e molti sfruttano questo denaro per costruirsi un futuro puntando sul proprio corpo. Il reddito medio venezuelano si aggira intorno ai 14 mila dollari l’anno e un’accademia di bellezza può prevedere costi di iscrizione di cento dollari, più altri 150 dollari al mese per quattro ore di lezione, due volte la settimana.
Il potere di Maduro vacilla e da mesi l’opposizione occupa le piazze, chiedendo la cacciata del presidente. Chiunque vinca dovrà stringere un patto d’intesa con Maria Gabriela Isler, Miss Universo, incoronata a Mosca lo scorso novembre, nata a Valencia, stato di Carabobo, ventisei anni fa.