Andrea Bonzi, l’Unità 8/5/2014, 8 maggio 2014
IN DUE ANNI 76 CONTRATTI
«Salve, questo lo posso appoggiare sulla scrivania?». Sono passati alcuni mesi da quando Enrico – il nome è di fantasia – si è presentato alla Camera del lavoro di Bologna con un cassetto stracolmo di buste paga e contratti. I suoi contratti di somministrazione: esattamente 76. Accumulati non in una vita di lavoro, ma in appena due anni, dal marzo 2011 al febbraio 2013 e pari a 292 giornate lavorative (escluse le deroghe).
Enrico ha solo 26 anni, studia all’ università e, per mantenersi, ha accettato una modalità di lavoro più precaria non si può: «Quasi ogni mattina – racconta Stefania Pisani, funzionaria della Filcams di Bologna – andava in negozio e ritirava il suo contratto nuovo, di una durata che va da un giorno solo a una settimana, al massimo». Restava dipendente delle agenzie di somministrazione – due quelle per cui ha operato – e lavorava «in maniera assolutamente continuativa» come commesso in una grande catena di abbigliamento di proprietà di una multinazionale spagnola. «I colleghi con contratti a termine erano convinti che lavorasse lì in modo stabile», riferisce Pisani. Stipendio percepito: meno di mille euro, inquadrato in quello che, tecnicamente, si chiama quinto livello, uno più basso del dovuto. È vero che – scriveva Lorenzo De Medici – «del domani non c’è certezza», ma qui si esagera. Con questa frammentazione “è difficile maturare il Tfr, anche solo programmarsi la vita”, visto che si può essere chiamati da un giorno all’altro.
Al sindacato Enrico non è mai stato interessato: «È l’impossibilità di avere una vita sociale che lo ha spinto verso di noi, più della percezione della mancanza di diritti”, spiega Pisani, ed è quella “la molla che porta al limite molti altri lavoratori del commercio, tanto più dopo la totale liberalizzazione delle aperture domenicali e festive. A un certo punto, semplicemente, non ce la fanno più a mantenere un ritmo di lavoro così». Luoghi di lavoro spesso impermeabili al sindacato, anche in virtù dell’ampio turnover, per questo diventa difficile quantificare quanti addetti sono nelle condizioni di Enrico.
Di certo, dopo i tagli di organico, alcune catene a orario continuato spezzettano i ritmi ancora di più: «Al dipendente da otto ore vengono chieste l’apertura e la chiusura del negozio, cioè quattro ore la mattina e quattro la sera. In mezzo? Un part time da altre quattro ore. Ma così il primo addetto è idealmente impegnato per tutta la giornata, a meno che non abiti molto vicino alla sede di lavoro».
VICENDA ESEMPLARE
La vicenda è esemplare in un momento in cui il dibattito sulla precarietà e sul nascente decreto Lavoro è all’apice, tanto più nel giorno del passaggio del ministro Giuliano Poletti al congresso della Cgil che si chiude oggi pomeriggio a Rimini. Nel suo intervento dal palco, Giuseppe Oliva (Nidil Catania), accende i riflettori sulle Associazioni di partecipazione agli utili. Si tratta di negozi di vestiti e accessori in franchising, spesso legati a grandi catene, in cui «il datore di lavoro dà un anticipo sullo stipendio al socio-lavoratore, mettiamo 400 euro, e poi gli promette la divisione degli utili a fine anno – spiega Oliva –. Soldi che, alla fine, non arrivano mai».
L’ABUSO DEI TIROCINI
Il sindacalista sottolinea il rischio dell’abuso dei tirocini: stanno partendo quelli legati al programma europeo “Garanzia giovani”, che riguarda i ragazzi tra i 15 e i 24 anni. «L’importante è che questa opportunità (finanziata con 180 milioni di euro in due anni di cui 70 messi dal Fondo sociale europeo, ndr) non sia usata per comprimere i costi del lavoro e sfruttare le persone nei call center e negli hotel, più che con un reale intento formativo», chiude Oliva.
Ad aprire il capitolo cooperative è invece Elisa Gigliardelli (Filt Umbria), che dal palco sottolinea come «il mondo che il ministro Poletti dice di rappresentare sia pieno di contratti non rispettati e di appalti al massimo ribasso, un mondo che ruota attorno alla figura del socio-lavoratore, che ha una certa ambiguità di fondo», sospeso tra il rispetto del contratto nazionale e quello dei regolamenti interni delle cooperative.
Poi ci sono le società spurie, «concorrenza sleale» per le coop che rispettano le regole, che proliferano nella logistica, in particolare nei servizi di facchinaggio. «Credo che dovrebbero essere le centrali cooperative a controllare», chiude la sindacalista. La filiera della macellazione è un altro esempio di deregolamentazione, e spesso coinvolge piccole cooperative: «Ci sono orari di lavoro senza fine, spostamenti di mansione improvvisi, contratti di altri settori, addirittura filiere etniche, dove i lavoratori che provengono dalla stessa area geografica hanno ognuno un referente che dà le disposizioni», esemplifica Marco Gentile, degli alimentaristi della Flai.