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 2014  maggio 08 Giovedì calendario

CORRUZIONE E INTEGRALISMO, LA DOPPIA PIAGA DELLA NIGERIA


I nigeriani soffrono e sorridono, diceva il celebre musicista Fela Kuti, fondatore dell’afrobeat e attivista politico, alludendo alla rassegnazione del suo popolo. Ma la vicenda del rapimento delle duecento studentesse da parte del movimento islamico radicale Boko Haram, che sta toccando la sensibilità internazionale, con l’arrivo delle teste di cuoio britanniche e della task force americana, è diventata una questione geopolitica e potrebbe scuotere un’apatia che in realtà nasconde il profondo malessere della Nigeria, catapultata un mese fa nel giro di 24 ore, grazie al ricalcolo del Pil, al primo posto tra le economie africane con 510 miliardi di prodotto interno lordo, di gran lunga superiore a quello del Sudafrica.
Questo è un gigante petrolifero di 160 milioni di abitanti - un quinto della popolazione del continente - diviso a metà tra cristiani e musulmani, caratterizzato da una miriade di etnie e lingue locali, che sta ospitando nella capitale Abuja il World Economic Forum, una manifestazione che doveva essere, prima degli attacchi dei Boko Haram, una celebrazione del boom della Nigeria, considerata la vestale culturale della negritudine con ambizioni militari ed economiche da superpotenza regionale.
Ma il petrolio, sul quale si fonda l’exploit nigeriano, è come il gladio romano, una lama a doppio taglio. Fu all’origine della guerra civile di secessione del Biafra negli anni 60 e oggi è una delle cause del disordine e della povertà, dal Delta del Niger agli Stati federali musulmani del Nord, emarginati dal governo centrale, con popolazioni vulnerabili alla predicazione integralista ma anche al ricatto degli islamici. I Boko Haram hanno appoggiato le campagne elettorali dei leader locali che promettevano di imporre la più stretta osservanza della sharia, per poi essere scaricati e passare sul fronte nemico.
Ed ecco l’altra faccia del boom nigeriano. L’80% delle entrate del petrolio e del gas arriva soltanto all’1% della popolazione, lubrificando un sistema oligarchico, corrotto e inefficiente, mentre oltre il 60% dei nigeriani vive con meno di un dollaro al giorno. Una disuguaglianza nella distribuzione delle risorse che non è separata dal ruolo dell’Occidente e delle multinazionali ma fa parte di un sistema di sfruttamento delle riserve petrolifere che non è compensato da adeguati investimenti nella lotta alla miseria e nell’educazione. Nello Stato di Borno, culla dei Boko Haram, l’83% dei giovani è analfabeta, il 35% dei musulmani non ha mai frequentato una scuola, neppure coranica, e i tre quarti della popolazione vivono sotto la soglia di povertà, un record anche per la Nigeria.
C’è un dato significativo: pur essendo tra i maggiori esportatori mondiali di oro nero, (1,9 milioni di barili al giorno), la Nigeria genera elettricità appena sufficiente per una città europea di medie dimensioni e metà dei suoi oltre 160 milioni di abitanti vive senza luce.
Alla povertà si accompagna la corruzione, come spiegava in questi mesi l’ex governatore della Banca centrale Lamido Sanusi, rimosso dall’ineffabile presidente cristiano Goodluck Jonathan quando ha rivelato in gennaio, davanti al Senato di Abuja, che tra il 2012 e il 2013 la Nigeria aveva perso 20 miliardi di dollari di entrate, un colossale buco di bilancio dovuto alle frodi ai danni della compagnia statale. Sanusi, nominato due volte banchiere dell’anno e rispettato teologo islamico, si è visto confiscare qualche giorno fa il passaporto: una mossa che ha provocato il crollo della naira, la moneta locale.
In Nigeria si combattono due guerre: una contro gli integralisti, l’altra contro la povertà e la corruzione. Per sconfiggere i primi bisogna vincere la seconda, altrimenti come è accaduto in Afghanistan e in altre parti del Medio Oriente e dell’Africa anche la Nigeria diventa una battaglia persa.

Alberto Negri, Il Sole 24 Ore 8/5/2014