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 2014  maggio 08 Giovedì calendario

IN VENDITA LE CABINE TELEFONICHE

Una foto satellitare mostra nei dintorni di Berlino, una radura tra i boschi, dalle parti di Potsdam, a scacchi gialli e rosa, vasta un ettaro e mezzo. Non sono fiori geneticamente modificati, margherite o tulipani giganti. È il cimitero delle cabine telefoniche della Telekom tedesca. I cellulari le hanno condannate a morte, vengono sradicate dalle piazze e dalle strade della Germania, e trasportate nel deposito berlinese. Ormai è rarissimo scoprirne qualcuna, dimenticata in un paesino, o in un incrocio fuori mano.
Ora è possibile per i privati comprarle: una vecchia cabina color polenta, quando la Deutsche Post era chiamata der Gelbe Riese, il gigante giallo, costa 350 euro. Poi le poste vennero privatizzate e uno stilista dai gusti riprovevoli ridipinse le Telefonzelle in color magenta. Anzi arrivò a pretendere di brevettare il colore, che nessuno avrebbe più potuto usare. Prima che gli dessero torto, le cabine cominciarono a essere eliminate. Una magenta costa solo 250 euro.
Io, forse a causa delle origini siciliane, sono un rivoluzionario nostalgico. Mi batto contro le vecchie strutture, invano, come spiegava il Principe di Lampedusa, ma sono attaccato alle vecchie cose, ai maglioni sdruciti che continuo a indossare da vent’anni nonostante gli sguardi critici di mia moglie, e continuo a conservare da decenni libri mai letti e che mai più leggerò, perché ricordo quando, dove e perché li comprai. So che la mia ingombrante biblioteca e quella di mia moglie che, a parte i pullover, condivide i miei gusti, potrebbe essere concentrata in un lettore grande quanto il mio palmo, ma non la manderò mai al macero. Così mi sono rattristato quando sono scomparse le cabine telefoniche, quelle gialle teutoniche e quelle rosse britanniche. Fanno parte della storia.
Prima e dopo la caduta del Muro, trascorsi quasi un anno al Palast Hotel di Berlino Est (scomparso a sua volta). Era l’albergo delle spie e dei giornalisti, semplicemente perché era l’unico dotato di telefoni con la selezione. Piuttosto inaffidabile. Il telefono in camera era di quelli a disco, e si sentivano i numeri «cadere», e si faceva l’orecchio. A un tratto si capiva che non c’era la linea, di solito dopo le 17, quando gli inviati di tutto il mondo cominciavano a telefonare. I cellulari erano appena entrati in commercio, pesavano un paio di chili, e la «rete» era simbolica. Prima di sera non mi restava che correre a Checkpontcharlie, il punto di passaggio del Muro, caduto ma sempre esistente, e passare dall’altra parte per telefonare. Tra le qualità dei cronisti ci sono anche le gambe e i polmoni. A pochi passi, nella Berlino capitalista, nella Kochstrasse mi aspettava la mia scialuppa di salvataggio: una gialla Telefonzelle.
Non sono il solo a rimpiangerle. Il paesino di Pfaffengrün, 8.100 abitanti, vicino a Chmenitz, che nella Ddr si chiamava Karl-Marx-Stadt, si batte per mantenere la sua cabina telefonica, color magenta ma sempre meglio di niente, anche se nessuno la usa più. Il mantenimento di una cabina, spiega il portavoce della Telekom, Georg von Wagner, costa da 100 a 150 euro all’anno, ma l’incasso in monetine a Pfaffengrün l’anno scorso è stato appena di 40 euro.
È sempre von Wagner a spiegare che gli acquirenti dovranno però provvedere personalmente a prelevare dal bosco la loro cabina, che pesa in media 350 chili. «Chi le compra le trasforma in biblioteca, o in armadio per le scarpe», spiega. Una mancanza di stile come quelli che trasformano i confessionali in mobile bar. Una Zweckentfremdung, una di quelle parole che incutono timore innanzi al tedesco, ma che vuol dire cambiamento d’uso. Per me, un sacrilegio. Una Telefonzelle va rispettata. Invito i nostalgici ad andare in trasferta a Papffengrün, a sprecare qualche euro nella superstite Telefonzelle, e salvarla dalla condanna a morte della Telekom.