Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/5/2014, 8 maggio 2014
PERISCOPIO
Desideri - Prima di morire vorrei vedere un premier di sinistra che si scontra con gli industriali. la Stampa.
Un anno fa moriva Giulio Andreotti. Controllerei se è ancora vivo. Spinoza. Il Fatto.
Dice Marchionne che non sarà un nuovo capitolo, ma un nuovo libro. Un nuovo modello, mai? Maurizio Crippa. Il Foglio.
C’è un nuovo serial killer a Firenze. E secondo Enrico Letta è pericolosissimo. Il rompi-spread. Mf.
Domenico Bonifaci, editore de Il Tempo di Roma, in 18 anni ha fatto fuori 14 direttori. In media, durano meno di un anno e mezzo a testa. Uno, Maurizio Belpietro, appena 5 mesi. Un altro, Mauro Trizzino, 29 settimane. Per lui, i direttori sono come gli pneumatici: ai primi freddi toglie le gomme normali e monta le winter. Vittorio Feltri e Stefano Lorenzetto, Buoni e cattivi. Marsilio.
Qualcuno salvi Piero Fassino da se stesso. Forse affascinato dall’idea di entrare pure lui nel nutritissimo club degli sfollatori di consenso Pd, fianco a fianco alle Picierno e De Micheli, ha così preso a cuore tale impegno da sbagliare tutto con precisione chirurgica. Sinora, Fassino era ricordato per tre motivi: i tic facciali che ne tradiscono l’interna fibrillazione, il sogno diversamente bolscevico di avere una banca e la particolarissima composizione del sangue («Fassino ha un solo globulo rosso che va su e giù per tutto il corpo. Quando ha un’erezione, sviene». La battuta è di Beppe Grillo). Nei giorni scorsi, il sindaco di Torino ha aggiunto, al palmares, un dito medio sbarazzino mostrato ai contestatori come un Gasparri o Santanchè qualsiasi. A differenza loro, Fassino ha inizialmente negato l’evidenza: «Dicono che ho fatto un gestaccio? Ma figuriamoci». Già qui, credendo che nessuno avesse fotografato o filmato la scena, Fassino ha dimostrato quella sua capacità prodigiosa di vivere il proprio tempo intuendone i cambiamenti, la stessa capacità che nel luglio 2009 lo portò a minimizzare l’eventuale peso politico del non ancora nato M5S: «Grillo vuol fare politica? Fondi un partito, metta in piedi un’organizzazione, si presenti alle elezioni, vediamo quanti voti prende. Perché non lo fa?». Andrea Scanzi. Il Fatto.
Non mi attendevo certo di essere eletto all’unanimità all’Accademia di Francia. Se fossi stato un accademico non avrei sicuramente votato per me perché conosco, meglio di chiunque altro, le mie insufficienze e mi scontro ogni giorno con i miei limiti. Non sono quindi né sorpreso, né scioccato dall’opposizione in se stessa. Dalla morte di Hitler, in questa Francia ben poco resistette quando era necessario (i miei genitori, in quanto ebrei, finirono in campi di sterminio in Germania), l’antifascismo pullula e i suoi adepti, accademici o no, non hanno alcuna considerazione per l’identità di coloro che prendono di mira. Ma non vale il meglio tardi che mai, come lo credono questi vigilanti scatenati, vale meglio mai, che troppo tardi. Alain Finkielkraut, filosofo, neo ammesso all’Académie de France. le Figaro.
Il crocifisso era lì da un secolo, fin dalla costruzione dell’ospedale, e, adesso ch’era stato portato via, al suo posto rimaneva una chiazza bianca, a forma di croce. Gli occhi di mio padre andavano spesso su quella chiazza, unica testimonianza che una volta la sua religione occupava quella stanza, chi moriva lì dentro moriva dentro la propria fede: non era solo, c’era il suo Dio con lui. Adesso non c’è nessuno. Mio fratello mal tollera questo svuotamento della stanza, come un sopruso. Diceva, tra i denti: «Arrivano e comandano». Anche gli amici del paese protestano: «Se noi ci ammaliamo in Egitto, accettiamo gli ospedali egiziani». Ferdinando Camon, La mia stirpe. Garzanti, 2011.
I meridionali ci assicurano, a noi lombardi, i magistrati, gli avvocati, i poliziotti e i delinquenti organizzati. Gianni Brera con Gigi Moncalvo, Milano no, Edizioni Elle, 1977.
Il dieci è il numero perfetto, dieci comandamenti, dieci piaghe della Madonna, dieci stazioni della Via Crucis, dieci astri maggiori, dieci giorni della poca Lisse, dieci torri pendenti di Pisa, Ali Babà e i dieci ladroni, la guerra delle dieci rose, i cinque sensi cioè la metà di dieci. Luigi Serravalli, critico d’arte e scrittore.
Anche i grandi poeti devono fare i conti con le conseguenze dell’amore. Prendete il trentanovenne Giosuè Carducci, professore di Eloquenza all’Università di Bologna e già celebrato tra i massimi cantori delle Nuova Italia: di fronte al prolungarsi della sessione di esami, manda il devoto assistente Panzacchi a rassicurare la giovane amante, che lo sta attendendo in albergo. Allora non c’erano telefonini, tantomeno e-mail. Panzacchi affronta un temporale e fradicio come un pulcino è accolto da Carolina Piva «seduta sul letto, la schiena appoggiata a due cuscini, una liseuse celeste che lascia appena intravvedere la scollatura». Sta di fatto che l’assistente assiste così bene il suo professore che, da allora, «Carolina manifestò una calda simpatia per il messo inviatole da Giosuè». Talmente calda che i rapporti tra maestro ed allievo, al contrario, si raffreddarono parecchio. Giancarlo Fusco, Risorgimento immortale. Barion.
Davanti al Capo San Filippo, un fondale di grandi massi e di scogli, mi comparve, un giorno, un bel sarago solitario da un chilo, massimo un chilo e mezzo. In mare sembrava molto più grande. Il mio fucile era scarico, avevo appena sparato e preso una triglia. Quando ricaricai, il sarago si nascose dietro un pietrone. E andammo avanti così per un paio d’ore: lui comparendo quando il fucile era scarico, io ricaricando per vederlo subito riparare dietro una pietra. Insomma, conosceva il gioco e si divertiva alle mie spalle. Domenico Cacopardo, Il delitto dell’Immacolata. Marsilio.
Il parroco di Monterongriffoli, don Tosco Crestini, sostiene che i barbari scendevano ogni anno in Italia per mangiare i fichi, frutto che, dalle loro parti, non viene, e di cui erano ghiottissimi. A me pare che il parroco di Monterongriffoli conosca la storia d’Italia un po’ meglio del Mommsen. Curzio Malaparte, Battibecchi. Shakespeare and Company, 1993.
Il regista Paolo Sorrentino, nel suo «Tony Pagoda», dopo aver passato in rassegna familiari e amici, arriva a ringraziare tal Luciano Paciocco «che a scuola mi allungava mirabolanti composizioni comiche che mi hanno spinto anni dopo a emularlo». Elisabetta Ambrosi. Il Fatto.
La routine non deve essere un’abitudine ma una disciplina. Roberto Gervaso. il Messaggero.
Paolo Siepi, ItaliaOggi 8/5/2014