Luca Valtorta, la Repubblica 8/5/2014, 8 maggio 2014
L’ALTRO VASCO: «CANTO I TRENTENNI DI OGGI VOGLIO ILLUMINARE I TEMPI BUI»
[Intervista a Vasco Brondi] –
«Luminosa natura morta con ragazza al computer/ poverissima patria/ arriva arriva la deriva economica» canta una lontana figura sul palco. Davanti a lui una folla pulsante si stende a perdita d’occhio, balla, recita le canzoni a memoria. Sta succedendo qualcosa di speciale. L’intensità c’è sempre stata ai concerti de Le Luci della Centrale Elettrica ma adesso il momento è quello magico di un artista che sta facendo il grande salto verso la popolarità. Tutto questo avviene senza che ci siano di mezzo grandi case discografiche, battage pubblicitario né passaggi in radio o in tv. C’è la sensazione che sia nato un grande cantautore, che per la poetica ricorda i maestri, ma che suona moderno: De Gregori quindi ma anche i CCCP; Battiato e al tempo stesso gli Afterhours, ovvero le asprezze e il rigore del punk insieme alla forza dei sentimenti e la dolcezza della melodia. Ci avviciniamo al camerino e non c’è aria di star system: niente guardie del corpo né personaggi famosi. Vasco Brondi, 30 anni, nuovo singolo, Questo scontro tranquillo , in uscita domani, è la persona dietro il progetto chiamato Le Luci della Centrale Elettrica.
Perché questo nome?
«Quando ho scritto il mio primo disco c’era una canzone, Piromani , che diceva “andiamo a vedere le luci della centrale elettrica”. Era una cosa che facevamo da ragazzini: a Ferrara c’è una fabbrica, che, in realtà, non è una centrale elettrica ma ha delle luci incredibili. Era il posto che avevamo trovato per stare insieme. Guardavamo questa cattedrale illuminatissima che per noi era come Las Vegas».
C’è un legame con il titolo del nuovo cd, Costellazioni?
«Sì. Ho voluto tornarci sopra: sapevo da subito che questo era un disco provinciale/spaziale ma il nome Costellazioni è arrivato dopo, quasi a tenere in piedi le canzoni che lo abitano, come se fossero delle stelle. Era importante che ci fosse un titolo che brillasse, che rischiarasse in qualche modo l’orizzonte di questi tempi. Qualcosa che fosse in contrasto con l’idea che oggi spesso prende il sopravvento, che questi sono tempi bui. Volevo un disco luminoso perché l’unico modo per non avere paura del buio è entrarci dentro e illuminare tutto».
Da dove viene il nome, Vasco, che in Italia si collega per forza a Vasco Rossi? I suoi genitori erano dei fan?
«In realtà i miei non seguono molto la musica e a casa mia si è sempre ascoltato solo Mina e Battisti. Gli piaceva però l’idea di un nome non comune e legato all’avventura per cui il riferimento era a Vasco De Gama, grande navigatore».
Non ci sono solo luci nei suoi testi. Uno del primo disco diceva: «Proteggimi dai lacrimogeni e dalle canzoni inutili e proteggi le sopracciglia dai manganelli»...
«Quella canzone era legata a un fatto di cronaca che vedeva protagonista la mia città: la morte di Federico Aldrovandi, avvenuta a Ferrara nei giorni in cui stavo scrivendo il disco».
È successo ancora. Che cosa ne pensa?
«Queste cose sono un grave problema e un terribile cortocircuito all’interno di uno Stato».
Faceva davvero il cameriere per mantenersi come dice in un altro brano?
«Sì e poi il facchino per gli allestimenti dei concerti, per cercare di avvicinarmi a quel mondo».
C’è una sua frase che dice: «Cosa racconteremo ai figli che non avremo di questi cazzo di anni zero». Anche se lei non vuole essere un portavoce, ha una valenza generazionale: dal vivo è la più “urlata” dal pubblico...
«Il primo disco era pieno di storie d’amore che però avevano la colonna sonora di un telegiornale: parlavano delle gente con cui si condivide la casa, dei soldi per il treno per riuscire a incontrarsi. Tutto questo ha a che fare con lavori e luoghi brutti e tristi ma non per questo meno poetici».
Adesso Renzi ha citato, in un suo post su Twitter, un’altra sua frase tratta dalla canzone Le ragazze stanno bene , che dice: «Non c’è alternativa al futuro». Del resto Renzi ha 39 anni, lei 30…
«Mi ha sorpreso, ma forse era più stupefacente prima, quando c’erano persone staccate da quello che succedeva e che non avresti mai potuto immaginare, non dico a un mio concerto, ma a qualsiasi cosa di reale, di contemporaneo».