Andrea Bonanni, la Repubblica 8/5/2014, 8 maggio 2014
DIALOGO E SANZIONI COSÌ L’EUROPA FERMA LO ZAR
BRUXELLES
La corsa solitaria degli europei per fermare una guerra annunciata in Ucraina sembra dare qualche frutto. Arrivato ad un passo dall’abisso Vladimir Putin, dopo l’ennesimo colloquio con Angela Merkel, si è apparentemente fermato. Chiede agli indipendentisti filo russi di rinviare il referendum. Vuole un dialogo diretto tra Kiev e gli insorti. Benedice le elezioni in Ucraina, che solo qualche giorno fa definiva «un’idea bizzarra». Proclama perfino di aver ritirato le truppe dai confini, anche se la Nato e il Pentagono negano che lo abbia fatto.
Fidarsi di Putin? Sicuramente no. Nel corso di questa crisi il presidente russo aveva promesso di non invadere la Crimea, e l’ha invasa. Aveva preso impegni a Ginevra che non ha mai mantenuto. Ha annunciato ritiri di truppe che non ci sono mai stati. Può darsi che sogni di ricostruire la Grande Russia zarista, ma di certo ha una concezione molto ’sovietica’ dell’opportunismo diplomatico.
Neppure gli europei si fidano del Cremlino. Ma non hanno altra scelta che cercare, come ha spiegato il ministro degli esteri tedesco Steinmeier nell’intervista a Repubblica, di impedire a Putin di diventare un nemico dell’Occidente. E non è solo per un generico e genetico istinto di appeasement , come sembrano insinuare gli americani che guardano con disprezzo agli atteggiamenti concilianti dell’Europa. Né è solo perché una escalation di sanzioni economiche contro Mosca avrebbe effetti catastrofici per l’economia europea fiaccata da sei anni di una crisi senza precedenti.
Il vero nodo della questione è che gli europei sentono, e questo forse proprio grazie al dna della loro storia, che in Ucraina la possibilità di una guerra è dietro l’angolo. E se nessuno, né a Mosca né a Washington, per motivi di orgoglio vuole assumersi il ruolo del pompiere, se le due grandi potenze soffiano sul fuoco e mostrano i muscoli, la guerra diventa lo sviluppo inevitabile e catastrofico di una crisi che non avrebbe nemmeno dovuto scoppiare. Ecco che allora tocca agli europei assumersi questo compito umile e disprezzato. Nonostante i “fuck Europe” dell’amministrazione americana. Nonostante i sarcasmi che arrivano dal Cremlino.
Oggi è di moda dire che l’Europa non ha una politica estera. Che è divisa al proprio interno da sensibilità e interessi economici divergenti. Che non conta nulla sulla scena internazionale. Alla vigilia di elezioni che chiameranno alle urne quasi 400 milioni di cittadini questi luoghi comuni possono venire utili, e sicuramente sono facili. Ma in realtà nella crisi Ucraina l’Europa si è sempre mossa in modo coordinato e responsabile con l’unico scopo di evitare una guerra che nessuno, sulle due rive dell’Atlantico, può e vuole combattere. Anche lo stereotipo dell’Europa imbelle andrebbe esaminato con maggiore attenzione. Se alla fine, come tutti speriamo, la crisi ucraina troverà una soluzione pacifica, se la guerra non scoppierà, il merito non sarà certo di qualche cacciabombardiere americano trasferito minacciosamente nei Paesi baltici, ma della capacità di pressione del soft power europeo sull’economia russa. La Casa Bianca può anche giocare, come ha fatto finora, a varare le sue sanzioni due ore prima di quelle europee e a inserire nella lista nera due o tre nomi in più di quanto faccia Bruxelles. Ma la capacità di pressione economica degli Stati Uniti sulla Russia è vicina allo zero, mentre l’Europa rappresenta il primo partner commerciale e finanziario di Mosca. Il vero soft power , in questa crisi, è in mano agli europei. Che giustamente lo utilizzano con parsimonia. Ma è bastata la minaccia di sanzioni economiche da parte della Ue per mettere in crisi l’economia russa e determinare una fuga di capitali senza precedenti dalle banche e dalle imprese moscovite. Questo è l’unico strumento non militare in grado di costringere Putin a riflettere. E proprio il fatto che tale strumento sia in mano agli europei può forse spiegare perché gli americani, in questa crisi, facciano sfoggio di tanta facile determinazione.
Andrea Bonanni, la Repubblica 8/5/2014