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 2014  aprile 30 Mercoledì calendario

CHILI, CLASSE E GOL: FENOMENO SODINHA

In Rete gli hanno anche dedicato un’ode: «Sodinha è l’impiegato che va ad imprecare il sabato pomeriggio in qualche campionato Csi. Sodinha è me a 12, 13 anni. Sodinha è banalmente unico, grossolanamente attraente, talentuosamente sovrappeso. Come uscito da un tratto di Botero, come uno dei bambini tondeggianti sul prato verde, come l’affascinante donna immersa nella sua floridità. Sagoma sferica, talmente tonda dal fondersi e confondersi con la palla tra i piedi». Il brasiliano del Brescia meriterebbe di parlare anche di calcio e non solo di dieta. Difficile, perché bene o male tutto comincia da lì, da quella maglia larga e fuori dai pantaloncini per nascondere fianchi imbarazzanti.
Le dà fastidio?
«Cosa?».
Essere diventato il modello dell’anti-atleta.
«No, non m’interessa. Questo è il mio fisico, non posso farci niente».
Gene Gnocchi la considera un mito: vorrebbe piazzare un suo cartonato nello studio della Domenica Sportiva…
«Davvero? Non lo sapevo: bella idea».
Quanto pesa adesso?
«Sono 82 chili, ero arrivato a 85-86, devo scendere a 80. Poi mi fermo, altrimenti sto male».
Altezza?
«1.75».
A cosa rinuncia più malvolentieri?
«Ovvio, la pasta, visto che sono mezzo italiano (la nonna è di Treviso, ndr)».
Perché Sodinha?
«Perché così era chiamato mio padre, che amava le bibite gasate. Poi il soprannome è passato a me, perché nella squadra di calcetto c’erano quattro Felipe».
Ha detto il d.t. Maifredi: «Non importa che non sia palestrato. Avesse anche il fisico perfetto, non sarebbe qui, perché è un genio».
«Vero, sono sempre stato così: dimagrisco, mangio, ingrasso. E poi torno a dimagrire».
Meglio un gol o un piatto di pasta?
«Non scherziamo: un gol».
Il suo modello di giocatore?
«Ronaldinho».
Cosa non ha funzionato con Conte al Bari?
«All’inizio avevo spazio, poi sono andato in Brasile per Natale, sono tornato in ritardo, lui non ha gradito e la situazione si è complicata».
È rimasto fermo due anni per colpa di un grave infortunio al ginocchio.
«Sono stato operato tre volte in tre Paesi, è una specie di record: in Spagna, in Italia, in Brasile».
Casa sua: è nato e cresciuto nella favelas.
«Sì, con i genitori e quattro fratelli. Ci torno ogni anno a trovare gli amici, giochiamo a calcio, facciamo le grigliate. È un ambiente incredibile, le persone sono vere, c’è grande umanità. Però, adesso che ci penso…».
Che succede?
«Mi sa che dovrò rinunciare al viaggio in Brasile: il 15 giugno c’è la finale dei playoff».