Edoardo Boncinelli, Corriere della Sera 8/5/2014, 8 maggio 2014
COSA PUÒ CAMBIARE (SENZA TENTAZIONI)
Tutti sanno ormai che il patrimonio genetico è portato dal Dna, e che questa molecola è costituita da una successione lineare di quattro nucleotidi, o basi: A, G, C e T.
In tutti questi quattro miliardi di anni la vita è andata avanti utilizzando queste quattro basi. Ma dal punto di vista chimico se ne possono concepire e sintetizzare molte altre, che la natura ha almeno apparentemente scelto di non utilizzare. Che cosa succederebbe se in una cellula, più o meno elementare, introducessimo alcune di queste altre possibili basi? La cellula le tollererebbe e magari le utilizzerebbe, o no? Ce lo siamo chiesto da decenni, e ora abbiamo la risposta, affermativa. Se operiamo in maniera accorta, la cellula è capace di ospitare e utilizzare un Dna con sei o più basi invece delle solite quattro.
Questo è il senso, concettualmente molto profondo, degli esperimenti realizzati a La Jolla in California e oggi pubblicati su Nature . Possiamo costruire organismi che utilizzino un alfabeto biologico espanso, più ricco di quello naturale. E apparentemente senza nemmeno grande sforzo.
Che cosa significa tutto questo? Distinguiamo, come al solito, l’aspetto teorico della scoperta da quello pratico. Dal punto di vista delle potenzialità teoriche e concettuali, questa notizia è quasi una bomba, non fosse altro perché mette per sempre la parola «fine» alle sterili dispute a proposito della domanda se possa esistere vita completamente nuova costruita dall’uomo. Le cellule, per ora batteriche, che hanno ricevuto questo nuovo Dna sono una novità biologica assoluta: nulla di simile è mai esistito fino ad oggi, né in natura né in laboratorio. E al momento non si vede perché tutto questo non potrebbe essere esteso ad altri tipi di cellule. Gli esperimenti di Venter, che si è più volte vantato di aver costruito organismi completamente nuovi, adoperavano comunque sequenze di Dna «convenzionali». Queste nuove cellule di cui parla Nature possiedono in più un Dna «mai visto». In realtà già Venter aveva costruito nuove forme di vita non naturali, ma molti avevano fatto finta di non capire e parlavano di successo parziale. A questo punto non ci dovrebbero essere più dubbi: l’uomo può costruire la vita, anche se sono convinto che molti continueranno cocciutamente a rifiutare tale concetto.
Diverso, molto diverso, è il discorso delle applicazioni pratiche. Ai fini pratici fare cellule nuove con il vecchio tipo di Dna o con il nuovo non fa molta differenza, anche se, ovviamente, aumenta così il numero delle nuove opportunità. Immagino che nell’uno come nell’altro caso si vorranno fare nuovi batteri, capaci di compiere sempre nuove funzioni che potrebbero ritornarci utili: disinquinare l’acqua o l’aria, produrre biocombustibili, produrre a poco prezzo sostanze utili, ma rare e costose. La sostenibilità del mondo di domani dipenderà anche da questo. Non vedo invece l’utilità di costruire nuovi organismi superiori, e mi auguro che non si faccia. Ma può darsi che i nostri nipoti giocheranno con cuccioli di animali mai esistiti prima.