Giuseppe De Bellis, Il Giornale 8/5/2014, 8 maggio 2014
ADDIO CURVE D’ITALIA, I NOSTRI FIGLI TIFANO SQUADRE STRANIERE
Non stupitevi quando vostro nipote vi chiede la maglia del Real Madrid o del Paris Saint-Germain. Li vedi in giro, i ragazzi, no? Cristiano Ronaldo, Messi, Ibrahimovic. Indossano i loro colori e conoscono le loro storie.
L’Italia non ce li ha più, ma crollano le barriere fisiche ed emotive. In fondo è esattamente ciò che accadeva cinquanta, quaranta, trenta anni fa con i ragazzini di provincia che tifavano per i grandi club del nord (Juve, Milan e Inter). Adesso, che differenza fa per uno di Canicattì innamorarsi della Juventus o del Paris Saint-Germain? Ha la stessa possibilità di vederlo in tv e, se una volta vuole andare allo stadio, non bada per niente che sia a Torino o a Parigi. Genny a’ Carogna e i suoi fratelli sono una concausa del fenomeno.
È il calcio ultrà contro il calcio normale. Così come le grandi aziende internazionali si stanno comprando pezzi di Italia sul mercato, così il calcio internazionale si sta prendendo un pezzo del nostro pubblico. È un male? No. È solo un fenomeno che merita di essere analizzato, spiegato, raccontato. Perché il nipote che vi chiede la maglia del Real o del Psg prima o poi potrebbe essere il vostro. Oppure potrebbe essere vostro il figlio di 4 anni e mezzo che alle otto di mattina accende la tv per vedersi la replica di una partita della Liga spagnola e dice: «Io sono del Barcellona». Non è suggestione, o non solo. I numeri raccontano non tutte le verità, ma aiutano a capire.
La settimana scorsa s’è giocata la semifinale di Champions League Bayern Monaco-Real Madrid. Per la sola quota degli abbonati Sky a vederla sono stati 1.040.169 spettatori, con punte di 1.906.812. Sono praticamente gli stessi che una settimana prima hanno visto la semifinale di ritorno di Europa League Benfica-Juventus (1.080.090 spettatori, con picco a 1.903.403). A chi obietta che quella era la Champions e questa l’Europa League, si può facilmente rispondere che quelle erano due squadre straniere, questa invece era la partita più importante dell’anno della squadra italiana con più tifosi.
La verità è che è definitivamente scomparso il vecchio luogo comune che girava nelle redazioni dei giornali e si trasferiva poi nelle case: il calcio europeo tira solo se giocano squadre italiane. Non è così: oggi guardarsi una grande partita tra due club internazionali può essere più interessante e numericamente rilevante che guardarsi una grande partita di serie A.
Altra obiezione facile: ma la Champions è la Champions, è un evento, spesso non ha neanche controprogrammazione televisiva. Anche qui, contro obiezione: non è solo la Champions. Prendi per esempio la Liga, spagnola. Metti pure da parte l’evento multimilionario e multitelevisivo Barcellona-Real Madrid (e viceversa), scoprirai che Atletico Madrid-Barcellona dell’11 novembre 2013 ha tenuto davanti alla televisione una media di quasi 400mila persone. Non è sufficiente? Chelsea-Liverpool, partita di campionato inglese (girone d’andata, assolutamente non decisiva), ha avuto 243.265 spettatori medi (496.012 di picco). Sono numeri più alti della media delle partite di serie A. Sono partite che spesso si giocano in contemporanea con il nostro campionato.
I numeri vogliono dire qualcosa. E qui raccontano il fenomeno dello riempimento degli stadi virtuali d’Europa che segue il contestuale svuotamento degli stadi reali d’Italia. È una passione che a volte genera tifo. Così, altro dato importante, gli italiani iscritti ai club di tifosi di squadre straniere sono in costante aumento. Oggi ci sono 20mila persone collegate ai 21 supporters club che compongono, come soci o simpatizzanti, la Italian Connection di quellichelapremierleague.com, il sito che ha creato il network degli amanti del calcio inglese. Sono 5.500 i fan della pagina facebook di quellichelapremierleague.com, con una crescita mensile media del 15% nell’ultimo anno. I social hanno fatto crescere l’interesse verso squadre e star globali: seguire Cristiano Ronaldo o Messi su twitter non costa niente, ma regala l’idea di avvicinarsi al proprio idolo. L’aspirazione pompa energia che finisce inevitabilmente per trasferire il follower dal campione al club.
La tendenza crea un movimento, un movimento crea un fenomeno. Che c’è e, come detto, ci sarà. Ovvio che ad alimentarlo sono proprio i ragazzi più giovani. E questo è il motivo per cui ciò che a noi sembrava lontanissimo, invece si sta avvicinando: i cinesi d’Europa siamo noi. Loro impazzivano (e impazziscono) per i club italiani, noi, per la proprietà transitiva, impazziamo per i club stranieri. Altro dato che supporta il fenomeno è quello della vendita di gadget e magliette dei club internazionali: anche lì il trend è in crescita costante. Numeri via via più grandi che accorciano il divario tra il tifo per una squadra italiana e quello per una non italiana. È così, punto. Qui non c’è la caccia al colpevole, perché il colpevole vero è un’entità che si chiama mercato. Allarghi la platea della tua visibilità, abbatti i confini geografici e culturali. Non c’è da indignarsi, altrimenti si fa la fine di chi pensa di fermare il mercato e di bloccare le aziende straniere che vogliono investire in Italia. Per il calcio globale noi valiamo le nostre aziende. Siamo appetibili. C’è solo da capire, da gestire, se vogliamo anche da assecondare. C’è da imparare.