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 2014  maggio 05 Lunedì calendario

KASPERSKY, L’ANTI-HACKER “SMARTPHONE E SMART-TV I NUOVI TERRENI DI CACCIA PER I VIRUS INFORMATICI”


San Francisco I l mega-yacht si stacca dal Pier 39 mezz’ora prima del tramonto, in tempo per cogliere le immagini più romantiche della luna che sorge sotto il Golden Gate. A bordo l’atmosfera è un po’ rigida, tutti rigorosamente vestiti di scuro come indicava l’invito: “Serata di gala”. Ma l’ultimo a salire in barca, che è poi quello che paga per tutti, porta una ventata di informalità: Eugene Kaspersky, miliardario, industriale russo del software, “re” mondiale dell’antivirus, arriva in jeans scoloriti, giubbotto, barba lunga e ovviamente un contorno di corrucciati guardaspalle loro sì in giacca e cravatta. Con fare bonario, un po’ guascone e sicuramente rilassato, parla con minore ufficialità di quanto aveva fatto tutto il giorno al Cybersecurity summit organizzato dalla sua azienda in un albergo cittadino. Kaspersky, nato come Yevgeniy Valentinovich ma autoribattezzatosi Eugene per rimarcare che è un imprenditore globale, parla perfino di Ucraina: «E’ un disastro quello che sta succedendo. Noi ci occupiamo di industria e non di politica, ma è impossibile non vedere i telegiornali. Per ora il nostro business non è stato minimamente scalfito, neanche un contratto ci è saltato, ma i fatti ci preoccupano e ci angosciano moltissimo. Purtroppo sono sicuro che non finirà qui». Mentre Kaspersky parla, in effetti, sullo smartphone scorrono agenzie inquietanti che parlano di un’escalation militare drammatica e apparentemente inarrestabile. Ma è vero che lei, che è un imprenditore rispettato in tutto il mondo, è stato chiamato dagli americani per cercare un’opera di mediazione con il suo amico Putin? «Io? Non ne so assolutamente nulla, glielo assicuro. Non mi ha chiamato proprio nessuno. Guardi, le ripeto che io faccio business, non ho alcun legame con nessuna forza politica in nessun Paese del mondo. Il mio unico interesse è il mondo degli affari. Vendiamo i nostri programmi antivirus a 250mila aziende in ogni angolo del globo e a una gran quantità di enti pubblici e governativi. E vogliamo continuare a restare neutrali su qualsiasi vicenda ». Gli scenari da guerra civile in Ucraina guastano la festa a Kaspersky. Che aveva organizzato quest’incontro a San Francisco con giornalisti, analisti, esperti informatici, dirigenti industriali provenienti da tutto il mondo per dare una spinta ulteriore all’espansione delle vendite in America sia ad aziende che a istituzioni. Al summit ci sono i responsabili della sicurezza informatica di Facebook, Visa, Boeing, Wells Fargo e tante altre. Il discorso di apertura intitolato “Come il cyberwarfare influenza la sicurezza It delle imprese” lo legge Tom Ridge, già segretario alla Homeland security Usa (in pratica ministro dell’Interno). Insomma, un terreno di coltura ideale per il grande salto. Non è detto che non gli riesca, ma se le condizioni erano più tranquille era meglio. «La criminalità informatica, il cyberspionaggio e veri e propri atti di cyberwar non accennano a diminuire », dice Kaspersky. «Ne sono vittime aziende piccole e grandi, enti pubblici, semplici cittadini. Siamo entrati nella fase tre: prima bisognava stare attenti ai computer, poi è arrivato il momento degli smartphone, ora bisogna proteggere le smart-tv, quelle televisioni dove non si sa più se sei tu che guardi loro o loro che guardano te. Per non parlare dei Bitcoin: da quando sono stati inventati sono diventati l’ennesimo terreno di sfida dei cybercriminali ». L’Italia, detto per inciso, è messa malissimo. «Nel vostro Paese - ci spiega Kaspersky - si è concentrato più del 25% degli attacchi di malware finanziario, quello rivolto a rubarti i soldi dalla banca per intenderci, di tutta Europa: un milione e mezzo di attacchi nel 2013, il 24% in più dell’anno prima. Solo alla Germania è andata peggio» ( vedere grafico). Non è facile per Kaspersky dimostrare agli americani in questo momento in cui si sentono ripiombati nella guerra fredda, che la sua è “solo” un’azienda informatica. Certo, hanno spiegato i suoi collaboratori al summit, andiamo a tenere briefing alla Duma e al Cremlino, ma nulla di diverso fanno Symantec e McAfee al Congresso e alla Casa Bianca. Certo, collaboriamo con la Fsb (il controspionaggio erede del Kgb) ma come le aziende americane collaborano con l’Fbi o la Cia. Certo, ancora, noi abbiamo equipaggiato l’apparato militare russo come gli americani hanno fatto col Pentagono. Dalla sua, Kaspersky ha il fatto che è già molto diffuso in America: aziende del livello di Microsoft, Cisco, Juniper Networks, offrono come embedded nei loro programmi gli antivirus made in Russia. Kaspersky ha anche un problema in più: difendere il ruolo di una Internet libera e affidabile in un Paese che ogni giorno sembra muoversi al contrario. La legge antiterrorismo appena approvata consente al Cremlino un intervento molto più pesante sui siti web “sospetti”. E si ripetono episodi come l’acquisizione, la settimana scorsa, del 48% di VKontakte, il social network russo da 240 milioni di utenti, da parte di Ilya Sherbovich, alleato di Putin: il fondatore Pavel Durov è stato estromesso dal nuovo socio, e accusa i due cofondatori, Vyacheslav Mirilashvili e Lev Leviev, di aver venduto le quote senza dirgli niente. Solo pochi giorni prima la Duma aveva disposto che Gmail, Skype e altri servizi di posta elettronica siano bloccati se si rifiutano di conservare i dati dei lori utenti in server all’interno del territorio della Federazione. Kaspersky si guarda bene dal fare commenti. «Internet deve essere libera ferme restando le esigenze di sicurezza nazionale», si limita a dire. E ripete: «Non mi interesso di politica». Lui ha a cuore solo la credibilità tecnica dei suoi prodotti. «Dobbiamo essere credibili per crescere sui mercati. E non è possibile che facciamo come il venditore di lucchetti che la notte poi va a svaligiare i magazzini che erano stati chiusi con quei lucchetti». Ma da quando Putin ha cominciato a considerare l’Ucraina il cortile di casa, sui media Usa sono riprese le speculazioni sulla sua storia. Nulla di compromettente, intendiamoci, solo qualche imbarazzo, e non a caso lui non ne parla volentieri. Nato nel 1965 a Novorossiysk, Kaspersky aveva il pallino della matematica fin da piccolissimo e vinceva sempre le “olimpiadi” del settore popolarissime nell’Urss. A 16 anni fu accettato in un programma quinquennale all’Istituto per la crittografia, le telecomunicazioni e le scienze dei computer, un’istituzione sponsorizzata dalla difesa e dal Kgb. Diplomato a pieni voti nel 1987, entrò come intelligence officer nell’esercito e intensificò il suo lavoro sui computer. Finché, nel 1989 scoprì e neutralizzò un diffusissimo virus, chiamato Cascade perché nel distruggere i file faceva crollare i caratteri uno sull’altro fino a fondo pagina. La sua popolarità esplose, e così la voglia di mettersi in proprio creando un’azienda del settore con la moglie Natalia. C’era un problema: «Non era facile uscire dall’esercito », ha raccontato Kaspersky a Wired. «Dovevi ammalarti, andare in galera o dimostrarti palesemente incompetente». Nulla di tutto questo: mentre l’Urss si disfaceva, lo tirò fuori dalle forze armate Alexey De Mont, suo vecchio maestro dell’istituto di crittografia, che divenne socio della nuova società. «Eugene aveva una specie di dipendenza dalla caccia ai virus: quando trovava la posta giusta, stava 20 ore di fila davanti al computer», ha raccontato a sua volta De Mont. Da allora è stata tutta una progressione. «Sono un uomo felice, perché ho fatto del mio hobby un lavoro di successo», ripete Kaspersky. Da Natalia divorziò presto, ma lei accettò di continuare a gestire l’amministrazione mentre lui se ne stava chiuso a cercare i suoi virus, ad isolarli, a produrre programmi per distruggerli. Oggi nell’headquarters di Kaspersky, dieci chilometri a nord-ovest del Cremlino, vengono processate informazioni provenienti da 300 milioni di utenti web. E lui ripete a chi lo critica: «L’affidabilità è la nostra unica arma di propaganda». Eugene Kaspersky, miliardario russo e “zar” degli antivirus per computer, visto da Dariush Radpour.

Eugenio Occorsio, la Repubblica – Affari & Finanza 5/5/2014