Paolo Possamai, la Repubblica – Affari & Finanza 5/5/2014, 5 maggio 2014
VENETO BANCA: COSÌ VA IN EUROPA SENZA PASSARE DA VIA NAZIONALE
Alla messa domenicale delle 10 il parroco del Santuario della Beata Vergine della Crocetta propone una preghiera collettiva affinché i ’nuovi amministratori della banca siano giusti e umani’. Don Benito si rivolge ai fedeli di Castello di Godego, paese che sta a due passi dal quartier generale di Veneto Banca. Banca popolare, autenticamente fin da quando è nata a Montebelluna nel 1877. Tant’è che il neo presidente, Francesco Favotto, docente di economia aziendale all’università di Padova, si gira e rigira tra le mani le lettere di congratulazioni che chiudono con una nota semplice quanto impegnativa: auguri caro presidente, sappia che tutti i miei soldi sono presso di voi. Tutti i risparmi e tutti gli investimenti. Tutti. Dato emotivo che sta bene assieme con un indicatore percentuale: il 90% del business della banca è connesso a rapporti commerciali inferiori a 250mila euro. Appunto, banca popolare. Ma tutto ciò detto, non è più materia paesana l’ex popolare di Montebelluna, perché negli ultimi 15 anni con una crescita arrembante, sotto la guida di Vincenzo Consoli, il gruppo è diventato il dodicesimo polo creditizio nazionale per masse amministrate, integrando nel tempo Popolare Intra, Carifac, Apulia, Meridiana, Banca di Bergamo. Sta qui la vera sfida di Favotto e del suo vice, Alessandro Vardanega, presidente uscente di Unindustria Treviso, forti dei 10.500 voti a favore raccolti in assemblea (sono state meno di 230 le schede nulle). La sfida di tenere insieme la storia, l’identità, l’autonomia con l’innovazione, la crescita e, sopratutto, con i parametri della Vigilanza europea. Un percorso da equilibristi, tenendo conto delle polemiche violentissime emerse in assemblea il 26 aprile contro Banca d’Italia (accusata di attitudini partigiane e di volere costringere l’istituto alle nozze con Popolare Vicenza). Ma proprio da qui Favotto e Vardanega devono ripartire: dalla ricucitura con l’istituto di Vigilanza e dunque già la settimana ventura è in calendario un incontro a Palazzo Koch. Se il 26 aprile è stato il giorno dell’orgoglio, vengono di necessità i giorni del pragmatismo. E non vi è da dubitare che Favotto e Vardanega, entrambi pacati e riflessivi, eviteranno lo scontro frontale con i vertici di via Nazionale. Lo dicono fatti e indizi. Il nuovo cda è formato da 6 imprenditori e 3 avvocati esperti di banca, mentre nel collegio sindacale siedono un ex dirigente dell’ufficio legale Bankitalia e due commercialisti particolarmente avvezzi al sistema bancario. Da Palazzo Koch alle Popolari è arrivato un richiamo chiarissimo in tema di governance e di eccessi di personalizzazione: pensiamo per esempio al caso paradossale di Lorenzo Pelizzo, presidente per 43 anni del gruppo popolare di Cividale. Ma la questione è rilevante pure a Montebelluna e di qui la disponibilità di Consoli di continuare a dare una mano da direttore generale, lasciando le vesti di amministratore delegato. Il nuovo contratto ha durata ’fino a due anni’, significa che il tempo del traghettamento potrebbe essere anche più breve e comunque dipende dalla necessità di trovare un nuovo equilibrio e un nuovo leader per la struttura. Consoli è lo snodo delle relazioni con i clienti e i territori, il cardine del management, a sua volta azionista significativo. Competenze di cui Favotto non può e non intende fare a meno. Ma il profilo di Consoli è mutato: come ovvio che sia, audit, rischi, compliance entrano nel radar del cda e escono dalle sue deleghe. E se i membri del board hanno accolto una riduzione del 20% del compenso, anche più drastico è stato il taglio agli emolumenti dell’ex ad. Tutti segni di cambiamento, alla ricerca di un nuovo equilibrio della governance e nello modello gestionale. Appunto per ridare un orizzonte e nuove motivazioni a uno staff sottoposto a fortissime tensioni nei mesi passati, Favotto ha già programmato un giro di sei incontri con tutto il personale della banca, dal Veneto alla Puglia, dal Piemonte alle Marche. Ai dipendenti, come agli azionisti e così a Bankitalia il concetto da esporre è semplice. La banca è solida e sta attuando quanto occorre per avere ancora una parte da protagonista. In questo senso, la settimana scorsa il nuovo board ha già approvato il primo step del piano industriale 2014-2016 impalcato dal precedente consiglio (su sollecitazione di via Nazionale). L’obiettivo del rafforzamento patrimoniale viene perseguito dunque con la conversione del prestito obbligazionario da 350 milioni. Entro un mese verrà presentata la soluzione tecnico-analitica per un ulteriore aumento di capitale da 500 milioni. Infine, sono alla porta le offerte vincolanti - una in particolare da parte dai soci D’Aguì e Giovannone - per Banca Intermobiliare. Tra la cessione dell’istituto torinese specializzato nell’investment e private banking, e le altre manovre di rafforzamento, l’indice Core Tier1 dovrebbe superare la soglia dell’11,5 e dunque al riparo dalle verifiche della Vigilanza europea. Solidità patrimoniale come fondamento dell’autonomia. Tema carissimo all’assemblea del 26 aprile, tanto da essere richiamato anche in un appello sottoscritto da 26 sindaci di ogni colore politico. Il leghismo non c’entra nulla. Ma autonomia non implica asserragliarsi in un bunker. Vedremo dunque l’effetto che farà l’analisi di Goldman Sachs, chiamata a fine maggio a esporre al cda il proprio report. Lo studio di Goldman Sachs, richiesto da Consoli un paio di mesi fa, indica due distinti scenari: il perseguimento dell’indipendenza e relativo progetto di crescita; la fusione con altri istituti, comunque nella logica di salvaguardare valore patrimoniale. Nel secondo capitolo vengono prese in esame le integrazioni con Popolare Vicenza, Credem, Ubi e tre medi istituti europei (di cui uno austriaco). Ma il seminario con Goldman Sachs servirà in primis a mettere in fila tutte le sfide e lo stato di avanzamento della strategia complessiva, che è, a ben guardare, del tutto in linea con le sollecitazioni espresse da Bankitalia nei mesi scorsi. Ma la parola ultima toccherà come sempre ai numeri. Se i fatti dimostreranno che i target indicati nell’ambizioso piano industriale sono perseguibili, il percorso di sviluppo di Veneto Banca riprenderà. Ne sono persuasi i nuovi vertici, che hanno ereditato da Consoli il piano. Al 2016 il margine di Interesse dovrebbe consistere in 685,2 milioni, il margine di intermediazione in 1.146,3 milioni, i costi operativi in 584,5, il costo del credito scendere allo 0,83%, l’utile netto di pertinenza della capogruppo balzare a 221,9 milioni e infine il Rote (return on tangible equity) consistere nel 7,4%. Soci e clienti non potrebbero che applaudire, anche perché il prezzo delle azioni previsto per il prossimo aumento di capitale è incardinato appunto sulle attese del piano al 2016. Durante l’assemblea, partecipata da 11.878 soci, il presidente uscente Flavio Trinca, dimissionario con tutto il resto del cda, ha chiuso la stagione dello scontro frontale. ’Banca d’Italia ha parlato di gestione opaca e in conflitto d’interesse - ha detto Trinca - ma ha rappresentato la realtà in modo distorto e strumentale solo per favorire una certa aggregazione. Mai abbiamo piegato la banca a fini personali». E ancora: «Con un incontro romano che ci è stato caldeggiato senza nemmeno una nota scritta, volevano imporci una aggregazione a condizioni inaccettabili, con la governance a Vicenza e tutti a casa! Volete questo?». Un discorso che ha scatenato 15 applausi a scena aperta e una standing ovation. Dopo il giorno dell’orgoglio, vengono quelli del lavoro pragmatico e senza strappi. ’Ora lasciateci lavorare, che dobbiamo andare in Europa’, potrebbe essere lo slogan dei prossimi mesi, propone con una boutade Favotto ai suoi più stretti collaboratori in questi primi giorni. Nella foto grande qui in basso, l’intervento del neopresidente di Veneto Banca Francesco Favotto all’assemblea dell’istituto di credito dello scorso 26 aprile.
Paolo Possamai, la Repubblica – Affari & Finanza 5/5/2014