Mario Platero, Il Sole 24 Ore 7/5/2014, 7 maggio 2014
UN’IDENTITÀ DI MARCHI FORTI
Siamo all’anno zero, ma la svolta c’è tutta. Da ieri l’Italia ha un’azienda, la Fca; un management, rappresentato da Sergio Marchionne; e un capitale, rappresentato da John Elkann.
Tutti i protagonisti partecipano a pieno titolo alla battaglia per il mercato globale delle grandi dell’auto. Da oggi a Detroit e a Torino si legge un «nuovo libro, non un nuovo capitolo» ha detto Marchionne durante la presentazione del suo primo piano quinquennale congiunto. Un libro che chiude la prima sfida, quella per l’integrazione, tecnologica e culturale, a lancia quella per l’espansione, che punta alla ricerca di una spiccata identità per le marche e per i nuovi modelli, alla crescita in una segmentazione di mercato che si svilupperà molto sull’estero - Cina, India e Sud America in particolare -, che vuole moltiplicare impianti di produzione nel mondo, investendo oltre 30 miliardi di dollari entro il 2018, di questi cinque in Italia per i nuovi modelli Alfa Romeo, uno a Melfi dove si produrranno 200mila Jeep e la 500L e a Mirafiori dove si produrranno i nuovi SUV Maserati. Alfa, Maserati e Ferrarari resteranno autonome, alfieri del lusso. Per il resto contineuranno ad esserci scambi tecnologici e produttivi per aumentare volumi e tenere costi sotto controllo. Con un obiettivo: raggiungere un livello di 7 milioni di veicoli venduti entro il 2018 contro i 4,4 circa del 2013. Siamo arrivati a Detroit con alcune domande chiave che fanno da preambolo all’obiettivo di vendita: come si riesce a recuperare la profittabilità, a imporre un prezzo vantaggioso, ad realizzare gli aumenti di quota di mercato? La risposta che abbiamo avuto è su più livelli. Puntare su tre o quattro marchi, alcuni già con una forte identità: la Jeep per il mercato globale, che nel 2014 dovrebbe già toccare il milione di vetture vendute a livello globale; il Ram, per il mercato chiave e profittevole dei pick up, soprattutto interno dominato dalla Ford, un mercato dove gli aumenti sono già stati molto forti dall’11% della quota mercato del 2009 al 21,7% quest’anno. Ma la risposta più nuova è venuta con l’annuncio di una diminuzione del numero dei modelli della Dodge per aumentare e concentrare le risorse dei modelli famigliari, inclusi i modelli minivan, tutti sul marchio Chrysler, che torna ad essere la grande macchina famigliare americana con il nuovo 200, e con un debutto nel compact con un modello 100 atteso epr il 2016. Obiettivo: passare dalla vendita di 350mila vetture oggi a 800mila vetture nel 2018. Ambizioso. Alcuni fra gli analisti che abbiano interpellato ieri dopo la presentazione hanno espresso cautela, sia per l’aggressivo aumento delle vendite Chrysler in cambio di una tenuta della Dodge, sia perché in quel segmento di mercato i margini di profitto sono molto bassi e potrebbero contribuire molto meno al "bottom line" di quello che potrà contribuire un Ram o una Jeep. Non c’è dubbio che negli anni la strategia di maggior successo per Marchionne è stata quella di riconquistare il cuore degli americani di esprimere valori, emozioni, storie con l’aiuto di personaggi come Eminem, Clint Eastwood e più recentemente Bob Dylan per il valore del "Made in Detroit", per il recupero dell’orgoglio nazionale, della profondità delle radici con lo spot costruito sul "farmer" sull’agricoltore, l’allevatore americano. Ma ora occorre capitalizzare, occorre creare le condizioni finanziarie perché i ritorni di un’azienda con quasi 100 miliardi di dollari di fatturato e con una forza lavoro di 300mila persone consentano di creare valore. La capitalizzazione congiunta resta attorno a circa 9 miliardi di dollari. Come finanziare gli investimenti? Un aumento di capitale è escluso. Una vendita di Alfa Romeo o Ferrari per fare cassa e finanziare gli investimenti è anche da escludersi per quel che ci ha detto Marchionne (che ha però attribuito alla Ferrari una produzione teorica di 10.000 vetture all’anno invece delle 7.000 attuali per un valore potenziale di 8 miliardi di dollari). Resta dunque, per creare valore, l’aumento del titolo in borsa, Obiettivo per chiudere il cerchio con il rilancio dei marchi forti e la conquista di mercati ancora inforte crescita. E qui l’obiettivo espansivo per fare massa e dunque margini riemerge coi singoli "brand". Il caso Jeep è esemplare, resta la punta di diamante. Mike Manley ha annunciato obiettivi e sviluppi aggressivi. Si passerà da una produzione globale di 798.000 veicoli tutti concetranti nell’impianto di Toledo e di Jefferson a una produzione di 1,9 milioni di veicoli entro il 2018 in nove impianti distribuiti in sei località diverse uno di questi a Melfi dove si faranno 200.000 Jeep all’anno con l’obiettivo di aumentare le vendite da 54.000 veicoli a 200.000 veicoli sempre per il 2018. Per il mercato asiatico, soprattutto cinese dove le vendite per il 2014 hanno toccato 94.000 unità si prevede una fortissima espansione della produzione fino a 500.000 veicoli prodotti localmente, la produzione latino americana salirà a 200.000 unità, quella americana passerà a un milione di vetture. Fra i nuovi modelli, un nuovo cSUv nel 2016, un nuovo Wrangler, un nuovo Grand Cherokee nel 2017 e un nuovo attesissimo Grand Wagoneer nel 2018. Per il resto, soprattutto nel comparto Fiat forza alla 500 alla 500L, ma come obiettivo di crescita potenzialmente forte l’ingresso in America sotto il marchio Ram dei Fiat Professional con un nuovo Ducato già quest’anno, un nuovo Fiorino nel 2016, DOb lo nel 2015e con l’introduzione di un nuovo Pickup Midsize per il 2016. Obiettivo di crescita: da 431.000 veicoli a oltre 600.000. Oltre agli Usa le priorità sono un punto di riferimento per le performance geografiche: «Tenere la quota in Europa, crescere in Russia, rafforzare Medio Oriente e penetrazione africana, crescere in Asia e America Latina».
Mario Platero, Il Sole 24 Ore 7/5/2014