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 2014  maggio 07 Mercoledì calendario

IL MERCATO NON PERDONA IL MAXIDEBITO


Chi avesse acquistato titoli greci nel 2008 e da allora non li avesse mai venduti, oltre a un paio di infarti oggi avrebbe ottenuto un piccolo guadagno. Osservano molti analisti che, sulla superficie piatta dei grafici finanziari, la crisi dell’euro sembra finita. Il governo spagnolo non ha mai potuto finanziarsi a costi nominali tanto bassi dall’adesione alla moneta unica in poi. Anche il titolo pubblico decennale italiano è sceso ieri sotto il 3 per cento. Se si aggiunge una dimensione in più sul grafico, cioè si ragiona in termini di sostenibilità nel corso del tempo, i dubbi invece tornano apprezzabili. I bassi rendimenti nominali riflettono prospettive di crescita che le organizzazioni internazionali stimano modeste e che si traducono in bassi profitti delle imprese e bassi investimenti. I tassi inoltre incorporano un’inflazione che tutti prevedono molto bassa, mantenendo i tassi reali, rilevanti per debitori e investitori, poco distanti da quelli dell’orribile 2011. Infine non potrà continuare in eterno l’offerta di liquidità di cui, secondo i meno ottimisti, la periferia euro beneficia doppiamente grazie alla "rotazione" che sposta i capitali dai Paesi emergenti. Per dirla con le parole dell’Ocse sull’Italia: la migliorata fiducia dei mercati ha aiutato a ridurre i tassi di interesse, «tuttavia i rischi di una reazione avversa del mercato finanziario a un disimpegno in campo fiscale persisteranno fino a quando il debito pubblico non inizierà chiaramente a scendere rispetto al Pil». Ma purtroppo il debito quest’anno non scenderà, anzi salirà al 135 per cento. Anche quando i mercati ragionano in modo miope, possono però autorealizzare le proprie previsioni e renderle più lungimiranti. Era successo quando, vedendo la crisi dell’euro, la stavano in realtà provocando. E forse succederà ora nel senso inverso. È un fatto che le condizioni istituzionali dell’area euro sono cambiate. Il timore di una rottura dell’euro è distante. Infatti anche in Italia ad aprile ci sono stati segnali di ottimismo da parte delle imprese e delle famiglie che non si erano più visti dalla metà del 2011, quando il Paese era sull’orlo del fallimento. L’analisi dei bilanci da parte della Bce sta modificando i comportamenti delle banche europee che da un anno rafforzano il loro capitale. Gli stress test sui bilanci cominceranno questo mese, non si attendono brutte sorprese ma se ce ne fossero le banche avrebbero 6-9 mesi per rimediare. Il rapporto della Bce sui prestiti all’economia mostra che c’è un po’ di allentamento anche sui tassi alle imprese piccole e medie, scesi al 4,17% contro una media euro non distante, al 3,79%. Inoltre a Bruxelles l’applicazione delle regole avviene in un clima che sembra molto meno ultimativo e intransigente rispetto a quello del 2011. Infine, la promessa della Bce di utilizzare nuovi strumenti monetari in caso di necessità è sufficiente a correggere la miopia degli ottimisti senza toglier loro il buon umore. Nel complesso dunque l’aggiustamento istituzionale europeo ha aperto una finestra di opportunità per rafforzare l’economia italiana prima che sia troppo tardi. E ce n’è bisogno: nelle previsioni dell’Ocse e della Commissione la ripresa trainata dai settori esportatori - controprova del necessario recupero di competitività - non è molto evidente. Il contributo dell’export alla crescita è pari allo 0,2% del Pil quest’anno, ma si azzera l’anno prossimo, quando sarà solo la domanda interna a sostenere l’economia. È un sintomo di ciò che tutti pensano: la parte strutturale della terapia anti-crisi è ancora assai incompleta. Ed è un vero guaio perdere questa occasione: la combinazione tra la ripresa nella domanda interna e un sistema bancario più sicuro permetterebbe la fondamentale ripresa degli investimenti, la riqualificazione delle produzioni e il recupero di competitività. È in questo quadro che si misurano le responsabilità della politica. La fragilità economica e la fragilità politica italiane sono infatti due facce della stessa medaglia. Sapere che cosa deve essere fatto non è mai stato il problema italiano. Ma farlo... quella è sempre stata un’altra cosa. Le riforme istituzionali su cui si litiga in questi giorni, per esempio, servono a rendere più efficiente il processo legislativo e quindi a realizzare politiche economiche tempestive. La crescente aggressività di toni sulla riforma del lavoro pesano di più se il processo decisionale è farraginoso e quello legislativo particolarmente lungo. Se la politica non sarà in grado di prendere decisioni, non c’è ragione di pensare che la crescita italiana sia più che insignificante. Un clima finanziario benevolo può distrarre Parlamento e governo dalle emergenze, ma se chi prende le decisioni ha bisogno di spaventarsi, è sufficiente che pensi al fatto che, per i prossimi 10 anni almeno, l’Italia dovrà assicurare una differenza tra entrate e spese pubbliche (al netto della spesa per il servizio del debito) vicina al 5% del Pil. Senza un’economia che cresce, sarà politicamente impossibile.

Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 7/5/2014