Francesco Bei e Giovanna Casadio, la Repubblica 7/5/2014, 7 maggio 2014
L’ULTIMATUM DI MATTEO “NON CONCEDO PIÙ NULLA”
A un passo dalla crisi di governo. Preda dei ricatti della sua stessa maggioranza, inchiodato dal dissenso di due senatori, Matteo Renzi dice «basta». A Palazzo Chigi, con al fianco il ministro Boschi, traccia una linea da non oltrepassare.
OSI vota il nostro testo sulle riforme o salta tutto». Una drammatizzazione necessaria di fronte al riaffacciarsi di quella «palude» che ha rischiato di azzerare di nuovo il lavoro fatto finora. L’ultimo colpo di scena alle dieci di sera, quando in commissione passa grazie al voto del popolare Mario Mauro, all’uscita del dem Corradino Mineo e al sì dei grillini - l’ordine del giorno del leghista Roberto Calderoli. Una trappola, con dentro l’elezione diretta dei nuovi senatori. La maggioranza sembra essersi dissolta, è battuta anche se soltanto su un preambolo politico. «Ma è accaduto solo per l’insipienza di quel Mauro che non ha digerito ancora la poltrona sfumata. Pensavano di farcela con un’imboscata, rosolandoci ma noi siamo andati dritto», sbotta il premier. Che poi si rifà con il via libera al suo testo base strappando il sì anche di Forza Italia. «Berlusconi ha cambiato idea», dice dopo una telefonata proprio con il leader forzista.
Ma per tutto il pomeriggio la tensione è salita alle stelle. «Sono giochetti che ormai stanno facendo da due giorni — è la sfuriata del leader pd con i suoi — pensano di avere a che fare con dei ragazzini inesperti. Adesso basta. L’accozzaglia ha portato a casa un ordine del giorno che vale zero». Renzi è convinto di aver già ceduto molto, venendo incontro alle richieste sostanziali dei contestatori. «Siamo sempre stati pronti a discutere. Volevano più consiglieri regionali e meno sindaci? Benissimo. Volevano spostare il voto finale dal 25 maggio al 10 giugno? Bene anche questo. Però il giochetto del “più uno” mi ha stancato. Mi sono stufato. Ora le concessioni sono finite». L’arma per mettere a tacere i dissidenti è quella evocata esplicitamente da Roberto Giachetti, che il premier sembra ancora una volta mandare avanti come staffetta. «Avete visto cosa dice? ha ragione ». «Matteo, fidati di me, andiamo a votare #machitelofafare », twittava il vicepresidente della Camera di fronte all’impasse della prima commissione.
Il risultato portato a casa alla fine è l’ok al testo base del governo: la maggioranza (tranne Mineo che non partecipa al voto) più Forza Italia. Ma la guerra dei nervi era iniziata sin dal mattino. Calderoli infatti, che avrebbe dovuto presentare insieme ad Anna Finocchiaro un ordine del giorno riassuntivo di tutte le modifiche concordate, scarta subito di lato. Ne presenta uno proprio che riscrive tutta la riforma, arrivando a prevedere anche la diminuzione a 400 dei deputati. Da lì inizia il caos, anche Mauro e Mineo dicono subito che non voteranno il testo del governo. Su 29 membri della commissione solo 13 appoggiano la riforma come l’ha disegnata Boschi. A Palazzo Chigi sono ore frenetiche, le riunioni si moltiplicano. La Finocchiaro si chiude in una stanza con il ministro delle Riforme. Nel frattempo l’ex ministro della Difesa sta cercando di convincere Mineo a non lasciarlo da solo. Ma l’ex ministro deve affrontare un “processo” nel suo gruppo (11 senatori, di cui 2 dell’Udc). La maggior parte infatti condivide l’opinione di Andrea Olivero e non ne vuole sapere di mandare tutto a carte quarantotto. E minaccia Mauro di sostituirlo in commissione affari costituzionali.
A pochi minuti dall’inizio della seduta serale sembrava fatta. Nonostante il clima incandescente, il governo aveva accettato di mediare ulteriormente su un documento da votare subito, prima del testo base, per fissare i punti di possibile modifica. Tra questi il più importante era quello relativo alla modalità di scelta dei futuri senatori, che Renzi vorrebbe indiretta e di secondo grado. Invece caldeggiato dalla minoranza dem, da Ncd e Forza Italia, si era arrivati a un compromesso, e cioè che sarebbe stato «consentito agli elettori al momento del voto per i consigli regionali, di indirizzare le scelte tra i rispettivi componenti dei membri del Senato delle autonomie». Di fatto si tornava a quell’ipotesi di listini separati di consiglieri regionali. I dissidenti del Pd erano soddisfatti. Il partito sembrava pacificato. Francesco Verducci, portavoce dei giovani turchi, era ottimista: «Il Pd ci deve stare per forza tutto. È una partita importante come quella dell’Irpef». Bene anche per quel drappello di senatori democritici guidati da lettiano Francesco Russo.
L’ok al preambolo politico di Calderoli è invece una doccia fredda. La Boschi è gelata. Finocchiaro interrompe la seduta: è costretta a ritirare l’ordine del giorno della maggioranza. Si passa a votare il testo del governo. Renzi non pensa che nel gruppo ci sia ancora chi punta a farlo fuori. E tuttavia, ragionando con i suoi, pensa anche alle contromosse: «Se nel Pd qualcuno pensasse di remare contro le riforme per colpire me e affondare il governo, sappia che la reazione sarà...molto forte». Quanto a Berlusconi, il presidente del consiglio non riesce più a comprenderne la strategia. Ieri alla fine l’ha convinto. «Ma un giorno ci attacca, un altro vuole entrare in maggioranza. Mi sembra piuttosto ondivago, insegue i sondaggi».
Francesco Bei e Giovanna Casadio, la Repubblica 7/5/2014