Nathan Englander, la Repubblica 7/5/2014, 7 maggio 2014
LO STRANO PUDORE DEI NUDISTI TEDESCHI
Stava sorgendo il sole sopra Big Cabin, Oklahoma, quando ho accostato allo sportello del drive thru di Mc-Donald’s e ho salutato con un bel «Howdy». Venivamo da sud, dal Texas, e mia moglie, nata e cresciuta in Texas, non riusciva a smettere di ridere. «Howdy?», mi ha detto incredula. «Io sono texana e non ho mai detto howdy. E non l’ho mai sentito dire da nessuno. Da dove l’hai tirato fuori?». Da dove li ho tirati fuori gli howdy in Oklahoma, gli y’all in Texas, gli ahla in Israele e i dai, basta in Italia? Dal fatto di essere cresciuto sentendomi sempre fuori posto ed esercitandomi costantemente a integrarmi nell’ambiente circostante.
Qualche anno fa, nel 2009, io e la moglie texana di cui sopra ci trasferimmo a vivere a Berlino, e subito ci immergemmo nella cultura locale: ci spostavamo con la S-Bahn, mangiavamo döner kebab e avevamo imparato a dire genau nei momenti giusti. (Dico sul serio: se annuisci e dici «Genau!», puoi vivere tutta la vita in Germania senza che nessuno sospetti mai che non conosci altre parole della lingua locale.) C’era un’usanza, laggiù, che ci lasciava basiti. Non riuscivamo a comprendere le regole del decoro a proposito della nudità in pubblico.
Attraversando il Tiergarten berlinese all’ora di pranzo potevi vedere un uomo d’affari entrare nel parco, togliersi la giacca e la cravatta… la camicia… i pantaloni… le mutande, e prendere il sole per un’ora completamente nudo, prima di tornare al lavoro. E lo stesso sulle rive del lago dove vivevamo: diciamo che c’erano un bel po’ di persone che non avevano tasche dove infilare le chiavi dell’armadietto.
Con l’arrivo dell’inverno quella preoccupazione sparì, insieme al sole. I giorni freddi e grigi che seguirono erano davvero troppi, ma fu a quel punto che la gente cominciò a invitarci ad andare nelle saune. Il primo a chiedercelo fu un professore tedesco, ma noi eravamo restii. Non era tanto la nudità in sé il problema, era l’idea di essere nudi abbinata alla nudità del resto del corpo docente.
Mi rendo conto che sostenere di non essere pudichi e non esserlo davvero sono due cose diverse. Specialmente per me, che ho avuto un’educazione religiosa e ancora mi sembra spinto vedere i gomiti di una donna, e che considero “nudo” pure un uomo senza cappello. Insomma, poiché avevamo qualcosa da dimostrare, decidemmo di provarci.
Il Liquidrom era la scelta più ovvia. Aveva una sauna salina himalayana, una sauna finlandese e una piscina al coperto che offriva una sorta di esperienza termale, da grembo materno. Era venuta a trovarci un’amica di infanzia di mia moglie, perciò avevamo una persona nuda in più da portarci dietro per supporto immorale.
Nell’atrio concordammo di ritrovarci all’uscita dei camerini, dopo esserci spogliati. Loro scomparvero attraverso la porta con su scritto donne , io attraverso quella con su scritto uomini. Poi scoprimmo che le due porte portavano nello stesso posto: gli spogliatori erano unici.
Una volta avvolti nei nostri asciugamani, ci dirigemmo verso la piscina. Io presi la testa del gruppo e vidi una porta con una targa in tedesco, la interpretai come “piscina” e aprii. Ci trovai un uomo nudo steso su un tavolo che mi guardava in cagnesco. A quanto pare quello che io avevo tradotto come “piscina” era più qualcosa del tipo “massaggio in corso”.
Poco dopo trovammo la via giusta, ci togliemmo gli asciugamani e ci tuffammo in acqua.
La prima cosa che notammo fu che la piscina (elegante e trendy come ci avevano detto tutti) era piena di individui di tutte le età, adulti e bambini, che si divertivano da matti con parenti e amici. La seconda cosa era che tutti gli altri – tutti, dal primo all’ultimo – indossavano un costume da bagno. Non c’era traccia di nudità, tranne per i tre americani in costume adamitico che erano appena entrati.
Non so come, ma eravamo riusciti a fraintendere il semplice dettame Deutsch secondo cui nuotare nudi all’aperto è del tutto accettabile, e dentro una sauna ci si entra soltanto senza vestiti, ma quando si nuota in una piscina al coperto dentro una sauna nuda bisogna sempre indossare un costume da bagno.
Non ricordo di essermi dato un pizzicotto per assicurarmi di non stare sognando, ma ricordo di essermi reso conto che stavo vivendo uno dei più classici sogni angosciosi: io che sono sempre complimentoso, io che non riesco mai a violare una regola, stavo trasgredendo per puro accidente il patto sociale originario post-Giardino dell’Eden.
Guardai mia moglie e guardai la sua amica (rigorosamente negli occhi), e facemmo l’ultima cosa che mi sarei aspettato: non corremmo indietro a riprendere i nostri asciugamani, non incrociammo le ginocchia coprendoci con le mani, stile sitcom, ma ci mettemmo a ridere e decidemmo che eravamo venuti per farci un bagno e ci saremmo fatti un bagno. E nudo come il giorno in cui ero nato, questo fanciullo ebreo (mai così palesemente ebreo) a Berlino chiuse gli occhi, fece un profondo respiro e si lasciò scivolare nell’acqua.
© The New York Times La Repubblica
(Traduzione di Fabio Galimberti)
Nathan Englander, la Repubblica 7/5/2014